Le commodities
I derivati, come abbiamo visto, sono contratti complessi aventi ad oggetto attività finanziarie che possono essere le più diverse: azioni, titoli, valute estere e anche materie prime (le cosiddette commodities). In sostanza possono essere prese come riferimento per costruire i derivati tutte le attività (asset) e gli strumenti trattati su mercati regolamentati in grado di determinare prezzi universalmente accettati e significativi.
Dobbiamo confessare che rispetto ai derivati su strumenti diversi, le commodities ci piacciono particolarmente. Il motivo è semplice: dietro ai flussi di denaro virtuale ed ai click delle innumerevoli tastiere di computer, questa volta ci sono le merci, i metalli, gli animali e così via, ovvero quanto di più materiale e “fisico” ci possa essere sui mercati finanziari.
Ciascuno di questi prodotti è tradizionalmente oggetto di scambio sui mercati di tutto il mondo, dove ovviamente vengono trattati e suddivisi in tipologie e lotti omogenei. Ad esempio, nel comparto del petrolio greggio c’è il segmento del “Brent crude oil del Mare del Nord” e del “Light crude oil”; come pure c’è il segmento in cui si negoziano lotti da 1.000 barili a contratto e quello “mini” dove se ne trattano da 500.
In ogni caso, chi compra e chi vende sa esattamente qual è l’oggetto della transazione, anche se in concreto – nel mondo reale esterno ai mercati - si possono avere le tipologie più diverse.
Come in ogni mercato che si rispetti, anche in questo la speculazione è ampiamente presente e svolge un ruolo rilevante. Tuttavia a differenza di altri prodotti, le materie prime hanno un circuito materiale effettivo in cui operano le imprese che realizzano i prodotti che consumiamo ogni giorno, da quelli che portiamo in tavola (carne di maiale, succo d’arancia, mais, zucchero, cacao, caffè e così via) a quelli che riempiono i serbatoi delle auto e che consentono di riscaldarci come il gasolio o il gas naturale.
Non solo, tali prodotti sono fortemente soggetti alla ciclicità produttiva (la stagionalità) o estrattiva e a quella della domanda mondiale: i prezzi sono quindi molto sensibili all’andamento dei raccolti ed ai consumi, alla produttività e alla tecnologia applicata.
Fare trading sulle commodities impone, quindi, di conoscere i differenti settori merceologici, i fattori che ne determinano il trend di mercato, la geopolitica dei paesi produttori e di quelli consumatori. Per chi non ha nel DNA i geni dello “gnomo di finanza” e vuole comunque investire in modo diversificato, si tratta di un settore di attività molto più divertente e variegato di altri.
Questi strumenti possono essere oggetto di investimento di capitale diretto, oppure – in questo caso più opportunamente – di contratti derivati attraverso i quali prendere posizione al rialzo o al ribasso, come abbiamo visto in precedenza.
Supponiamo ad esempio di aver maturato la convinzione che il prezzo del petrolio sia destinato a crescere nei prossimi tre mesi. Abbiamo fatto le nostre ricerche e ci siamo convinti che la Cina e le altre tigri asiatiche continueranno a svilupparsi e ad assorbire energia; che l’OPEC riesca a ridurre la produzione mondiale e che le scorte si siano esaurite, mentre la tecnologia estrattiva non è in grado di aumentare la produttività degli impianti esistenti o di individuare nuovi pozzi.
Cosa deve fare allora un investitore che vuole tenersi long sul petrolio? Naturalmente la soluzione non è quella di acquistare qualche barile e tenerlo in giardino per poi provare a rivenderlo…
La prima ovvia soluzione, per chi ha consuetudine coi mercati finanziari tradizionali, è quella di acquistare titoli azionari o obbligazionari di società petrolifere, il cui valore prevedibilmente aumenterà col crescere del prezzo del greggio. Stesso risultato si può raggiungere acquistando indici (quali ETF) oppure quote di fondi comuni specializzati nel settore energetico.
Ci sono però anche modalità diverse, più efficienti da un punto di vista finanziario, proprio nell’ambito del trading sulle commodities. Abbiamo visto nell’articolo precedente come è possibile, attraverso le opzioni, assumere una posizione rialzista: acquistare una “call” oppure vendere una “put”. E questo potremo farlo senza impiegare tutto il capitale necessario, ma ricorrendo alla leva, ovvero all’indebitamento, limitando comunque il rischio dell’eventuale perdita all’importo del premio pagato o riscosso sull’opzione.
Un esempio, in particolare, può aiutarci a capire meglio. Se riteniamo che da oggi a tre mesi il prezzo del petrolio aumenti, ma che poi sia destinato a diminuire nei successivi tre mesi, potremmo combinare le due opzioni acquistando uno spread con due “gambe”: ovvero in acquisto l’opzione a tre mesi e in vendita quella a sei mesi.
L’operazione a cui si fa riferimento, il cosiddetto commodity spread, è quindi un’operazione ancora più complessa, ma essendo composta di una parte long e di una parte short, possiamo ragionevolmente ritenere che il rischio complessivo sia in qualche modo attenuato.
Anche in questo caso non abbiamo la pretesa di spiegare le operazioni che sono state solo accennate: lo scopo è solo quello di rendere un’idea della complessità di questo tipo di investimenti.
E’ facile trovare su internet pubblicità che invogliano ad entrare nel mercato del trading su derivati e sicuramente questo tipo di operatività può rappresentare una buona forma di diversificazione degli impieghi e di reddito aggiuntivo.
Si deve però tenere presente che è richiesta, oltre ad una certa competenza o almeno dimestichezza di base con gli strumenti oggetto di negoziazione, anche una seria attività di ricerca sia sui fondamentali dei diversi mercati, sia con le statistiche passate per quanto riguarda la stagionalità.
- Per commentare o rispondere, Accedi o registrati