LA DOMANDA, LA DOMANDA, LA DOMANDA…O L’OFFERTA?

LA DOMANDA, LA DOMANDA, LA DOMANDA…O L’OFFERTA?

Mar, 07/20/2021 - 18:22
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La carenza di offerta sta pregiudicando la ripresa e spingendo l’inflazione

.benigni

I lettori con qualche capello bianco ricorderanno certamente l’esilarante uscita di uno stralunato Roberto Benigni alle prime armi durante un dibattito politico in una sezione del PCI in “Berlinguer ti voglio bene” del 1977. Non tanto per diminuire l’importanza della donna (un miraggio per tutto il film), quanto per riportare l’attenzione anche sull’altro piatto della bilancia: l’uomo.

Parafrasando (con qualche forzatura, lo ammettiamo) la battuta del geniale comico aretino (che speriamo resti comico e non voglia fare il leader di partito), possiamo dire che anche nel tema più “caldo” del dibattito economico di queste settimane, l’inflazione, ci stiamo erroneamente limitando a considerare una sola faccia della medaglia, quella della domanda. Trascurando invece l’altra, dalla quale questa volta il problema è nato: l’offerta.

.carenza di materie prime

In una formidabile sequenza di errori di strategia industriale, crisi politiche, eventi catastrofici, incidenti, ci siamo trovati al punto in cui praticamente ogni materia prima è carente sul mercato. Non si trova più niente, dai metalli ai cereali, dalla plastica al legname al cartone; e il divario che si sta creando con la domanda, a sua volta in crescita per l’uscita dall’epidemia, ha fatto impennare i prezzi, con aumenti che non si vedevano da decenni e che gradualmente si stanno trasferendo sui trasporti, sulla distribuzione e sui prodotti finali.

Le politiche monetarie, in questa fase giustamente espansive, delle banche centrali hanno a loro volta gettato benzina sul fuoco dell’inflazione, surriscaldando il motore dell’economia. Tanto che il problema oggi non è di combattere l’inflazione (sarebbe una guerra già persa in partenza), ma di capire quale può essere il livello sostenibile (in Europa si discute sul 2% medio, in USA siamo già oltre il 5% su base d’anno) e soprattutto se si tratta di una fase transitoria – e quanto - o se dovremo convivere con prezzi in crescita per ancora molti anni a venire.

E se anche fosse transitoria, alla fine torneremo allo status quo ante o ripartiremo dal nuovo livello raggiunto senza possibilità di recupero?

Oggi, palesemente, non abbiamo risposte a queste domande e non possiamo che barcamenarci fra l’incudine dell’inflazione e il martello del sostegno allo sviluppo economico, cercando di evitare il soffocamento già nella culla della neonata ripresa industriale post-pandemia.

Cerchiamo di capire come siamo arrivati a questo punto.

Già da diversi mesi chiunque svolga un’attività produttiva (artigiano, commerciante, industriale) si è accorto che acquistare le materie prime che servono al proprio lavoro è diventato non solo più caro, ma soprattutto più difficile. I fornitori abituali non hanno merce da consegnare, nuovi fornitori non si riescono a trovare. Magazzini vuoti, tempi di attesa insolitamente lunghi, e – ça va sans dire – prezzi alle stelle.

.shortage

La prima scena di questo film è la politica di gestione del magazzino dei grandi produttori, il cosiddetto just in time. Poiché il magazzino è un costo, che va finanziato, l’obiettivo è di ridurlo al minimo, cercando di minimizzare il tempo di giacenza e quindi di far coincidere il più possibile la consegna al cliente con l’acquisizione dall’esterno. In un mondo di prezzi stabili e materie prime abbondanti, la cosa funzionava benissimo, scaricando i rischi di approvvigionamento e di stoccaggio sui produttori, spesso localizzati nei paesi in via di sviluppo.

Ma quando la materia prima diventa scarsa, perché magari gli stessi produttori, prevedendo la crisi da pandemia, avevano ridotto coltivazioni, impianti e capacità produttiva, si crea una strozzatura. E non è possibile far ripartire il tutto come accendere un interruttore.

.microchips

I segnali erano arrivati già da qualche tempo con la penuria di semiconduttori, in particolare del silicio, suo componente principale (non a caso il distretto tecnologico USA si chiama Silicon Valley). La produzione di questi beni, centrali in ogni oggetto che oggi si utilizza, e soprattutto nell’elettronica tradizionale, è stata sempre più spostata e delocalizzata in Oriente: dalle nostre parti abbiamo mantenuto progettazione, design, assemblaggio, ma le fasi produttive sono state da tempo spostate in Asia, dove possono contare su costi del lavoro più bassi e disciplina assoluta.

Poi è intervenuta – o meglio, si è aggravata – la crisi nei rapporti Cina-USA con crescenti difficoltà nell’interscambio commerciale, tanto che è diventato centrale per l’approvigionamento il nodo di Taiwan. E qui, disdetta, si è verificata una siccità epocale finita la quale abbiamo assistito alla chiusura del Canale di Suez, attraverso il quale passano gran parte delle merci da quel paese. Questo problema si è da poco risolto, ma i suoi effetti sui traffici non sono stati ancor assorbiti.

.siccità

C’è poi stato il black-out in molte importanti zone industriali degli Stati Uniti, e questo non ha certo aiutato.

Nel frattempo, per agevolare l’uscita dal tunnel della crisi da pandemia, le banche centrali hanno continuato a inondare i sistemi economici con quantità di moneta mai viste nella storia: il bilancio della FED, a giugno 2021, è raddoppiato, arrivando a oltre 8.000 miliardi di dollari contro il 4.000 di un anno fa; quello della BCE a quasi 8.000 miliardi di Euro contro i 5.000 del Giugno 2020.

Prima o poi questo fiume andrà fermato e il missile dell’espansione monetaria riportato alla base: nessuno, ad oggi, sa come si faccia e quanto tempo occorra. Ma basta l’annuncio di questa consapevolezza per far crescere le attese di aumento dei tassi e spaventare i mercati.

.siccità

Il risultato? Aumenti dei prezzi dell’alluminio (+25%), del rame (+47%), di ferro e acciaio, nichel e zinco (+50%); ma anche del mais, del caffè, del grano (+12%), della soia (+15%), del legname (+20%).

Dei microchips abbiamo detto, ma pochi sanno che il governo Draghi ha per la prima volta bloccato l’acquisizione da parte di un primario gruppo cinese di un’azienda di Branzate (la LPE) che produceva, appunto, semiconduttori. E Draghi non è persona da intervenire a cuor leggero con mezzi così invasivi in modo protezionistico.