SE ATENE PIANGE, SPARTA NON RIDE

SE ATENE PIANGE, SPARTA NON RIDE

Mer, 07/20/2022 - 16:42
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Prosegue e si conclude la miniserie sui leader visti come manager. Parliamo questa volta dell’estero

.atene

Nei due articoli precedenti abbiamo analizzato, dal punto di vista della capacità manageriale, gli attuali leader della classe politica italiana. Il panorama che ne è emerso è piuttosto sconsolante: pochissimi giganti (probabilmente uno solo), molti nani (quasi tutti) e una sola donna nel cerchio ristretto di quelli che contano. Mal comune talvolta è mezzo gaudio, ma in questo caso ne dubitiamo: anche all’estero la situazione non è granché brillante, si fatica a trovare – nella politica internazionale – un leader che abbia esperienza e capacità consolidate di gestire organizzazioni complesse.

Iniziamo da Papa Francesco, dato che la Chiesa ha sempre avuto la capacità di scegliere grandi leader, grazie a meccanismi di selezione perfezionati e molto efficienti. Anche per questo è sopravvissuta nei secoli, superando persecuzioni, difficoltà e momenti di crisi profonda. Inoltre, Bergoglio aveva dalla sua l’esperienza come vescovo di Buenos Aires e, quindi, come capo della comunità cattolica forse più popolosa dell’America Latina, oltre – soprattutto - alla “militanza” nell’ordine dei gesuiti. La Compagnia di Gesù è un organismo notoriamente molto efficiente e quasi militarizzato, che gestisce progetti complessi in ogni parte del mondo.

.papa francesco

Purtroppo alla prova dei fatti, ovviamente senza entrare nel merito dell’alto magistero ideale e spirituale, il pontificato di Francesco si è rivelato non all’altezza del momento estremamente complicato in cui si è trovato a operare. Nonostante una grande popolarità, soprattutto fra i non cattolici, Bergoglio ha gradualmente perso il grip sulla Curia e sulle gerarchie vaticane, tanto da trovarsi spesso isolato e apparentemente impotente. Dei dossier aperti al momento del suo insediamento, e sui quali aveva preso posizione in modo molto chiaro, nessuno è stato chiuso e i problemi della Chiesa di oggi restano tutti ancora sul tappeto: dal celibato dei preti al sacerdozio delle donne, dal ruolo dello IOR (la banca del Vaticano) alle vicende delle diocesi coinvolte nei casi di molestie, dalle aperture nei confronti delle comunità gay al ruolo della Santa Sede nelle grandi questioni internazionali.

In particolare, per quanto riguarda la guerra in atto in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che rischia di allargarsi a dismisura, decisamente debole è stata la posizione di Bergoglio, nonostante il continuo richiamo nelle omelie e gli inviti alle preghiere per la pace. Probabilmente ha pesato la precedente politica di apertura nei confronti del patriarca ortodosso Kirill (col quale era stata intrapresa una strada di forte realpolitik ed ecumenismo finalizzata alla protezione dei cattolici in terra di Russia), poi rivelatosi strenuo sostenitore delle ragioni putiniane. Se pensiamo al ruolo avuto dal suo predecessore Karol Wojtyla in situazioni analogamente complesse, emerge chiara al confronto la debolezza di questo pontificato.

Non sorprendono quindi le voci che considerano molto vicine le dimissioni di Papa Francesco, considerate anche le condizioni di salute notevolmente peggiorate negli ultimi tempi e che porterebbero all’inedita compresenza di ben tre pontefici in vita.

.joe biden

Non molto più brillante il profilo di Joe Biden, anch’egli inadeguato per fronteggiare le difficoltà del momento e probabilmente in procinto di diventare un’”anatra zoppa” con le elezioni di Midterm ormai prossime negli Stati Uniti. La sua popolarità è infatti in calo verticale e al di là della netta posizione aggressiva nei confronti della Russia, nella quale non ha voluto o saputo usare l’arma della diplomazia e del confronto ma quella solita – più facile – del braccio di ferro, ha inanellato una serie di battute di arresto.

Quella che ha fatto più rumore è stata la dichiarazione di illegittimità della normativa che consentiva l’aborto da parte della Corte Suprema, grazie alla maggioranza di membri fortemente conservatori dopo le nomine di Trump. Per il suo partito, in cui l’ala radicale e liberal è molto forte, si tratta di un tema molto sentito, come pure quello della sanità dopo la mutilazione dell’Obamacare avvenuta durante la presidenza Trump. Anche la gestione dei dossier economici è stata molto deludente: entrato alla Casa Bianca con mercati in crescita sostenuta e prospettive economiche brillanti grazie a un poderoso programma di spesa pubblica, Biden si trova ora a dover fronteggiare un’inflazione di oltre il 9% (la più alta degli ultimi 30 anni) con mercati azionari che hanno perso circa un terzo del loro valore da inizio anno e una inevitabile politica monetaria restrittiva della Fed che sta facendo crescere i tassi di interesse e che comporterà la risalita della disoccupazione.

Anche i temi dell’ordine pubblico sono una spina nel fianco per il Presidente, che sta cercando con scarsi risultati di ridurre l’uso indiscriminato delle armi e la libertà del loro reperimento dopo le tragedie delle sparatorie nelle scuole e in centri affollati. Analoga frustrazione per quanto riguarda l’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine.

 

Data l’età avanzata, probabilmente Biden non si ricandiderà per il nuovo mandato, ma se il Partito Democratico non riuscirà a trovare un candidato all’altezza della situazione, l’eventualità del ritorno di Trump, sebbene indagato per l’assalto al Campidoglio, diventerà molto più che un’ipotesi.

.macron

Tornando in Europa, e nonostante la parziale sconfitta del suo partito nelle recenti elezioni politiche (con l’effetto di produrre un Parlamento in cui non ha maggioranze), pare che il presidente francese Emmanuel Macron disponga di una migliore leadership, anche se la sua capacità di delivery è risultata, alla prova dei fatti, inferiore alle attese. La visione strategica e la lettura dei fatti politici sono sicuramente molto elevate, ma la sua esperienza deve ancora consolidarsi.

Macron ha avuto il merito di saper intercettare un consenso importante creando un nuovo partito (EM, En Marche, con le stesse iniziali del suo nome) che gli ha consentito di conquistare l’Eliseo per ben due volte. La sua strategia fortemente focalizzata sull’Europa – dove in questo momento, grazie alla forte intesa con Mario Draghi e alla mancanza di altri leader autorevoli, sta esercitando un ruolo primario – è risultata finora premiante, ma il giudizio sulle sue capacità manageriali non può che restare sospeso. Staremo a vedere.

In altri casi, in Europa, assistiamo a uno sconsolante vuoto di leadership: dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, in Germania il socialdemocratico Olaf Scholz appare molto incerto e debole e i tempi per il verde Robert Habeck non sono ancora maturi; in Gran Bretagna dopo le dimissioni di Boris Johnson il partito conservatore è ancora in alto mare per la scelta del successore; in Spagna il premier socialista Pedro Sanchez deve ancora consolidarsi.

Esulano dalla nostra analisi i leader politici esponenti di regimi autoritari (Putin in Russia e Xi Jinping in Cina) perché in quel caso lo strumento di potere, piuttosto che l’autorevolezza e la leadership, è il controllo di tipo militare.

.atene

Si conclude così questa miniserie in cui abbiamo voluto fare una carrellata a volo d’uccello sulle figure dei leader politici dal punto di vista della loro capacità di gestire organizzazioni complesse con visione strategica e managerialità. Il panorama, sia a livello nazionale che all’estero, non è certo incoraggiante e il confronto con i giganti del passato è sconfortante. Viviamo tempi di mediocrità diffusa, alla quale spesso sono dovute le crisi e gli sbandamenti a cui assistiamo.