CRIPTOVALUTE ANCORA TROPPO PERICOLOSE
Il crollo del mercato dei bitcoin dimostra che questi nuovi strumenti sono ancora troppo rischiosi per i risparmiatori
Oltre due anni fa ci occupammo, in questo sito, dei bitcoin[1] mettendo in guardia gli investitori da un settore che, pur innovativo e decisamente interessante, presentava ancora troppi rischi per chi vi impiegava risorse. Rischi dovuti soprattutto alla mancanza di controlli e supervisione e alla presenza sul mercato di operatori improvvisati e poco affidabili.
Da allora non ci sono state sostanziali novità sulla sicurezza e sulle garanzie per i sottoscrittori, mentre il mercato delle criptovalute ha pericolosamente oscillato fra strappi al rialzo e brusche cadute: un anno fa il bitcoin (la cripto più diffusa) valeva circa 43.000 Euro: oggi ne vale meno di 20.000, con un calo del 55%; casi di banche o intermediari falliti o comunque in default si sono susseguiti con una preoccupante accelerazione negli ultimi tempi.
Solo per citare gli ultimi casi, i più eclatanti: nel novembre 2022 falliva FTX con un buco stimato in circa 32 miliardi di dollari; lo scorso mese di febbraio ha sospeso tutte le operazioni “The Rock Trading” e nella settimana appena conclusa è stata la volta di “Silvergate Bank” che ha dichiarato fallimento. Non sono i primi e certamente non saranno gli ultimi casi di default nel settore di chi produce e commercializza questi nuovi (neanche poi tanto) mezzi di pagamento dell’era digitale.
Sia chiaro: chi segue la finanza non può essere pregiudizialmente contrario a nuove tecniche e nuovi strumenti. L’innovazione è la cifra del mercato finanziario, da quando – all’alba dell’homo sapiens – venne creata la moneta a quando i banchieri toscani inventarono la lettera di cambio e via via fino ai derivati e agli strumenti più complessi. Anzi, è pressoché certo che ci sarà un futuro luminoso per le criptovalute, una volta che il sistema si sarà stabilizzato, che si sarà formata una rete di protezione e garanzia da parte delle banche centrali, che sarà stata istituita una supervisory authority con adeguati poteri e autorevolezza preposta a vigilare sugli intermediari.
Il problema di oggi, però, è ancora la vulnerabilità del mercato per operatori senza scrupoli, oppure semplicemente inidonei a garantire gli sprovveduti investitori. Il rischio concreto è che, una volta acceso il PC, il sito dal quale abbiamo acquistato non compaia più sul monitor oppure – come è stato per la Silvergate Bank – sia consentito l’accesso agli account in sola modalità di lettura, in attesa che si definisca la procedura del chapter 11, quella che disciplina il fallimento delle società.
Ma c’è anche un altro aspetto che desta preoccupazione, legato alla modalità tecnica di emissione delle criptovalute. In sostanza si tratta di questo: il valore di una bene è legato alla sua rarità, ovvero al fatto che ne esiste una quantità per sua natura limitata. Nel caso dei bitcoin, questa caratteristica è assicurata dalla procedura di emissione, attivata dai “minatori” attraverso le blockchains. I minatori (miners) sono coloro che realizzano il processo di creazione di monete virtuali tramite un lavoro informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei computer invece della forza fisica di un minatore.
Questo processo di creazione delle monete virtuali può essere perfetto e inattaccabile da un punto di vista tecnico e informatico, ma continuamente emergono sul mercato operatori che introducono nuove criptovalute, per cui il concetto di rarità va a farsi benedire.
A differenza della moneta corrente, il bitcoin non può essere usato per comprare beni o servizi o per rimborsare debiti in Euro: non ha, cioè, corso legale. Può essere accettato solo in virtù di una libera scelta da parte di chi aderisce a quel circuito. E questo ne riduce molto la potenzialità e la sicurezza per l’investitore.
Fino a quando il bitcoin (o le altre criptovalute) non avranno lo stesso livello di garanzia delle monete a corso legale, i rischi sono davvero troppo alti. Ciò è reso più difficile dal fatto che la loro circolazione non è limitata a un singolo Stato, ma – come tutto quello che promana dal magico mondo di internet – è assolutamente globale.
In relazione a questo aspetto, non può non ricordarsi un’importante novità: si tratta della moneta digitale promossa (e in alcuni casi già realizzata) proprio dalle banche centrali, la cosiddetta “Valuta digitale della banca centrale” (in acronimo inglese CBDC, Central Bank Digital Currency). La diffusione di quest’ultima dovrebbe determinare il superamento del maggior limite del sistema dei bitcoin, ovvero il fatto che le cripotvalute non vengono accettate come moneta a corso legale o che non sono fino ad ora riconosciuti come idonei ad adempiere le obbligazioni in un determinato contesto normativo. Il processo è in corso da tempo e procede con molta lentezza, tanto che negli ultimi anni non ha registrato concreti e decisivi passi avanti. Inutile nascondersi le difficoltà di questo progetto, tanto maggiori quanto più frequenti sono i casi di default di banche e società finanziarie operanti in questo settore.
In questi casi il problema diventa quello di gestire l’emergenza, di dare una risposta alle migliaia di investitori truffati o comunque impoveriti dall’incauto impiego in criptovalute. E inevitabilmente il mercato ne risente, con crolli improvvisi del valore del bitcoin, che poi vengono gradualmente riassorbiti e con molta calma il prezzo torna a risalire. È infatti evidente che c’è un grande interesse nel popolo dei risparmiatori per questi strumenti, che promettono di realizzare guadagni in conto capitale ben più consistenti di quanto consentito dai modesti livelli dei tassi di interesse degli asset tradizionali.
Alle criptovalute viene poi associata l’immagine negativa del fatto che sono gli strumenti principe per i mercati illegali del web, in quanto garantiscono l’anonimato di chi paga (e di chi incassa).
Non è un mistero che molti stati (come la Russia e la Cina) stanno guardando con interesse e sicuramente investendo copiosamente in queste nuove valute, al fine di sottrarsi al dominio incontrastato del dollaro come valuta di scambio e unità di conto delle transazioni internazionali.
Alla luce di tutto questo, è ancora necessario mettere in guardia i risparmiatori dall’entrare in questo comparto, che non a caso viene fortemente pubblicizzato da molti operatori border line nel settore del trading online. Perché quello che è certo è che questi signori, nonostante le alterne e rischiose vicende di mercato, incassano laute commissioni (in dollari o in Euro) da chi decide di dare ascolto ai canti delle sirene.
[1] Si veda l’articolo “Attenti ai bitcoin” del 25/11/2020 in: https://www.marcoparlangeli.com/2020/11/25/attenti-ai-bitcoin.
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