PRIMA O POI LA GUERRA FINIRÁ
Come gestire il portafoglio durante la guerra, preparandosi per quando sarà finita
Quando si verifica un evento devastante e traumatico come la guerra o come la pandemia, sembra che tutto quanto ruoti attorno ad esso: non si ricorda un “prima” e non sembra che possa esserci un “dopo”, come se il mondo si esaurisca in quell’evento e che non esista niente fuori da quello.
In realtà, l’abbiamo visto proprio con il coronavirus: quando arriva lo tsunami, accadono sconvolgimenti enormi e imprevisti, molto si distrugge e qualcosa si crea, ma dopo il mondo – pur a fatica – ritrova un suo faticoso equilibrio. Due cigni neri uno dietro l’altro, a distanza di neanche due anni, sono obiettivamente troppi per qualunque investitore che cerchi di gestire in modo razionale ed efficiente il suo patrimonio.
I mercati, almeno i principali, avevano appena recuperato i livelli post pandemia e anche l’economia reale stava tornando ai livelli del PIL pre-virus, che è cominciata l’emergenza Ucraina. Naturalmente qui ci occupiamo dei soli aspetti inerenti la finanza e l’asset management e non vorremmo apparire cinici o indifferenti al dramma e alla devastazione che la guerra sempre porta con sé. È del tutto evidente che, di fronte alla tragedia di un intero popolo che viene invaso e violentato, che subisce un’invasione e la distruzione totale, le preoccupazioni per il portafoglio diventano del tutto secondarie.
Così come è altrettanto pacifico che, qualora il conflitto dovesse estendersi ed assumere connotati globali con ricorso anche alle armi nucleari, quello dei mercati sarebbe davvero l’ultimo dei problemi.
Se però riteniamo che la crisi possa essere in qualche modo composta e superata, tanto più se questo dovesse accadere in tempi relativamente contenuti, sarebbe lecito attendersi che ci possa essere un rimbalzo anche molto forte sia dei mercati che delle prospettive di crescita globale e che si possa tornare alla situazione precedente la guerra, ovvero quella di un paio di settimane fa.
Supponendo allora di ripartire da dove eravamo rimasti, la prima indicazione di puro buon senso è quella di non farsi prendere dal panico e di evitare di svendere in questa fase di turbolenza il portafoglio. Se avevamo fatto delle scelte razionali ed avevamo costruito un’asset allocation razionale e prudente, non c’è motivo di farsi prendere dal panico.
Come sono da evitare le vendite, così (per i fortunati che sono riusciti a entrare in questo periodo di crisi con una buona riserva di liquidità, come stavamo da tempo consigliando ai nostri lettori) sono da evitare acquisti compulsivi spinti dai prezzi di saldo che il mercato esprime. La prima buona regola è sempre quella di indirizzare l’attenzione (e gli investimenti) in società solide e con un buon business, perché nel lungo periodo – salvo ulteriori violente cadute, peraltro non impossibili come l’esperienza ci sta insegnando – il valore viene comunque fuori, se non altro sotto forma di dividendi.
Un saggio agente di borsa diceva sempre che non si deve cercare di afferrare un coltello mentre cade, perché il rischio di prendere la lama è sempre troppo forte. E anche in questa fase si sono visti buoni titoli perdere oltre il 10% per due o tre sedute di borsa consecutive. Se proprio riteniamo di aver individuato una buona occasione, in questi casi si potrebbe mettere in atto una strategia cosiddetta “scalare”, ossia costruire una posizione con acquisti diluiti nel tempo e a prezzi diversi, comprando ogni volta che il prezzo scende e magari rivendendo, anche parzialmente, quando il trend si inverte.
Si tratta però di una strategia che richiede buone conoscenze operative, grande disciplina (perché si deve continuare a comprare nonostante la continua discesa) e discreta disponibilità di mezzi, in modo da non aver bisogno di liquidare la posizione in tempi non congrui. In ogni caso si deve preliminarmente definire l’entità di risorse da impiegarvi, il periodo di tempo per il quale portare avanti l’operazione e il target (a quale prezzo riteniamo di poter vendere), nonché un piano B nel caso in cui le cose non vadano come si è previsto.
Nel caso della pandemia, tutto sommato, nell’arco di circa tre trimestri i mercati hanno recuperato il livello precedente; vero è che in quella circostanza era più facile immaginarsi che la crisi sarebbe stata superata, mentre la guerra può effettivamente rivelarsi una strada senza ritorno. Tuttavia, vogliamo sperare che anche questa volta si riesca a trovare un esito non distruttivo e tale da ricominciare a guardare con speranza e ottimismo al futuro.
Se così sarà, il problema principale col quale dovremo tornare a misurarci sarà quello dell’inflazione, che stavolta può innescare – complice un atteggiamento restrittivo delle politiche monetarie già annunciato e intrapreso al momento in cui la guerra è iniziata – anche un significativo rallentamento della produzione.
Si potrebbe così entrare nel tunnel – già sperimentato negli anni ’70 – della cosiddetta “stagflazione”, ovvero di prezzi in continuo aumento e situazione economica recessiva. Quindi si avrebbe da un lato impoverimento generalizzato per effetto della svalutazione monetaria e dall’altro rallentamento della produzione, degli scambi e dell’occupazione.
Rispetto a questo scenario, è però plausibile che le banche centrali ripensino la politica di restrizione intrapresa e tornino ad agevolare, incrementando la liquidità come già successo con la pandemia, le attività economiche dei rispettivi sistemi. 4
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