Lavoro femminile e banche: non è più un lavoro per uomini!
Continuiamo questa settimana il nostro viaggio nel mondo del lavoro femminile qualificato per capire se e cosa cambia con l’economia digitale, la globalizzazione, la new economy.
Dopo l’incursione nel settore della tecnologia, le occasioni sprecate per il capitale umano femminile e le “infiltrate” che devono rinunciare alle prerogative femminili per lavorare e farsi strada, con il pregnante articolo di Chiara Falletti della scorsa settimana, è ora la volta delle banche, osservate da un’amica che le conosce molto bene dall’interno, Alessandra Orlando.
Come cambia il ruolo delle donne in banca e il loro accesso alle funzioni manageriali, cosa implica la loro sempre maggiore presenza nel mondo del credito, quali sono le loro retribuzioni: questo e altro nell’articolo di questa settimana, da non perdere.
La prossima settimana sarà la volta del ruolo femminile in finanza, delle problematiche di genere e dell’educazione finanziaria, con il contributo di Claudia Segre.
Buona lettura!
In un Paese come l’Italia, in cui le donne in politica sono ancora una percentuale piuttosto bassa rispetto alla media europea, la finanza sembra essere invece in controtendenza rispetto al dato nazionale.
Una ricerca effettuata dal Sole 24 Ore, in collaborazione con le banche italiane, mette infatti in evidenza come le donne manager, nel mondo della finanza, ricoprano più spesso che in passato ruoli chiave.
I dati analizzati nel periodo successivo alla crisi sulla composizione dei Board delle banche italiane ha evidenziato come sia cresciuta l’incidenza della componente di genere femminile (in media dal 5% al 20% contro una media delle banche europee del 22%)
E in un momento in cui si parla sempre più frequentemente di contrazione degli sportelli bancari, reputati ridondanti ed inutili con la diffusione delle piattaforme digitali, l’occupazione femminile nelle banche italiane è sostanzialmente alla pari rispetto a quella maschile.
Ma come mai, un’attività per molti anni prettamente maschile (ricordiamo gli impiegati con le sopramaniche nere degli anni 50 e 60) è così decisamente virata al femminile?
Il lavoro bancario è ancora attrattivo o si è verificato un suo downgrade nella scala delle attività lavorative dotate di appeal?
Negli Stati Uniti il lavoro bancario è sempre stato sostanzialmente relegato ai margini della scala sociale, affidato in gran parte ad immigrati reclutabili con un basso salario.
In Europa lo status sociale del bancario ha mantenuto invece per molti anni una notevole solidità.
Ora questa solidità è venuta meno. Il lavoro in banca ha perso l’aura del posto fisso sicuro, la retribuzione si è mediamente abbassata, il lavoro si è fatto in gran parte ripetitivo, le pressioni commerciali sono aumentate, i conflitti con i clienti anche.
E, proprio in questo scenario, le donne sono state assunte copiosamente nei ranghi dei bancari italiani, dirigono spesso agenzie sopportandone oneri ed onori, fanno anche carriera, con retribuzioni sempre più basse rispetto ai colleghi uomini.
Il divario in busta paga nelle banche rimane del 20% secondo i dati raccolti dall’Osservatorio JobPricing, facendo proprio il lavoro del World Economic Forum, che da una decina d’anni pubblica una delle rilevazioni più complete e puntuali sul tema: il Global Gender Gap Report.
In questa classifica l’Italia si posiziona al 50° posto su 144 Paesi analizzati, con un indice di 0,725 (0 significa la totale disuguaglianza, 1 la totale uguaglianza tra i sessi); questo significa che l’Italia colma per il 72% circa le differenze di genere di qualsiasi tipo all’interno del proprio Paese.
Insomma le cose sono molto cambiate da vent’anni a questa parte e in particolare negli ultimi dieci anni. Se un tempo l’attività bancaria non era un’attività per donne, ora si è decisamente femminilizzata.
Ed è stata scoperta la grande attitudine delle donne per il problem solving, capacità ritenuta per molto tempo assente nel mondo femminile, secondo le analisi psicosociologiche che venivano somministrate nei corsi di formazione aziendale all’inizio degli anni 90.
Ed è aumentata notevolmente l’istruzione femminile. Nel nostro Paese ogni 100 uomini che si laureano ci sono ben 144 donne che fanno altrettanto e ciò corrisponde a un numero di donne laureate che ogni anno supera quello degli uomini di oltre 50.000 unità: una enormità.
Guardando gli atenei, solo alla Bocconi la partita finisce in parità, e bisogna andare nei politecnici per trovare più laureati che laureate, ma anche qui le donne stanno rimontando in fretta guadagnando rapidamente posizioni anche tra le materie scientifiche, da sempre territorio maschile.
Ma, tornando all’inizio: le donne sono numerose in banca perché sono più brave o perché il lavoro bancario è meno desiderato dagli uomini?
Forse la risposta sta a metà. Le donne sono riuscite a dimostrare maggiori regolarità e disciplina rispetto ai colleghi che sempre meno ambiscono al classico “posto in banca”. O meglio, è talvolta un “ripiego” in attesa di una posizione più ambita e non la prima scelta.
Le donne invece, caparbie e precise, si accaparrano postazioni nei sempre più rari sportelli aperti ma avanzano anche tra le figure che maneggiano la banca del futuro.
E in questo panorama vagamente desolato delle banche che tagliano posti di lavoro e filiali, convertendosi sempre più al digitale, quale futuro è ipotizzabile per le donne?
Se da una parte c’è la frammentazione del lavoro – spesso occorre lavorare in posti diversi tra mattina e pomeriggio – dall’altra c’è l’opportunità, o percepita tale, dello smart working, il lavoro agile, che tanto attira le donne che lavorano perché fa pensare di riuscire a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, autentica araba fenice dell’universo di madri, figlie, mogli e compagne.
Salvo poi verificare che sono gli uomini che, molto più delle donne, colgono la possibilità di lavorare da casa, o dalla postazione lavorativa più a portata di mano in quel momento.
La digitalizzazione può offrire autentiche possibilità alle donne che lavorano in banca? Potenzialmente si, anche perché può perdere importanza il fattore tempo nel rapporto di lavoro. Le donne sono sempre state nemiche del lavoro straordinario, incompatibile con le loro mille attività. Ed è invece sul tempo passato in banca che si sono molto spesso misurate le maggiori o minori disponibilità nei confronti dell’azienda, stabiliti aumenti economici, dispensati premi e superminimi.
La digitalizzazione, le nuove piattaforme informatiche, la possibilità di lavorare a distanza dal posto di lavoro, consegnano altre possibili modalità per “misurare” e valutare la prestazione lavorativa. Si può provare a slegare la performance da quanto tempo si dedica al lavoro cercando di spostarla sulla qualità della prestazione, sulla competenza e sulle capacità dimostrate.
Almeno potenzialmente, salvo anche qui verificare che il rischio che si misurino i “pezzi” lavorati continua a sussistere, mettendo in crisi la possibilità di un lavoro svolto in relativa tranquillità tra un colloquio con gli insegnanti, la preparazione della cena e un briefing aziendale .
Certo le donne hanno dalla loro la grande duttilità ed elasticità con cui sono abituate a gestire la propria vita e quella degli altri.
Mi piace immaginare che anche nella banca digitale sapranno trovare nuovi spazi e costruire nuove possibilità.
Riusciranno ad inventarsi un nuovo lavoro, a “misura di donna”?
ALESSANDRA ORLANDO (*)
(*)
Alessandra lavora nelle banche da 37 anni e si è occupata di processi organizzativi, di consulenza legale e di erogazione del credito. Da quasi 20 anni è impegnata nella contrattazione e nelle ristrutturazioni aziendali. Vive tra Milano e il resto d’Italia.
Ha tre figli tra i 20 e i 30 anni alle prese con la costruzione del loro futuro.
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