Capitale umano femminile nell'era digitale: un'occasione da non perdere

Capitale umano femminile nell'era digitale: un'occasione da non perdere

Mar, 03/21/2017 - 07:44
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Per la prima volta questa settimana il blog ospita il contributo di un’amica, con la quale abbiamo condiviso uno scambio di idee su un argomento fino ad ora mai trattato qui: il rapporto fra donne e economia digitale, o meglio l’enorme spreco di risorse e di capitale umano – quello femminile – che neanche la new economy sembra riuscire a scalfire.

Il concetto è quello delle “infiltrate”, ovvero delle donne che per infrangere il “tetto di cristallo” rinunciano più o meno consapevolmente alle prerogative femminili per acquisire quelle tipicamente maschili. E così facendo tutti quanti perdiamo qualcosa.

A questo intervento seguiranno, nelle prossime due settimane, altri due contributi sullo stesso argomento da parte di due donne impegnate in campi diversi: in banca e in campo di educazione finanziaria.

Buona lettura!


 

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Nel mondo del lavoro (e non solo) esiste ancora una sostanziale disparità tra le possibilità e le energie spese e spendibili da parte di una donna e quelle da parte di un uom.

In particolare nel mondo della tecnologia: è vero che i generi hanno la possibilità di coprire gli stessi ruoli impegnando uguali energie? E vero che fin dai primi anni di età alle donne vengono proposti stessi input, stessi schemi di cultura, impegno, intelligenza? O piuttosto è vero che i condizionamenti sono già evidenti e radicati sin dalla scuola materna? Da noi il contrasto tra le possibilità dell’avvicinamento al mondo tecnologico tra una donna e un uomo è molto più subdolo, a confronto della evidenza in cui si consuma nella gran parte del resto del mondo. Una volta nelle scuole si insegnavano discipline tenute distinte e queste avevano un forte imprinting di genere. Raramente una donna si avvicinava alla matematica; nella fisica non poteva eguagliare il compagno di giochi che aveva già assorbito, per emulazione paterna, esperienza sul campo di lavoretti domestici e piccole riparazioni su automobili e motorini di casa.

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Nella storia ci sono stati mirabili esempi di donne meritevoli, ingegnose, scopritrici, eroine. Ma certamente ancora troppo pochi. Le poche che qualcuno ha definito ‘infiltrate’ (Nicola Palmarini – “Le infiltrate. Ragazze e tecnologia, stereotipi e opportunità” – Ed. EGEA 2016). Perché la donna ha dovuto omologarsi a uomo per entrare, da ‘infiltrata’ appunto, nel mondo del lavoro, per vedere riconosciuti forse gli stessi meriti? Anche qui l’uomo, o meglio l‘umanità tutta, ha forse perso un’occasione d’oro? Non bisogna essere delle infiltrate, baciate dalla fortuna, dai soldi, da un maestro presente, da una tenacia fuori dal comune, da una genialità superiore, da un genitore sensibile. Quanti geni ci siamo persi, quanto buon lavoro ci siamo giocati, quanto capitale umano (di genere femminile) andato in fumo? Perché nessuno ha mai misurato l’entità di questa perdita? Si creano algoritmi per tutto: perché non proviamo a pensare alle donne scolarizzate che non hanno raggiunto le stesse mete dei fratelli parimenti scolarizzati, come a know how e valore totalmente dispersi? Il contributo geneticamente diverso apportato dalla donna, avrebbe dovuto/potuto apportare valori diversi e in aggiunta a quelli conosciuti, che avrebbero ben potuto, nel tempo, cambiare e migliorare il profilo economico della società.

Si tratta allora di provare a riscoprire questi valori, e di vedere se e come è possibile recuperare il tempo, le risorse e le energie perdute.

 

 

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Il modo giusto, l’approccio anche solo economicamente più efficiente non può certo essere quello di appiattire e uniformare i generi: una sorta di genus laborans che poi è diventato genius… Non si possono riconoscere le differenze di genere come capitale, vero e proprio, per sviluppare una nuova economia della produzione e del lavoro? In definitiva il mondo del lavoro nei sistemi occidentali è stato creato dal genere maschile e su quella falsariga continua a crescere e a profilarsi: stesse leggi, dettami, regole. La donna in carriera deve diventare un uomo, abbandonare la propria indole materna, organizzatrice, contenitrice, perdonatrice.

Prendiamo l’e-commerce, il commercio e la tecnologia digitale. Un trading completamente diverso rispetto a quello tradizionale: si abbattono barriere di luoghi e di tempo, si viene a creare un mercato rivoluzionato e imprevedibile, per le sue applicazioni potenziali, per i suoi apporti. Qualsiasi cosa, parola, fatto appartiene al mondo, e ne fa il giro più volte in pochi secondi. Qui possono, a pieno titolo, entrare le donne: uno spazio vuoto che può essere disciplinato da regole nuove dove ci sia uno spazio per i deboli, per i piccoli, per i vecchi, per chi cresce e per chi muore, per chi vuole imparare. Spazio per idee diverse rispetto a quelle usuali: nuova comunicazione, nuovi modi di imparare. Le donne e la società si sono perse tutto questo? Si sono perse la possibilità di cambiare le leggi basate sui violenti profitti a tutti i costi? Non si tratta di inventare qualcosa di nuovo, ma di riconoscere e sfruttare il talento, la conoscenza, la capacità, il merito, la diversità a beneficio di tutti senza guardare la fotografia del proprietario. Invece ci ostiniamo a reiterare lo stesso modello: le donne pur di entrare nel mondo del lavoro hanno abbracciato una sorta di omologazione a quanto già in atto, non apportando nulla del femminile, ma anzi appiattendone il genere. Il vero dramma è che abbiamo ormai alle spalle  decine di anni di mondo tecnologico che doveva migliorarci la vita, e così non è stato. L’occasione per la svolta può essere ora, nel vuoto totale del commercio digitale: le donne possono emergere come ‘donne’ a riempire il gap che vuole il mondo diviso in due società.

Vengo da un campo in cui si studiano concetti applicabili al benessere del pianeta in termini di risorse naturali riproducibili; diversi anni fa sono state inventate una serie di leggi per valutare un progetto in termini di impatto ambientale e, una possibilità prevista, ma che viene perlopiù scartata, è l’opzione zero. Sarà la deformazione ingegneristica che considera tutto fattibile, tutto costruibile, che non può proprio accettare la NON realizzazione di un progetto; come se la stessa fosse una sconfitta per l’uomo, anziché sfida a creare di meglio o comunque  una tutela dell’umanità e delle risorse naturali. Occorre invece rivalutare l’“opzione 0”, cioè interventi di ammodernamento e messa a norma con impianti di mitigazione e interventi mirati alla risoluzione dei punti critici, senza però un ampliamento spropositato e ingiustificato, può talvolta essere la scelta vincente. Curiosamente l’opzione zero é una formula politica con cui si è indicata la volontà di raggiungere il disarmo totale. (ipotesi negoziale, proposta dal presidente statunitense R. Reagan nel 1981, in base alla quale USA e URSS avrebbero ritirato dall’Europa tutte le rispettive forze missilistiche). L’ipotesi del disarmo totale è quella che più mi affascina. Disarmiamo da una parte il femminismo ormai concettualmente vetusto e il maschilismo dominante, che con le sue rigidità apporta solamente visioni ridotte, per costruire, non un ‘mostro’, ma piccole snelle realtà. Disarmarsi vuol dire annientarsi come ipotetici antagonisti in un risparmio di energie teso verso la conoscenza.

L’uomo e la donna, secondo un best seller mondiale di qualche anno fa (“Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere” di John Gray), provengono da due pianeti diversi che non si chiamano Terra. Dunque siamo ospiti. Entrambi. Ed entrambi possiamo inventare le nuove regole del gioco. Ovviamente la scelta di Gray era basata sull’inganno di non dare per scontato l’altro/a perché viene da un altro pianeta, prova sentimenti in modo diverso e si esprime in modo diverso. Sapendo di aver davanti uno alieno/a saremmo più propensi a farci capire e a capire l’altro/a. L’inganno funziona, ha funzionato e l’inventore di questo teatro è ormai in voga da decenni.

Chiara Falletti

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Chiara è geologa, lavora all’Acquedotto del Fiora e vive a Grosseto. Di origine torinese, è cresciuta a Siena dove si è laureata, ha mosso i primi passi nel mondo del lavoro e ha messo su famiglia. Ha due bellissimi figli, Ambra e Matteo, ed è una curiosa del mondo.