NOI E L’EUROPA
Patto di Stabilità e MES: qual è lo stato dei rapporti fra Italia e UE?
Nell’ultimo editoriale di questo (per molti versi disgraziato) 2023 che stiamo archiviando, torniamo a parlare di Europa. Lo spunto ci viene fornito dai due eventi che si sono verificati in questo scorcio di dicembre sulla nostra scena politica: da un lato la sospirata modifica del Patto di Stabilità, dall’altro il voto della Camera che ha respinto (unico paese dell’Europa) la ratifica del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità.
Sono due aspetti di natura e con finalità totalmente diversi, la cui connessione è stata portata avanti dall’Italia in chiave prettamente tattica, sostenendo che avremmo provveduto a ratificare il MES, rispondendo ai continui solleciti dei nostri partner, solo se avessimo ottenuto un soddisfacente emendamento del Patto.
Il Patto, come si diceva, è stato emendato sostanzialmente allontanando i tempi previsti per il riallineamento ai parametri di Maastricht[1] e quindi portando in avanti anche lo spettro della sanzione per il suo inadempimento, liberando la strada dal principale ostacolo per l’approvazione della legge di bilancio. Non è invece passata la proposta – strutturalmente più rilevante – che avrebbe consentito di escludere dal calcolo del deficit le spese per investimenti.
Nonostante questo, il Parlamento ha respinto l’attivazione del MES[2], attivando il potere di veto che è concesso a ciascun membro dell’Unione, ulteriore dimostrazione di un meccanismo che non può funzionare, in particolare quando si tratta di gestire problemi complessi sui quali è molto difficile raggiungere sempre l’unanimità.
Patto e MES sono due strumenti aventi natura e obiettivi del tutto diversi. Il primo è l’evoluzione del Trattato di Maastricht, che venne sottoscritto negli anni ’90 dai dodici (allora) membri dell’Unione al fine di stabilire regole condivise per i bilanci pubblici, che potessero garantire stabilità e affidabilità ai conti degli stati membri. È infatti evidente che se dodici paesi sono legati da un patto di collaborazione e solidarietà economico-finanziaria, non può esistere che uno o più di essi abbiano bilanci non redatti con le stesse regole e in prospettiva non in equilibrio.
Il Patto, che era nato come “di stabilità e crescita”, ha via via perso la connotazione della crescita e si è invece trasformato in parametri rigidi di bilancio che ciascuno Stato avrebbe dovuto rispettare. Il principio è senza dubbio corretto, ma il problema è evidentemente la scelta dei parametri e le regole di riallineamento se questi non vengono rispettati. Non esiste un motivo economico per cui il rapporto deficit/PIL debba essere inferiore al 3% e quello debito pubblico/PIL inferiore al 60%: si tratta di una semplice convenzione, all’epoca condivisa fra i membri.
È chiaro che un deficit minimo – meglio ancora un surplus - e un debito contenuto in relazione al PIL di un paese sono condizione di solidità finanziaria e di conti in ordine. Ma non esiste una ragione economica per cui un rapporto del 2,99% vada bene e uno del 3,01% o del 10% siano invece fuori misura. Lo stesso per il debito: una sana e prudente gestione aziendale consiglia sempre di contenere l’indebitamento entro un limite di meno di un anno di fatturato (grandezza assimilabile, a livello di azienda, al PIL di un Paese), indicando così la capacità teorica di rimborsare il debito con un anno di lavoro. Ma l’entità del rapporto varia da azienda ad azienda, a seconda del settore produttivo di appartenenza, della composizione e scadenza del debito, dell’identità dei creditori e così via.
In modo particolare viene precluso il ricorso a uno degli strumenti principali di stimolo della domanda secondo i canoni keynesiani, ovvero la politica di bilancio: se vogliamo far crescere produzione e reddito, una delle possibilità è quella di incrementare la spesa pubblica e quindi anche di chiudere i bilanci in passivo.
Il Mes è invece cosa ben diversa: si tratta di un’organizzazione che mira a sostenere i paesi in difficoltà fornendo loro sostegno finanziario attraverso il reperimento sul mercato di risorse con l’emissione di propri strumenti di debito (caratterizzati da grado di affidabilità molto alto) coi quali sottoscrivere i titoli del debito pubblico del Paese in crisi, che avrebbero ben poche chances di essere collocati autonomamente fra gli investitori. Si tratta, com’è ovvio, di una facoltà e non di un obbligo, anche se le risorse per intervenire devono essere fornite, in modo proporzionale alle rispettive possibilità, dai diversi stati membri. Potremmo considerarlo come una polizza assicurativa contro il rischio di default: è quindi uno strumento pienamente in linea con le finalità di mutuo sostegno che l’Unione si propone.
La decisione del Parlamento è del tutto legittima e deve essere rispettata, essendo peraltro presente da tempo nei programmi elettorali degli schieramenti politici che l’hanno votata (i cosiddetti sovranisti, schieramento a cui apparteneva – non sappiamo se appartiene ancora – lo stesso partito di maggioranza), anche se con uno schieramento trasversale e inedito. E tuttavia è profondamente sbagliata.
Decisamente fuori luogo le dichiarazioni del leader della Lega, che – in modo populista e fuorviante – ha detto di aver voluto evitare che le risorse di operai e pensionati italiani venissero impiegate per salvare le banche straniere. Intanto perché il MES non ha fra le proprie funzioni quella di salvare le banche (ipotesi vietata dalla normativa comunitaria, rispetto alla quale peraltro proprio l’Italia è inadempiente con il Monte dei Paschi), ma solo di sostenere gli Stati membri sovrani.
Ma quell’affermazione è sbagliata soprattutto perché non si può essere a favore dell’Europa quando (come ora) la Banca Centrale Europea ha in portafoglio 750 miliardi di euro di Titoli di Stato italiani, coi quali ha aiutato la Repubblica, fra l’altro, a pagare regolarmente le pensioni e la Commissione UE ha erogato 200 miliardi del PNRR per sostenere molte iniziative di sviluppo e molti posti di lavoro; e poi essere contrari quando si deve partecipare nell’aiuto a Stati in difficoltà.
Sembra che il Presidente del MES abbia intenzione di proporre la liquidazione della quota dell’Italia, con il risultato che, qualora in futuro il nostro paese dovesse trovarsi in condizioni critiche, non potrà contare sull’aiuto del Fondo.
Il sovranismo a corrente alternata è proprio una brutta storia, figlia dell’egoismo e della miope convenienza del momento.
[1] Si veda il nostro editoriale della scorsa settimana in https://www.marcoparlangeli.com/2023/12/20/patto-chiaro-amicizia-lunga-ma-crescita-lenta
[2] Il MES è stato ampiamente esaminato nel nostro editoriale del 2021 https://www.marcoparlangeli.com/2019/12/10/punt-e-mes , al quale si rinvia per una descrizione puntuale del meccanismo, dei suoi scopi e del suo funzionamento.
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