LA DEMOCRAZIA E’ ANCORA IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI?
La Cina ha avuto successo nel combattere il virus, ma la democrazia non è negoziabile
Torniamo a parlare di Cina: da quando – qualche mese fa – consigliammo i nostri lettori di considerare anche l’azionario cinese fra i propri investimenti, la crescita di quel mercato è stata davvero formidabile, a parte qualche temporanea e fisiologica “pausa di riflessione”. A questo si aggiunge il fatto che il Celeste Impero è definitivamente fuori dalla pandemia e anzi che già quest’anno presenterà un livello di Prodotto Interno Lordo in complessiva crescita, nonostante che proprio lì il coronavirus si sia sviluppato e abbia inizialmente colpito duro.
Noi occidentali, chi più chi meno, siamo tutti alle prese con il ritorno di fiamma del contagio e non abbiamo ancora capito perché all’inizio dell’estate è stato lanciato il “liberi tutti” quando poi a fine settembre hanno richiuso i cancelli, a buoi ampiamente scappati. Senza contare che, questa volta, si prospetta molto più difficile ottenere la necessaria disciplina: è infatti sempre difficile far rientrare il dentifricio nel tubetto una volta che ne sia uscito.
Tutti a lodare il modello italiano: siamo partiti fra i primi con restrizioni inedite e molto rigorose, osservanza diffusa grazie a un insperato senso civico (ben alimentato dal timore del contagio) ma anche a controlli invasivi e disposizioni rigide. Mentre altri paesi erano più riluttanti a comprimere le libertà di movimento, da noi la linea dura sembrava aver prodotto gli effetti sperati. Salvo poi ritrovarsi tutti insieme, formiche e cicale, ad affrontare la crisi di ritorno.
In Cina invece lockdown totale, chiusura di megalopoli da milioni di abitanti senza che volasse una mosca, test, tracciamento e trattamento totale, nessuna forma di protesta (almeno visibile) e durata fino a che necessario. Poi, una volta stabilito che il virus era reso inoffensivo, tutti di nuovo al lavoro come se niente fosse. E in capo a pochi mesi, non solo il paese ha recuperato il terreno perduto ma il reddito è anche cresciuto.
Poiché è difficile pensare che il coronavirus abbia comportamenti diversi a seconda del paese in cui colpisce, la domanda è: la maggiore efficienza nel combattere la pandemia non è per caso dovuta al minor grado di democrazia della ex repubblica popolare (eufemismo per non parlare di vero e proprio regime autoritario)?
Meglio la libertà con l’incombenza del virus o la limitazione anche drastica dei diritti ma in sicurezza? E, ancora, proseguendo nel ragionamento: è risaputo che i sistemi asiatici, comprimendo i diritti dei lavoratori fin quasi ai limiti dello schiavismo, riescono ad abbattere i costi di produzione e sono imbattibili nella concorrenza basata sui prezzi. Si può dunque barattare la democrazia con lo sviluppo economico?
Non scherziamo: non può essere proponibile il trade off fra libertà e sicurezza, fra democrazia e sviluppo economico. E’ vero che laddove regna l’ubbidienza, specie se indotta da autoritarismo, determinati comportamenti sono ottenibili più facilmente e a minor costo, ma è profondamente sbagliato pensare che un sistema democratico sia necessariamente inefficiente, al contrario di uno autoritario o quanto meno con forte compressione dei diritti.
In primo luogo esistono molti sistemi democratici, come gli Stati Uniti, che è difficile definire inefficienti, se non altro perché occupano le prime posizioni mondiali in termini di quota del PIL totale (gli USA ne hanno il 24%) e di reddito pro-capite. Ma anche nello stesso continente asiatico, esistono “tigri” che, pur essendo in fase di marcato e continuo sviluppo, sono parimenti attente a una salvaguardia effettiva dei diritti umani.
Al contrario, ci sono molti casi (e ancora di più ci sono stati in passato) di regimi autoritari, se non dittatoriali tout-court, con livelli di produttività economica ed efficienza complessiva notoriamente molto bassi. Il riferimento, non casuale, è alla Russia di oggi che non a caso si trova a fronteggiare la situazione pandemica più preoccupante fra quella delle grandi potenze. E anche in termini di sviluppo economico, nonostante le immense risorse del gigante post-sovietico, sicuramente c’è ancora molta strada da fare per raggiungere un livello accettabile di efficienza.
La vera domanda che dobbiamo porci allora è: qual è o quali sono i fattori che determinano successo ed efficienza sia – nell’attualità – nel contrastare l’emergenza sanitaria, sia – in generale – per garantire le migliori condizioni di produttività al sistema e di utilizzo delle risorse disponibili.
Una prima risposta può essere quella di identificare il propulsore decisivo dell’efficienza nella “meritocrazia e selezione di una classe dirigente capace”[1].
Sicuramente questo è un punto qualificante: la capacità manageriale e la selezione dei migliori sono condicio sine qua non per avere successo nel business; non si può pensare a un’iniziativa economica che resista nel tempo senza le doti necessarie al capo azienda. Magari si potrà dare il caso di una brillante o fortunata intuizione commerciale che raccoglie anche un grande favore di pubblico, ma senza una buona guida non riuscirà certamente a sopravvivere nel tempo.
Non sappiamo quali siano le modalità di selezione del personale nel sistema cinese, è probabile che siano fortemente meritocratiche anche se è difficile pensare che ne siano estranei favoritismi di natura politica. E d’altra parte, questa componente da sola non basta a sconfiggere il contagio.
Temiamo che siano ben altre le ragioni della formidabile crescita economica del celeste impero, a partire dall’enorme disponibilità di materie prime, dal numero degli abitanti che, da solo, costituisce il maggior mercato del mondo (e che consente una crescita anche solo autarchica dato il basso livello di partenza della ricchezza personale), dall’enorme crescita e diffusione della tecnologia a tutti i livelli.
Su questi argomenti torneremo a parlare nei prossimi articoli, un punto fermo già lo possiamo mettere: la libertà del sistema occidentale e la democrazia diffusa sono beni irrinunciabili e non ostacolano di per sé il perseguimento di alcun obiettivo.
[1] Questa è l’opinione di Giovanni Tria, ex Ministro dell’Economia, nell’articolo “Democrazia e Covid”, apparso su Il Fogliodel 31/10/2020
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