QUI SI PARRÁ LA TUA NOBILITATE
Ora si vedrà se in 24 ore le guerre finiscono
Anche queste elezioni presidenziali USA, definite un po’ enfaticamente le più importanti della storia, sono finalmente passate. La grande sconfitta è stata ovviamente Kamala Harris, che aveva suscitato entusiasmi troppo precoci, ma anche del Presidente in carica Joe Biden, che troppo tardi ha abbandonato l’agone. L’attaccamento alla cadrega perinde ac cadaver evidentemente non è un’esclusiva solo italiana.
Sconfitto pesantemente anche il Partito Democratico in USA, che ha perso la maggioranza al Senato e si avvia a perderla anche al Congresso (lo spoglio delle schede non è ancora terminato). Sconfitti tutti i sondaggisti che avevano predetto un risultato testa a testa, e sconfitti anche gli analisti politici che avevano parlato di tempi lunghi per conoscere l’esito della competizione, quando al contrario è apparso chiaro fin dalle prime urne scrutinate che Trump stava vincendo a mani basse con un distacco superiore alle attese.
Avevano invece capito tutto già da un paio di settimane i mercati finanziari, che premiavano in modo consistente (fino al 10% in più rispetto agli indici generali di borsa) il cosiddetto Trump trade, ovvero il paniere di titoli azionari che sarebbero stati premiati dalla vittoria del tycoon sia per vicinanza conclamata alle sue posizioni sia per l’appartenenza a quei settori che prevedibilmente risulteranno avvantaggiati dalle misure di politica economica e fiscale che il biondo ha promesso in campagna elettorale.
Speriamo che non ne esca sconfitta pesantemente anche la democrazia, nel paese di più solida tradizione, e questo dipenderà da quanto Trump faccia cose diverse da quelle paventate: dai discorsi di stampo hitleriano all’intenzione di deportare venti milioni di immigrati irregolari, ad altre amenità del genere. Ad alimentare questa speranza, da un lato l’esperienza del precedente mandato presidenziale, nel quale il nostro – pur con tutti i limiti e le incertezze del caso – non ha dato spallate decisive al sistema USA, a parte il supporto all’assalto golpista al Campidoglio, che certo non è poca cosa. E dall’altro lato la circostanza che spesso quando si governa i proclami barricadieri cedono il passo a pragmatiche esigenze di realpolitik, un po’ come è successo in Italia per Giorgia Meloni.
Certo, il fatto di poter godere di solide maggioranze in Parlamento aumenta il rischio di derive autoritarie e di scardinamento del sistema di checks and balances che dovrebbe assicurare la sopravvivenza delle libertà democratiche.
D’altra parte il voto dei cittadini è stato forte e chiaro, e il mandato popolare non è in discussione. Torna alla mente un vecchio e irrisolto dilemma della scienza politica: cosa dovrebbe succedere – in un mondo ideale - se una maggioranza sceglie consapevolmente l’instaurazione di un sistema dichiaratamente tirannico e autoritario.
Se però anche una sola cosa di quelle promesse da Trump dovesse effettivamente verificarsi, la cessazione delle guerre in 24 ore, forse potrebbe valere la pena correre tutti i rischi che gli eventi presentano. Qui si parrà la nobilitate di the Donald: vedremo se riuscirà effettivamente a indurre lo zar di tutte le Russie alla ragionevolezza e a portare in Ucraina e in Medio Oriente una pace equa, stabile e duratura. Visti i fallimenti della classe politica attuale, è lecito aspettarsi che comunque peggio di così non si possa fare.
In ambito economico, invece, è abbastanza prevedibile il trend che si profila nei prossimi mesi. Il sistema fiscale, specie per i grandi contribuenti che hanno appoggiato in massa il biondo (uno per tutti Elon Musk di Tesla, ma anche le società petrolifere), verrà sensibilmente ammorbidito, e la spesa pubblica continuerà ad aumentare trainata dal programma di investimenti annunciato. Questo comporterà da un lato un tasso di sviluppo della produzione e di crescita del reddito nazionale lordo, ma dall’altro un sensibile peggioramento del deficit di bilancio, già a livelli di guardia.
Di tutti gli attuali fronti di contrasto fra le potenze, verrà mantenuto e rafforzato soprattutto quello con la Cina, corroborato da imponenti dazi doganali, con danni collaterali importanti anche per l’Europa.
I mercati dovrebbero apprezzare e mantenere il forte orientamento bullish, anche se ultimamente hanno corso molto. L’inflazione, invece, rischia di riprendere vigore proprio per gli effetti combinati di quanto si è detto sopra, e non è detto che Trump possa contare su una Federal Reserve, la banca centrale USA, filo-governativa. Molto probabilmente la FED manterrà la sua autonomia, come del resto il Presidente Powell ha implicitamente fatto intendere, affermando che non intende dimettersi, anche se richiesto, prima della scadenza naturale del suo mandato nel 2026.
Ma tutto sommato l’economia troverà i suoi equilibri, come ha sempre fatto, e non presenterà sorprese o evoluzioni molto diverse da quelle che avrebbe avuto se avesse vinto Kamala. I problemi saranno invece tutti politici, e in gran parte andranno a colpire proprio il nostro continente, verso il quale Trump ha spesso dimostrato di non avere alcuna simpatia (e infatti i mercati europei hanno reagito malissimo alla notizia della sua elezione).
Anche il preannunciato smantellamento della Nato comporterà un consistente aumento delle spese di difesa per noi poveri europei. Converrà forse riprendere in mano il dossier Draghi.
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