Pillole di Finanza: oro nero
In uno dei primi articoli del blog, parlando di megatrends, avevo scritto che una delle poche certezze (sempre che questa parola si possa impunemente usare in finanza) del panorama economico era il futuro aumento del prezzo del petrolio. In effetti, il prezzo del brent un anno fa era 27 dollari e ora è raddoppiato, a 54/55.
Se quella era una previsione relativamente facile, dato il livello particolarmente basso raggiunto, cosa possiamo aspettarci da ora in avanti, mettiamo per i prossimi 6/12 mesi?
Iniziamo col dire che chi avesse seguito quel suggerimento, se avesse seguito anche la regola “del 20%” di cui abbiamo parlato nella pillola di venerdì scorso, probabilmente avrebbe già venduto, ricomprato e rivenduto il titolo sensibile al prezzo del petrolio a suo tempo scelto (azione, ETF, fondo, ecc.), realizzato un utile di tutto rispetto e oggi non lo avrebbe più in portafoglio. Il problema che si pone, al nostro investitore fedele, è dunque: ricompriamo ora esposizione al petrolio dopo un anno buono di crescita costante? Infatti secondo i sacri comandamenti della finanza, non si dovrebbe mai comprare in corso o al termine di una sostenuta fase di crescita. A mio avviso, però, la situazione del petrolio è molto diversa: il prezzo dell’oro nero è rimasto infatti compresso lo scorso anno da almeno un paio di fattori: l’erronea interpretazione del rallentamento dell’economia cinese, e l’eccesso di offerta per sostenere il fabbisogno per spese militari di alcuni paesi mediorientali, che quindi non consentiva (e non consente ancora) di seguire politiche di cartello dei paesi produttori. La Cina l’anno scorso ha effettivamente rallentato la crescita, ma si tratta pur sempre di una crescita superiore al 6%, che alla fine si è peraltro dimostrata superiore alle previsioni. Può non fare piacere, ma la Cina continuerà a crescere, e a domandare sempre più energia. Inoltre, dovesse davvero diffondersi in Asia l’auto low-cost che l’industria automobilistica mondiale è ormai ampiamente in grado di produrre, India e Cina farebbero impennare la domanda di carburanti per trasporto con prevedibile conseguenza di far salire ulteriormente il prezzo degli idrocarburi. Difficile prevedere invece l’evoluzione della situazione politica mediorientale, ma è ragionevole aspettarsi che in ogni caso un accordo anche se parziale o temporaneo a livello OPEC venga raggiunto, col risultato di limitare la produzione di petrolio per sostenerne il prezzo. Altra variabile non di poco conto è vedere quali saranno gli effetti della “cura Trump” sull’economia USA, e in primo luogo quali saranno le decisioni di politica industriale che il tycoon neo-presidente assumerà, rispetto a quanto dichiarato nel programma. Da tutto quanto precede, sarei portato a ritenere molto probabile un primo ulteriore incremento del prezzo del petrolio intorno al 18% nei prossimi 5/6 mesi, fino al livello di 65 dollari che più o meno tutti gli analisti stimano. In relazione poi a come si evolveranno, e che intensità avranno, i fattori che ricordavo all’inizio, non sarei sorpreso di trovare la “quota 90” (quella già prevista dal bilancio pubblico russo) per la fine dell’anno.
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