IL PIVOT AL SEMAFORO
La Germania è ancora il pivot dell’Europa, le sue scelte non saranno molto popolari ma spesso sono giuste
Diciamoci la verità: i tedeschi sono antipatici. Lo sono per definizione, per partito preso, in quanto primi della classe. Lo sono per i terribili trascorsi storici, che mostrano come ogni volta che la Germania si è armata e militarizzata, il suo senso di superiorità ha provocato disastri e guerre. Sono antipatici e provocano una sana diffidenza; ma sono anche i più bravi: difendono i loro interessi (come biasimarli?) e non esitano a servirsi dell’Europa, quando fa loro comodo, anziché servirla, quando è necessario.
Come nel caso del tetto al prezzo del gas: non lo hanno voluto e il progetto di Mario Draghi (la sua eredità “politica”) è miseramente naufragato, dopo settimane di discussioni e tentativi di compromessi. Peccato che abbiano ragione loro (ci torneremo).
Impongono una vigilanza bancaria invasiva e senza sconti agli altri, ma non accettano interferenze e controlli esterni sul loro opacissimo sistema delle casse di risparmio regionali, le Sparkassen, ancora sotto l’inscalfibile e insindacabile controllo pubblico nonostante impongano a tutti gli altri Stati di cedere sul mercato le banche di residua proprietà statale (come nel caso del Monte dei Paschi). La legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è sempre più uguale che per gli altri.
Sotto il peso dei grünen, la Germania smantella il progetto nucleare e si consegna nelle mani del fornitore russo, che vende gas naturale a basso prezzo. E nonostante l’embargo, continua a comprarne a piene mani dallo zar guerrafondaio, ma – guarda un po’ – la sua dipendenza è fortemente diminuita.
Qualcuno dice che la costruzione dell’Euro è servita per trasferire sulle spalle dell’Unione Europea il peso dell’unificazione tedesca e sicuramente c’è del vero. Poi magari ci accorgiamo che paesi come Grecia, Portogallo e Italia ben difficilmente sarebbero sopravvissute ai marosi della grande crisi senza la zattera dell’Euro.
Un pivot che segna a ogni partita una valanga di canestri, che però sembra più interessato alla classifica cannonieri che non alle vittorie della squadra. Ma quando gioca, spesso non c’è storia. Cambia l’allenatore, ma il pivot continua a giocare e spesso a vincere. Il motore a trazione franco-tedesca ha sempre trascinato l’Europa fin dalla sua costituzione, pur con qualche significativa ma sempre temporanea parentesi, come il Regno Unito quando c’era o l’Italia di Mario Draghi nel breve periodo dell’interregno fra Merkel e Scholz. Se oggi il motore è ingrippato, il guasto è sicuramente più a Parigi che a Berlino e un diverso motore non è pensabile.
Antipatici, dicevamo, perché bravi. Forse non molto creativi, ma certo concreti e affidabili. La loro cultura non nasce dalla fantasia e dalla letteratura, ma dalla filosofia e dal rigore. Precisi e affidabili come le macchine che producono, sono sempre sulla breccia e hanno dimostrato di sapersi rialzare dai grandi momenti critici della storia, e dobbiamo riconoscere che, senza rinunciare ai propri interessi, alla fine stanno sempre dalla parte giusta.
Sono stati i più freddi e titubanti nello schierarsi contro Putin, ma sono il terzo maggior contribuente per l’esercito ucraino (dopo USA – che però è in realtà un continente e Gran Bretagna) e hanno appena stanziato 100 miliardi di euro per rafforzare il loro esercito e farlo diventare il primo del continente. Li accusano di non aiutarci nell’emergenza immigrazione, e magari non hanno tutti i torti, però la Merkel ha avuto il coraggio di invertire la marcia nella politica di aiuto e di accoglienza e non dimentichiamo che la Germania ha la maggior quota di popolazione straniera fra i propri abitanti, il 12%, maggiore di Gran Bretagna, Francia e Italia. Non solo, ma resisi conto che gli immigrati servono, ha reso più spedite e accessibili le procedure per l’accesso degli stranieri al loro mercato del lavoro; ora non è neanche più richiesta la conoscenza della lingua tedesca.
Cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa: Deutschland über alles. Sembrava impossibile sostituire la Merkel, e forse lo era davvero. Ma dopo le sbandate iniziali, il governo “semaforo” – in quanto rosso per i socialdemocratici della SPD, giallo per i liberali dell’FDP e verde per i grünen - di Olaf Scholz ha trovato la sua strada.
La sua bandiera in politica estera è stata la sua opposizione al tetto al prezzo del gas, una scelta impopolare nei confronti della platea dei consumatori, ma alla fine una scelta giusta. I prezzi non si possono imporre in un’economia di mercato, sono quelli che si formano con il gioco della domanda e dell’offerta. Imporre un tetto massimo, oltre che impossibile a meno che non si formi un accordo di ferro fra gli acquirenti in cui nessuno sgarri, si è dimostrato anche inutile. Infatti, i prezzi sono scesi per conto loro, grazie al caldo di quest’autunno e alla recessione che comincia a mordere.
Impossibile, inutile e anche dannoso perché avrebbe indispettito i produttori, dai quali comunque dovremo tornare a bussare appena la domanda ricomincerà a crescere.
Se poi ci meravigliamo quando il Cancelliere vola a Pechino tutto solo con una squadra di imprenditori, anziché attendere il permesso dell’alleato americano, oppure quando apprendiamo che una quota importante del porto di Amburgo è stata ceduta proprio ai Cinesi, allora veramente abbiamo un’idea della Germania molto lontana dalla realtà. Prima di tutto il business, il resto poi si aggiusta.
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