Progressività e Piattezza: la Flat Tax

Progressività e Piattezza: la Flat Tax

Mar, 06/18/2019 - 07:24
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Se tutti pagassimo di tasse la stessa percentuale sul  reddito, che in termine tecnico si chiama “aliquota”, saremmo in una situazione di perfetta tax flat, ovvero “tassa piatta”, uno degli obiettivi dell’attuale compagine governativa italiana. Coloro che hanno redditi più elevati sarebbero dunque più avvantaggiati rispetto al nostro sistema fiscale attuale, nel quale la Costituzione prevede, come abbiamo visto nell’articolo precedente, la progressività dell’imposizione.

Le attuali aliquote delle imposte sul reddito (definite da un sistema progressivo “a scaglioni”, ovvero a intervalli), vanno infatti dal 23% per lo scaglione più basso, fino a 15.000 Euro, al 43% di quello più alto. Ciò significa che chi ha un reddito annuo di 10.000 € pagherà 2.300 € di IRPEF, mentre chi ha un reddito di un milione di Euro all’anno ne pagherà 423.170.

In sostanza, quindi, chi ha il reddito più basso ne pagherà il 23% al fisco, chi ha quello più alto, nel nostro caso, ne pagherà oltre il 42%. Il presupposto alla base della norma costituzionale consiste nel fatto che per i meno abbienti le imposte sono più onerose, ovvero che una stessa percentuale può risultare nel primo caso insostenibile e nel secondo caso molto meno pesante.

I lettori più attenti avranno notato che il 43% di 1.000.000 è in realtà pari a 430.000, mentre l’importo che abbiamo indicato è inferiore. Il motivo sta nel fatto che il metodo previsto nel nostro sistema è quello della progressività per scaglioni, ovvero vengono indicati cinque intervalli di reddito[1] ad ognuno dei quali si applicherà un’imposta pari a quella dello scaglione precedente più la percentuale calcolata sulla parte residua. Nel nostro caso, ad esempio, lo scaglione di reddito precedente è quello che arriva fino a 75.000 €, con aliquota del 41%, e che al massimo prevede un’imposta di € 25.420. Tale imposta va aumentata del 43% della parte residua (ovvero di 1.000.000 – 75.000), pari a 925.000, cioè di € 397.750, giungendo così all’importo dovuto di 423.170 €.

La ratio della progressività sta nel fatto che il peso delle imposte per il cittadino è tanto meno gravoso quanto più alto è il suo reddito. Nel nostro esempio, il primo contribuente resterà con 7.700 € di reddito disponibile, mentre il secondo con 576.830 €: pur avendo pagato aliquote diverse, il peso sostenuto per il carico tributario è in generale da considerarsi equo.

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Se avessimo invece un’aliquota unica, appunto flat (piatta), mettiamo pure per ipotesi al livello della minore, il 23%, il cittadino più ricco pagherebbe solo 230.000 €, restando con un reddito disponibile di 770.000: come si vede, una soluzione senz’altro a lui più favorevole. Lo sarebbe anche se l’aliquota unica fosse intermedia, diciamo del 30 o 35%, e lo sarebbe ancora di più se volessimo applicare un’aliquota che mantenesse il gettito invariato, come dovrebbe essere per non peggiorare, a parità di tutto il resto, il bilancio dello Stato. La misura sarebbe quindi una vera e propria redistribuzione del reddito dalle classi a minor reddito a quelle più abbienti.

Se invece si volesse lasciare invariato il peso fiscale per i più poveri, una manovra del genere dovrebbe essere compensata da minori spese oppure da un aumento del deficit, il disavanzo fra entrate e uscite pubbliche. Questo è uno dei motivi della diatriba fra il Governo italiano e la Commissione UE.

Naturalmente si tratta di scelte politiche legittime, una volta che siano passate al vaglio degli elettori. La scelta di favorire un ceto sociale rispetto ad un altro rientra pienamente nell’indirizzo politico e, anzi, la fiscalità è ormai l’unica leva di politica economica che gli stati nazionali dell’Unione ancora hanno a disposizione, essendo quella monetaria concentrata a Francoforte. Per questo l’unificazione fiscale sarà l’ultimo vero passo dell’unità europea, se mai ci arriveremo.

Ciò che non si può fare, in un sistema aperto, è ignorare i vincoli di bilancio. Non è l’Unione Europea che lo impone, ma le regole elementari di amministrazione. Non si può espandere il deficit all’infinito, ma solo nella misura in cui sia possibile trovare qualcuno che lo finanzi: tipicamente esso comporta infatti l’aumento del debito, a condizione che ci sia chi acquista i titoli del nostro debito. Ma per far questo, si deve dimostrare di avere i conti in ordine: chi concederebbe nuovo credito a un soggetto fortemente indebitato e in dissesto?

Legittimo, e anzi giusto, proporsi di ridurre il peso del fisco per i contribuenti. Occorre però indicare anche come far fronte al conseguente fabbisogno che se ne originerebbe. Inoltre, nel nostro sistema, l’abolizione della progressività delle imposte sul reddito richiederebbe una modifica della Costituzione, cosa non impossibile ma neanche scontata.

La flat tax, come tutte gli altri strumenti di alleggerimento dell’onere tributario, ha la sua ragion d’essere nel fatto che, aumentando il reddito disponibile per i cittadini, questi sarebbero portati ad aumentare la loro domanda di beni di consumo e di investimento, dando avvio a un circuito virtuoso di incremento del reddito attraverso il meccanismo del moltiplicatore[2].

Ci si dovrebbe chiedere, però, quale misura di beneficio fiscale sia più idonea a rendere massimo questo effetto: una riduzione di tasse per i redditi più alti, per quelli più bassi, oppure per le imprese. Normalmente sono i meno abbienti che hanno una maggiore propensione a consumare, per cui si può ritenere che una stessa riduzione di imposte per i redditi più bassi abbia un effetto moltiplicativo maggiore sui consumi, e sia quindi più efficace; mentre una riduzione di imposte per le imprese porti soprattutto a maggiori investimenti, e quindi all’aumento di domanda per beni di investimento.

In realtà si tratta sempre di enunciazioni teoriche, perché è comunque possibile che le risorse addizionali acquisite vengano invece impiegate per ridurre debiti preesistenti. E’ solo a posteriori che si può valutare la reale efficacia di una misura di agevolazione fiscale.

Nel prossimo articolo parleremo ancora di imposte dirette, e in particolare del sistema delle ritenute d’acconto e delle detrazioni, dopo di che ci occuperemo di quelle indirette, che vengono applicate non nel momento della produzione di ricchezza ma in quello della sua spesa o consumo.

La storia continua…

 

 

 

 

 

 

 


[1] I vigenti scaglioni di reddito, con le relative aliquote, per l’IRPEF sono i seguenti: fino a € 15.000 23%; da 15.001 a 28.000 28%; da 28.001 a 55.000 38%; da 55.001 a 75.000 41%; oltre 75.000 43%.

[2] Si veda, al proposito, il nostro articolo https://marcoparlangeli.com/2018/01/23/labc-delleconomia-consumo-e-consumismo/ del 23/1/2018, nel quale abbiamo di cercare in modo dettagliato il meccanismo del moltiplicatore keynesiano.

Commenti

Si ma devi sottolineare che chi sceglie il regime Flat , non può detrarre nulla mentre con i scaglioni è una giungla di detrazioni e un continuo di accertamenti e ricorsi tributari alle commissioni e non si finisce più con le e ingolfamento giudiziario a mille!