Torniamo a parlare dei fondamentali

Torniamo a parlare dei fondamentali

Mar, 03/26/2019 - 08:30
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Molto spesso parlando di finanza e investimenti, si usano concetti – come ad esempio azioni e obbligazioni - il cui significato e la cui portata si danno per scontati, come se tutti coloro che leggono o che ascoltano li conoscessero alla perfezione. Talvolta, diamo per scontato anche noi stessi di conoscerli bene ma magari non ci rendiamo conto di trascurare alcuni aspetti che invece possono risultare decisivi.

Seguendo il suggerimento di alcuni lettori, crediamo sia utile per tutti tornare quindi ai fondamentali, cercando di capire bene cosa significano i termini che usiamo e che implicazioni essi possono avere. L’idea è quella di fare una sorta di “dizionario”, magari non completo o “ultra tecnico”, ma certo rigoroso e utile, di rapida e agevole consultazione.

Iniziamo dai due termini sicuramente più usati in finanza: azioni e obbligazioni e tutti quelli ad essi connessi, in primo luogo mercato azionario e obbligazionario.

Investire delle somme significa rendere disponibili quelle somme per altri soggetti. In un sistema aperto, infatti, chi dispone di risorse finanziarie in eccesso rispetto al suo fabbisogno, ha la possibilità di prestarle o comunque metterle a disposizione di altri soggetti, in modo da ottenere una remunerazione che andrà ad aumentare il suo reddito.

D’altra parte, esistono soggetti che hanno necessità di somme di denaro superiori a quelle che possiedono e che hanno l’opportunità di impiegarle in attività produttive che (almeno in via teorica) possano rendere più di quanto costi acquisire il denaro a prestito. Questi soggetti sono tipicamente le imprese, il cui fabbisogno di risorse, per investire in macchinari o per acquistare merci e materie prime, eccede, all’inizio del ciclo produttivo, le disponibilità liquide. Una volta che il ciclo sia terminato e il prodotto sia stato venduto, le risorse acquisite dall’azienda potranno essere restituite agli investitori.

E’ evidente come, per il sistema, il circuito risparmio-investimento sia un fattore formidabile di crescita, rendendo possibile – se tutto va come previsto – a ciascun player (risparmiatore, impresa, Stato) di guadagnare: una classica situazione win-win. Il risparmiatore ha infatti la possibilità di aumentare il suo reddito tornando in possesso delle risorse quando ne avrà bisogno, l’impresa di fare investimenti la cui utilità futura consentirà di ripagare e rimborsare le somme che le sono state affidate, la Pubblica Amministrazione vedrà il reddito complessivo del paese crescere, e con esso le tasse e le imposte che andrà a incassare.

Se fosse sempre così, sarebbe una vera pacchia. Purtroppo però in molti casi l’imprenditore non riesce a portare a termine con profitto i propri progetti e può capitare che si trovi nell’impossibilità di rimborsare i prestiti e anche di non pagare gli interessi o remunerare il capitale. In tal caso, l’effetto è diametralmente opposto e quasi tutti perdono: l’impresa che fallisce e il risparmiatore che vede volatizzarsi il proprio denaro.

Il punto chiave è allora quello di individuare correttamente, da parte del risparmiatore, coloro che sono meritevoli di ricevere risorse. Su questo punto torneremo in seguito.

Gli strumenti attraverso i quali i privati risparmiatori possono mettere a disposizione delle imprese risorse finanziarie sono sostanzialmente due: azioni e obbligazioni. Si tratta di due strumenti molto diversi, con caratteristiche e mercati ben distinti.

Iniziamo dall’obbligazione. Si tratta né più e né meno di un prestito, con il quale chi acquista il titolo (il risparmiatore o investitore, detto anche sottoscrittore) mette a disposizione del beneficiario (il prestatario o debitore, detto anche emittente in quanto è il soggetto che emette il titolo) una certa somma che deve essere restituita, entro la data di scadenza, e sulla quale devono essere pagati gli interessi.

Le caratteristiche tecniche delle obbligazioni possono essere le più disparate. In generale esse prevedono che il capitale venga restituito integralmente alla data di scadenza e che a intervalli di tempo prestabilito vengano pagati gli interessi, anch’essi predeterminati (in caso di taso fisso) oppure determinabili (se a tasso variabile).

Il prestito si materializza quindi in un titolo di credito, che il sottoscrittore può tenere in portafoglio fino alla scadenza, incassando via via gli interessi, oppure anche vendere sul mercato prima della scadenza, come vedremo.

Una volta le obbligazioni erano delle bellissime pergamene, come banconote ma molto più grandi (se ne possono vedere negli archivi storici delle banche), in cui veniva riportato il nome e il logo dell’emittente e le caratteristiche del prestito. Ciascun titolo equivaleva a un certo valore nominale, ovvero valore facciale, del prestito. Ad esempio, se veniva emesso un prestito obbligazionario di dieci miliardi di lire (supponiamo a 5 anni, al tasso fisso del 5% pagabile in rate semestrali e rimborso in unica soluzione a scadenza), venivano stampate 10.000 cartelle da un milione l’una. Ogni cartella aveva attaccati (con linee tratteggiate) tanti tagliandini, le cosiddette cedole, quante erano le scadenze degli interessi: nel nostro caso quindi il titolo aveva dieci cedole da lire 25.000 l’una.

Chi sottoscriveva il prestito per un valore nominale di un milione, ad esempio, riceveva una cartella completa. Alle scadenze degli interessi si presentava in banca, o alla sede dell’emittente, staccava una cedola e incassava gli interessi. Dopo 5 anni riportava il titolo all’emittente e riceveva in rimborso il milione che aveva investito inizialmente.

 

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Durante la vita del prestito, il sottoscrittore poteva tenere il titolo in casa oppure in una cassetta di sicurezza in banca. Se il nostro risparmiatore del secolo scorso avesse però avuto bisogno del suo milione prima della scadenza, poteva chiedere all’emittente, o più spesso alla banca, di ricomprarglielo pagando una commissione. Generalmente, se si trattava di emittenti solidi e si era in periodi normali, questi soggetti facevano di tutto per accontentarlo, perché questo consentiva di collocare più facilmente i titoli.

Ci si accorse quindi che era conveniente per tutti creare un vero e proprio mercato delle obbligazioni, che è stato in effetti all’origine di quello odierno, in cui i titoli sono completamente dematerializzati e si trasferiscono online con un semplice clic del mouse.

Lo vedremo meglio nel prossimo articolo.