ASPETTANDO DRAGHI PER LA RINASCITA
Il 2021 sarà l’anno di Mario Draghi
Quello che aspetta l’Italia, come anche molti altri paesi europei e mondiali, è una rinascita dopo la tremenda crisi della pandemia. Un vero e proprio miracolo economico, simile a quello realizzato dopo la seconda guerra mondiale; un rinascimento non solo e non tanto culturale come quello del Cinquecento, ma economico e sociale.
Questa fase avrà l’impronta decisiva e la mano forte di Mario Draghi, come già successe in passato quando, appena approvata la nuova e lungimirante Costituzione, venne richiamato in servizio un ex Governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi e gli venne affidato il prestigioso incarico di Presidente della Repubblica, dopo un rapido passaggio al governo come Ministro del Bilancio. E allo stesso modo in cui un altro grande ex Governatore della Banca Centrale, Carlo Azeglio Ciampi, venne prima chiamato a Palazzo Chigi come Presidente del Consiglio e poi, appunto, al Quirinale.
La Banca d’Italia come fucina di leader, ma soprattutto come formatrice di uomini con forte senso dello Stato e spirito di servizio, con consolidata capacità di navigazione in mari tempestosi e disponibili a mettere a disposizione del paese il loro ampio network di relazioni internazionali e la loro autorevolezza.
Quando non sa a che santo votarsi, la politica ricerca il deus ex machina e, quando pensa di averlo trovato fra i “giganti” fuori dai giochi, dall’incontestato prestigio, gli consegna un potere pressoché assoluto. Perché sa che, una volta portato a termine l’incarico, toglierà il disturbo e tornerà a coltivare il suo orticello come accadeva nell’età repubblicana del tempo dell’antica Roma con il dictator. Solo che in quel caso il tutto durava al massimo un anno.
Successe, come si diceva, con Einaudi che venne prelevato nel 1944 dalla Svizzera (dove era fuggito con la moglie a causa del suo antifascismo militante) e via Lione arrivò a Roma dove si insediò alla guida della Banca d’Italia.
Poi successe con Ciampi, che era stato dal 1979 al 1993 Governatore dell’Istituto di Via Nazionale, quando la carica era a vita. Dopo la stagione di Tangentopoli, con la classe politica della prima repubblica decimata dalla magistratura e la sfiducia dei cittadini al massimo grado, venne nominato capo del governo e, successivamente, titolare di dicasteri chiave quali Tesoro e Bilancio. Infine, dal 1999, al soglio quirinalizio quando ci voleva qualcuno che fornisse all’Europa le garanzie di affidabilità per l’adesione al progetto dell’euro, oggettivamente al di sopra delle nostre possibilità.
La politica (in questo caso il presidente Napolitano) ci provò poi con Monti, quando – regnante Berlusconi – il merito di credito dell’Italia era al minimo storico e lo spread alle stelle, rendendo molto difficile reperire le risorse necessarie a finanziare il deficit pubblico fuori controllo. L’esimio professore riuscì nell’intento di disarcionare il Cavaliere, ma si dimostrò poi totalmente incapace di tenere il timone con mano salda. Nella migliore tradizione degli accademici, spesso bravissimi a pontificare ma non altrettanto a mettere in pratica i loro stessi insegnamenti. La mancanza dell’imprinting di Banca d’Italia si fece sentire.
Ma questa volta è diverso.
Diverso perché siamo (saremo stati) investiti da una crisi che non ha precedenti a memoria di vivente, che ha travolto più o meno tutto il mondo mettendo a nudo la fragilità e la vulnerabilità dei nostri sistemi di vita e relazioni sociali. Una crisi dalla quale non si esce da soli e che comunque richiede forte coesione fra tutte le componenti e assoluta comunità di intenti. Non bastano più le “larghe intese”, bisogna dispiegare tutte le energie possibili e utlizzare tutti gli strumenti disponibili. Whatever it takes, appunto.
Come nel dopoguerra, possiamo contare su risorse finanziarie ingentissime, fornite dall’Europa e su una rete di protezione monetaria allestita proprio grazie al lavoro di Draghi durante la sua presidenza alla BCE.
Per arginare il dilagare inatteso della pandemia è andato benissimo l’”avvocato del popolo”, con la squadra di nani al seguito e i comitati tecnico-scientifici a dettare la linea. Ma per ricostruire occorrono i giganti, quelli che hanno visione strategica, quelli che possono mettere in campo la forza delle relazioni acquisite, l’esperienza di tante curve a gomito superate con successo, la mano ferma di chi ha saputo guidare l’Europa fuori da una crisi economica decennale devastante. Quelli come Mario Draghi, appunto.
Il 2021, anno del bufalo secondo il calendario cinese, sarà invece per l’Italia l’anno di Draghi. Non si può sapere ancora in che veste istituzionale, ma è certo che sarà lui il Godot che stiamo aspettando.
Il mandato di Mattarella giungerà a termine nel gennaio 2022, e quella potrà essere una destinazione plausibile per l’ex Presidente della BCE, ex Governatore della Banca d’Italia, ex capo di Goldman Sachs, ex Direttore Generale del Tesoro, firmatario della legge sulle società che ha portato il nostro ordinamento fra quelli più avanzati del mondo occidentale.
Oppure, prima che inizi il semestre bianco (durante il quale non possono essere sciolte le camere), se le fibrillazioni dell’attuale armata brancaleone al potere dovessero collassare, a capo di un nuovo governo di salute pubblica. Indipendemente dal fatto che ci siano o meno le elezioni, e dal suo risultato.
O in un qualunque altro ruolo che la creatività istituzionale saprà individuare. La forma non è importante, ciò che conta è che fra un anno di questi tempi saremo tutti a celebrare le sorti magnifiche e progressive dell’Italia di Draghi.
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