L’EUROPA DEI MULINI A VENTO
La transizione energetica è il vero fattore strategico dell’Europa degli anni venti.
Che vento spira sul vecchio continente?
All’inizio di questi anni Venti, funestati prima dal coronavirus e poi dalla follia della guerra, cerchiamo di capire – per quanto ci è consentito da un’informazione mainstream sempre più di parte e sempre meno attendibile – come sta cambiando l’Europa e soprattutto quali sono le sfide che le stanno davanti.
La più importante delle partite che si stanno giocando è senza dubbio quella energetica: la transizione verso l’effettiva indipendenza e autonomia in campo energetico è infatti il vero fattore strategico che potrà determinare lo sviluppo e il consolidamento dell’Unione oppure la sua sconfitta e graduale emarginazione. Nel primo caso l’Europa potrà non solo respingere le minacce che provengono dalla macelleria putiniana, attraverso un’effettiva efficacia delle sanzioni economiche, che sono l’unico modo di contrastare la guerra senza ricorrere alla corsa agli armamenti e all’alimentazione della spirale bellica. Nel secondo caso continuerà ad essere il terreno di scontro fra le due superpotenze (russi e americani), in attesa che siano i cinesi a entrare in gioco.
Purtroppo un’Europa che dipende dal gas moscovita non potrà che avere armi spuntate per le sanzioni economiche. Se vogliamo che queste abbiano effetto, non c’è che una sola strada: bloccare totalmente, fin da subito, gli acquisti di energia dai russi. In questa logica, il divieto di importare il carbone dalla Russia recentemente annunciato da Ursula Von Der Leyen è una prima importante misura nella giusta direzione, di limitato contenuto economico ma di grande rilievo politico.
E per poter arrivare a questo risultato senza che i sistemi economici ne siano travolti, non c’è che una sola soluzione: il ritorno al nucleare. Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma dobbiamo ammettere che non esistono – al momento – altre strade credibili.
Questo comporta ovviamente un periodo di tempo non breve (e lunghissimo se paragonato alla velocità degli attuali cicli economici) per la costruzione di nuovi impianti e la riconversione dei vecchi, dismessi grazie alle pressioni degli ambientalisti. Fino a quel momento non potranno che esserci soluzioni transitorie: ricerca di fornitori alternativi per il gas naturale e per il petrolio, sviluppo delle fonti rinnovabili (in sostanza fotovoltaico ed eolico) e del carbone, riduzione dei fabbisogni.
Dovremo essere preparati a carenze di approvvigionamenti, di cui abbiamo già sperimentato un assaggio negli ultimi due anni, e ad aumento anche consistente dei prezzi, con effetto moltiplicatore sui prezzi frenante sulla crescita economica. Tutto questo si tradurrà, inevitabilmente, in una spinta alla stagflazione, con la quale dovremo abituarci a convivere fino a che la transizione energetica non sarà completata. Uno scenario già visto negli anni ’70 del secolo scorso e ancora vivo nei ricordi di chi c’era: inflazione al 20%, austerità, crisi economica.
Viene da ridere pensando a quando ci dicevano che l’inflazione sarebbe stata temporanea e sarebbe rientrata già da quest’anno, o quando ci dicono che resterà limitata al 5%: siamo già al 7,5% ufficiale, ma le bollette che stanno arrivando in questi giorni sono circa il doppio di quelle dell’anno scorso.
Non solo: l’energia nucleare aumenterà la vulnerabilità dei nostri sistemi; non esiste un nucleare sicuro al 100%, anche se rispetto ai tempi di Chernobyl si sono fatti molti passi avanti negli standard di sicurezza. Il rischio di disastri ci sarà sempre, e dovremo imparare a conviverci, come già fanno francesi e giapponesi da decenni. Come abbiamo visto anche nella guerra in corso, le centrali sono un obiettivo strategico importante e anche molto concentrato, un po’ come lo sono metropolitane e acquedotti per le minacce terroristiche. Basta attaccare o bloccare un sito per fare disastri enormi su grandi masse di popolazioni.
L’opzione di un mondo senza fonti energetiche o (il che è quasi la stessa cosa) con il solo utilizzo di fonti rinnovabili, è semplicemente non ipotizzabile. Purtroppo non basta andare a cavallo o in bicicletta, cucinare con la legna o riscaldarsi con le coperte, coltivare la terra a mani nude o con l’aiuto degli animali: ci sono attività fondamentali per le nostre società che si possono svolgere solo con utilizzo massiccio di energia: dalle comunicazioni alla medicina, dai trasporti pubblici alla sicurezza. La riduzione dei consumi è certamente un obiettivo importante, soprattutto per aree geografiche che non dispongono di risorse naturali nei propri sottosuoli, ma è un palliativo: sicuramente necessario ma del tutto non sufficiente.
La tendenza è infatti quella all’aumento di utilizzo di energia in tutti i campi, a partire dal digitale con l’enorme assorbimento provocato, ad esempio, dalla produzione di cripto-valute.
Paradossalmente l’energia nucleare è anche quella più pulita e quella che meno danneggia l’ecosistema, per cui si deve riconoscere che la guerra ha semplicemente accelerato un processo che già da anni (anche se con scarsi successi) era stato avviato per la limitazione dei combustibili fossili. Che quello fosse il punto di arrivo delle varie conferenze sull’ambiente, ci dovevano essere obiettivamente pochi dubbi.
Prima si comincia, meglio è.
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