LA SVOLTA NEL SEGNO DEL BUFALO

LA SVOLTA NEL SEGNO DEL BUFALO

Mer, 03/24/2021 - 19:06
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Il 2021 sarà l’anno della svolta

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A pensarci bene, questo 2021, l’anno del bufalo secondo il calendario cinese, può davvero essere un anno di svolta nel nostro panorama politico ed economico, non solo e non tanto per le vicende del coronavirus che da circa un anno sono piombate nelle nostre vite con effetti devastanti, ma per tutti i cambiamenti che sono avvenuti o sono iniziati sia a livello nazionale che europeo e mondiale.

Per quanto riguarda il virus, è abbastanza ragionevole prevedere che – nonostante tutte le difficoltà e i rallentamenti – la macchina delle vacinazioni di massa si metterà presto in moto a pieni giri pressoché dappertutto fino alla cosiddetta immunità di gregge. Ciò non significa che la pandemia verrà sconfitta per sempre e torneremo alle vecchie abitudini: probabilmente ci vorrà ancora molto tempo, ammesso e non concesso che sia possibile tornare al passato come se niente fosse.

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I cambiamenti nelle abitudini imposti dal distanziamento sociale, la diffidenza per i contatti interpersonali, il timore per gli assembramenti, resteranno per molto tempo nei nostri modi di vivere e comportarsi. Anche nei rapporti economici una serie di effetti di questo periodo si faranno sentire a lungo: dallo smart-working alla prevalenza dell’e-commerce rispetto al commercio tradizionale, dalla preferenza per l’usa e getta alle sanificazioni diffuse. Si preannunciano tempi difficili per il turismo e gli spostamenti, per gli spettacoli dal vivo e gli eventi ad alta partecipazione di pubblico; nella scuola e nella formazione manterrà una notevole importanza – anche se si spera che non resti prevalente - la didattica a distanza, e così via.

Ma a parte la pandemia, rispetto a solo qualche mese fa la scena politica è radicalmente cambiata. In primo luogo è (finalmente) sparito il personaggio che è stato protagonista del panorama politico mondiale di questi ultimi anni: il tycoon ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il suo successore, oltre a essere una persona “normale” ovvero un classico prodotto dell’establishment politico tradizionale (il che non è di per sé garanzia di affidabilità, ma lo rende sicuramente più “prevedibile”), è stato anche il vice di Barack Obama. Questo non ci autorizza ad attendersi un semplice ritorno al passato – come abbiamo scritto in un precedente articolo non si può pensare di rimuovere dalla storia la lunga parentesi trumpiana – ma certamente Biden ricomincerà da dove aveva lasciato.

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I rapporti con la Russia, dopo l’idillio fra Putin e Trump culminato nell’accusa al leader russo di aver tentato di manipolare il risultato elettorale per favorire il biondo, sono tornati ad essere tesi e ruvidi. Biden ha rivolto pesanti accuse allo zar Vladimir, il quale ha risposto per le rime. E’ stata cambiata la decisione di abbandonare unilateralmente gli accordi mondiali sul clima, e c’è da scommettere che, con gradualità ma in modo sistematico, tutte le impostazioni più controverse dell’”America first” vengano rimesse in discussione.

Verrà sicuramente rivalutato il ruolo della Nato e l’importanza strategica del rapporto con l’Europa, palesemente e platealmente trascurata da Trump. Non è invece cambiato l’atteggiamento di aperta sfida nei confronti della Cina, con la quale il contrasto è di natura epocale e trascende le personalità dei singoli leader.

Anche l’Europa è profondamente cambiata negli ultimi mesi, e più ancora lo sarà nei prossimi, quando lascerà la scena la più grande leader dell’ultimo ventennio, Angela Merkel. Con l’uscita dell’Inghilterra, la probabile riconferma di Macron all’Eliseo e la guida in Italia affidata a Mario Draghi, i prossimi anni potrebbero passare, per l’UE, ad una trazione “latina” franco-italo-spagnola, con i paesi del nord (i cosiddetti “frugali” ) a fare da contrappeso alla forte tendenza espansiva. Le ingenti risorse mobilitate con il programma Next Generation EU sono il simbolo più evidente, così come la continuazione della politica monetaria generosa da parte della BCE.

Il forte ridimensionamento quasi ovunque delle formazioni sovraniste e antieuropeiste rafforza sicuramente il peso delle istituzioni comunitarie.

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Ma è forse proprio l’Italia che vedrà il cambiamento maggiore: il passaggio da Giuseppe Conte a Mario Draghi sarà molto più incisivo di qualunque avvicendamento di primo ministro avvenuto in passato (forse con la sola eccezione di Bettino Craxi a suo tempo).

Il pragmatismo, l’esperienza, l’autorevolezza di cui gode in tutti i contesti internazionali il premier aumenteranno il peso specifico del nostro paese, anche se si dovranno scontrare con la forte resistenza al cambiamento e l’azione frenante della burocrazia. Tuttavia, per quanto si diceva all’inizio, la strada dello sviluppo economico e della ripresa produttiva è ancora molto lunga e incerta: peraltro siamo ancora in lockdown e le attività son ben lungi dall’aver ritrovato il vigore che in altri paesi hanno già raggiunto.

Il nostro sistema rimane strutturalmente debole ed esposto ad ogni tipo di intemperie, primo fra tutte il paventato aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione. Scommettere oggi sull’Italia dei prossimi due anni è senz’altro possibile e ha senso, ma resta ad alto rischio.

Il nostro consiglio per chi ha risorse da investire non è quindi cambiato: in un orizzonte di circa un anno puntare ancora sull’azionario (meglio se Europa, USA e asiatico) destinato a beneficiare – se non altro per inerzia – della liquidità che le banche centrali continueranno a riversare sull’economia e limitare la componente obbligazionaria al tasso variabile. Fra i settori, saranno preferibili quelli ciclici, legati alla ripresa produttiva, rispetto ai tecnologici che hanno corso molto in questi ultimi mesi.

Buone opportunità di crescita per le commodities, in particolare gli energetici (nonostante gli aumenti, previsti e in parte già avvenuti, della quotazione del petrolio) e l’oro. Alcuni settori di nicchia, come quelli legati alla cyber security, conosceranno un vero e proprio boom.