LACRIME DI COCCODRILLO
Non è stata la guerra a generare l’inflazione, ma le autorità monetarie, in primo luogo la Fed
Abbiamo ormai diversi elementi di giudizio, se non tutti, per capire quali sono state le cause dell’inflazione che ci affligge in questo 2022, i fattori di moltiplicazione e la sua evoluzione storica. Possiamo con quasi certezza stabilire che questa volta, pur partendo dalle stesse basi di natura politica, è ben diversa dalle precedenti esperienze storiche, prima fra tutte quella degli anni Settanta del secolo scorso. Ma da qui a identificare un concreto ed efficace percorso per uscire dal tunnel, la strada è ancora lunga e impervia. E soprattutto passa inevitabilmente da chi ha originato questo stato di cose, ovvero le banche centrali, in primo luogo la Fed americana.
Negli anni 70 la spinta mondiale alla crescita dei prezzi non derivò dall’aumento del prezzo del petrolio, come spesso semplificando si racconta, ma da una precisa scelta politica dei governi dell’epoca. Era necessario coprire l’ingente fabbisogno finanziario derivante sia dalle guerre – in primo luogo, ma non solo, quella rovinosa del Vietnam – sia dalla volontà di Richard Nixon di favorire lo sviluppo economico per ripresentarsi alle elezioni senza aumentare la pressione fiscale. La scelta obbligata fu pertanto quella di far lievitare il disavanzo pubblico.
Al tempo, vigeva il sistema di cambi collegati alle riserve d’oro, per cui la quantità di moneta che un paese poteva emettere doveva avere un rapporto preciso con l’entità delle sue riserve.
Questo consentiva stabilità dei cambi (i cui rapporti derivavano, in ultima analisi, dalla quantità di oro posseduta dai paesi emittenti) e stabilità dei prezzi, ma limitava fortemente le possibilità di azione dei governi.
Per consentire l’espansione senza limiti del disavanzo e la conseguente emissione di base monetaria, vennero disdetti gli accordi di Bretton Woods del 1944, con i quali era stata stabilita la convertibilità della moneta in oro. Da quel momento, lo Stato poteva emettere tutta la moneta che voleva senza dover necessariamente disporre di riserve auree a garanzia. Era solo necessario che ci fosse qualcuno nel mondo (il dollaro era la moneta nella quale venivano regolati tutti i rapporti finanziari) disposto a sottoscrivere i buoni del tesoro (Treasury Bonds). In quel modo, però, si creava inflazione in USA e, attraverso le importazioni degli altri paesi, la si esportava all’estero.
Per quanto riguarda gli USA, l’inflazione aveva anche il non dichiarato ma evidente scopo di ridimensionare il debito pubblico conseguente alle guerre, facendone crollare il valore reale.
Da noi i mitici autunni sindacali, le lotte operaie e l’ultra sindacalizzazione con la scala mobile contribuirono a moltiplicare e a perpetuare l’effetto dell’inflazione, che infatti ci portammo avanti per quasi un ventennio. Il costo delle materie prime aumentò, ma fu molto meno rilevante di quanto si crede: la guerra del kippur, che durò appena 19 giorni, provocò a conti fatti un aumento solo del 5% e solo per tre mesi. Si parlava, impropriamente, di inflazione da costi, mentre era in tutto e per tutto un’inflazione politica, decisa e generata a tavolino.
L’inflazione di oggi ha invece le sue radici nella depressione del 2020-2021, quando si trattava di fornire benzina all’economia per reagire agli effetti della pandemia. Eravamo in un mondo di tassi a zero, inflazione a zero e crescita poco più che zero. Le armi per questa battaglia erano le solite due di sempre: spesa pubblica e politica monetaria. E infatti ogni paese ha messo mano a imponenti programmi di investimento e spesa pubblica che anche in questo caso sono stati finanziati in disavanzo, non potendo – in quanto la capacità contributiva era fortemente ridotta per via della crisi – o non volendo – per ragioni elettorali – aumentare le tasse. E quindi il debito pubblico è pressoché ovunque lievitato a livelli enormi.
Ma soprattutto sono state le banche centrali a inondare i sistemi di una quantità di moneta mai vista (nei due anni 20-21 la moneta in circolazione è aumentata di oltre un quarto). Fra i due strumenti a disposizione, quello monetario è molto più rapido ed efficace rispetto a quello di bilancio, e i programmi espansivi condotti sia con acquisto di titoli sul mercato (il cosiddetto quantitative easing) sia con tassi tenuti costantemente a zero o negativi sono stati attuati a piene mani.
In effetti la manovra ha avuto successo, se si pensa che a fine anno scorso, era strato pressoché recuperato tutto il gap in termini di PIL provocato dalla pandemia. Solo che a quel punto non bastava più cessare di emettere moneta, ma occorreva una potente operazione di drenaggio, che raffreddasse la forte crescita di domanda di beni e servizi che la spesa pubblica e la liquidità aveva generato. Il problema è che l’offerta di quei beni e servizi non è in grado di fronteggiare la domanda, la cui crescita continua per inerzia anche molti mesi dopo.
Un po’ come l’apprendista stregone che, una volta avviato il sortilegio, non riesce più a fermarlo. O come un missile lanciato nello spazio che occorre far tornare a terra. Ci hanno raccontato che si trattava di inflazione transitoria quando era al 3%, ora siamo arrivati al 10 e probabilmente crescerà ancora un po’.
Il muso duro mostrato da Powell e colleghi nel combattere l’inflazione segnala che, a questo punto, niente sarà risparmiato alle imprese – i tassi sono schizzati a livelli che non si vedevano da oltre vent’anni – e ai risparmiatori, che si trovano a fronteggiare borse e mercati in profondo rosso.
La recessione a questo punto è pressoché inevitabile, e la Fed ha fatto capire di considerare assolutamente fisiologico un aumento del 5% del tasso di disoccupazione. Ma loro sono in piena occupazione, al contrario di noi. L’Europa, e più ancora l’Italia, rischia di trovarsi a fronteggiare un inverno davvero critico. E oggi non si può certo dare la colpa alle rivendicazioni sindacali, poiché da questo punto di vista la forza contrattuale dei lavoratori è ai minimi termini.
Certo, la questione energetica ci mette del suo, i prezzi del gas sono lievitati come risposta immediata allo scoppio della guerra in Ucraina. Ma l’inflazione aveva iniziato la sua corsa già da prima, e i prezzi dei prodotti energetici hanno cominciato a scendere (in alcuni casi anche in modo consistente), al contrario delle bollette che invece continuano ad aumentare. Ma questa è un’altra storia, di cui abbiamo parlato un paio di settimane fa[1].
[1] Si veda l’editoriale “Acqua da occhi” del 15/9/2022 https://www.marcoparlangeli.com/2022/09/14/acqua-da-occhi
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