In Marcia?

In Marcia?

Mar, 06/27/2017 - 07:26
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Proseguiamo l’analisi dello scenario europeo iniziata la scorsa settimana, come al solito nell’ottica di capire i possibili trends dei mercati in termini di prezzi, tassi, variabili finanziarie e reali.

Avevamo visto come possiamo ritenere sostanzialmente conclusa la prima fase dell’Europa unita, quella a trazione congiunta franco-tedesca con il forte supporto britannico. Una fase sicuramente con molti problemi e molte imperfezioni, ma anche un periodo di sessant’anni di pace e sviluppo economico senza precedenti.

Il giudizio su questo ciclo che si chiude è ovviamente articolato, con molti pros ma anche alcuni cons certamente non trascurabili, come non trascurabili sono le tensioni populiste anticomunitarie emerse in molti paesi dell’Unione (in primo luogo il Fronte Nationale in Francia, la Lega e il Movimento 5 Stelle in Italia, altri di minore portata in Austria, Olanda, Spagna).

Sui punti di forza abbiamo già detto. Vediamo ora quali sono i punti di debolezza e soprattutto cerchiamo di capire se la fase che si apre potrà portare al loro superamento.

Il maggior punto critico, dal nostro punto di vista, è l’evidente strapotere tedesco sui meccanismi decisionali. La Germania sta attraversando un periodo di consistente crescita economica trainata dalle esportazioni; mantiene un bilancio pubblico in equilibrio ed ha una politica economica tradizionalmente improntata al rigore ed al controllo rigido dell’inflazione. Il suo interesse è pertanto quello di favorire misure restrittive e di forte attenzione al pareggio di bilancio.

 

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I paesi più deboli (non solo Italia, Grecia, Portogallo e Irlanda, ma ora anche Francia e Spagna) devono invece ancora uscire dal tunnel della grande crisi iniziata nel 2007: hanno quindi necessità di politiche monetarie espansive e di bilanci pubblici flessibili.

 

Il fattore che fino ad oggi ha tenuto insieme le due “anime” dell’unione è stata la grande capacità e visione strategica di Mario Draghi che, con determinazione e diplomazia, è riuscito ad impostare i giusti programmi di sostegno, guidando con sapienza anche i vascelli più lenti fuori dalle secche della recessione. Ha usato tutti gli strumenti a sua disposizione (“whatever it takes”), in primo luogo il quantitative easing, ovvero il programma di acquisto di titoli sul mercato, finalizzato a fornire liquidità al sistema e quindi ad agevolare credito alle imprese e alle famiglie.

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Questo programma è già stato ridimensionato, e nell’arco di qualche mese verrà concluso: facile aspettarsi dunque un aumento dei tassi in Eurozona.

D’altra parte le banche non sempre hanno trasformato l’abbondante liquidità in crediti all’economia; molto spesso hanno preferito fare carry trading ovvero impiegare fondi facili ottenuti a tassi negativi in più redditizi investimenti finanziari.

 

Il parallelo aumento dei tassi negli Stati Uniti compenserà il prevedibile conseguente rafforzamento dell’euro: per questo motivo il cambio del dollaro non è atteso in sostanziale modifica rispetto ai livelli attuali.

 

Se dovessimo dare un’indicazione di investimento, ciò che appare più ragionevole sembrerebbe dunque la preferenza verso obbligazioni a tasso variabile, anche a scadenza medio lunga e anche di paesi periferici dell’eurozona. Sull’azionario, come più volte detto, suggerirei invece prudenza perché dopo la corsa degli ultimi mesi ci aspettiamo una fase riflessiva, se non un vero e proprio ridimensionamento.

Proseguendo nella nostra analisi dei fattori strutturali deboli dell’Europa, non possiamo non fare riferimento alla mancanza di una politica estera comune e, soprattutto, di una politica fiscale unitaria. In entrambi i casi, però, l’ingresso sulla scena di Macron porterà buone notizie: il neo presidente transalpino ha già detto che sui flussi migratori è stato un errore lasciare l’Italia da sola ed ha proposto l’idea di un “superministro” delle finanze, che questa volta la Merkel ha definito “ragionevole e fattibile”.

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Il fattore decisivo di sviluppo, sul quale forse si giocherà il futuro politico dell’Unione, riguarda però il rapporto con gli altri protagonisti dei mercati mondiali, in primo luogo gli Stati Uniti di Donald Trump e la Russia di Vladimir Putin.ì

Nel primo caso occorrerà confrontarsi con la chiusura dell’orizzonte americano ai confini nazionali. Il mantra “America first”, se coerentemente perseguito, porterà infatti ad una concentrazione di risorse all’interno dei confini USA ed al rallentamento dei processi di apertura a beni e servizi esteri.

A partire dalle politiche di sicurezza, l’Europa dovrà quindi essere sempre più capace di gestire con mezzi propri i problemi di difesa ed a superare le incertezze del recente passato.

 

Nei confronti della Russia, il più importante mercato vicino all’Europa, sarà indispensabile invece superare le contrapposizioni dell’era Obama che hanno avuto il culmine nella crisi ucraina e prima possibile rimuovere l’inutile ed anacronistico blocco commerciale che danneggia solo le imprese europee.

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Anche verso l’Asia, l’Unione dovrà rendersi protagonista: Cina ed India sono mercati potenzialmente importanti, sull’apertura dei quali si deve lavorare.

Ed infine dovranno essere a pieno titolo nell’agenda della nuova Unione anche l’attenzione verso l’area mediterranea, con le tensioni politiche sulla cui origine l’Europa della prima fase ha più di una responsabilità, e verso il sud del mondo, fornitore del flusso migratorio più consistente della storia moderna.

Sicuramente sarà quindi un’Europa “in marcia”, e l’occasione di una rifondazione comunitaria sotto l’egida di Emmanuel Macron è un’opportunità da non perdere. Il futuro dovrà quindi vedere necessariamente l’Unione Europea in grado di rapportarsi da pari a pari con le grandi potenze e con i grandi temi politici del ventunesimo secolo.