Lo Stato famelico
Al termine di questa mini-serie che ha come scopo quello di fornire gli strumenti più immediati per una costruzione e gestione razionali del portafoglio, non possiamo, purtroppo, fare a meno di parlare della tassazione sulle rendite finanziarie.
Prima che clicchiate sulla croce in alto a destra del vostro schermo, conoscendo quanto entusiasmo l’argomento suscita, lasciatemi dire che non farò né un trattato né un articolo tecnico, ma fornirò solo qualche sintetica notazione per poter dare, come al solito, i consigli di base.
Pertanto cercheremo di fare un riepilogo degli oneri che incombono su quell’investitore che cerca un impiego dei suoi risparmi che sia il più redditizio e sicuro possibile: lo Stato è infatti un socio famelico e ingombrante che non solo si prende, in generale, più di un quarto di tutti i proventi realizzati, ma non partecipa neanche al rischio di questa piccola ed elementare impresa. Se si guadagna, il fisco si prende il 26% e, se si perde, la perdita è tutta nostra.
Evitiamo, però, di trattare i casi particolari e limitiamoci alle situazioni più comuni. Il regime di tassazione è normalmente quello del risparmio amministrato, anche se è possibile scegliere quello della dichiarazione. Il primo è più semplice e non ci sono adempimenti particolari da fare (sono tutti a carico dell’intermediario, cioè della banca), mentre con il secondo tutti i redditi vengono riportati nella dichiarazione annuale e tassati in base all’aliquota complessiva.
Col risparmio amministrato si subisce una ritenuta a titolo d’imposta al momento in cui si percepisce il reddito. Questa è, generalmente, del 26%, fatta eccezione per i redditi derivanti da titoli di stato per i quali è del 12,50%. Ciò significa che la Pubblica Amministrazione potrà raccogliere denaro fra i risparmiatori, col quale coprire il debito pubblico, a condizioni più favorevoli rispetto agli altri emittenti
L’aliquota è, inoltre, uguale per qualunque importo di reddito: se percepiamo un dividendo da un’azione in portafoglio di 10.000 € lorde, la banca ce ne accrediterà solo 7.400, trattenendone 2.600 di ritenuta; se realizziamo un guadagno di capitale di 50.000 €, l’imposta sarà di 13.000 €, pari al 26%, e in conto vedremo solo 37.000 €. Nella dichiarazione dei redditi, invece, l’aliquota non è fissa, ma cresce al crescere del reddito, per cui, considerando che l’aliquota media è del 31,8 %, con un reddito di 10.000 € si pagherà un’imposta di 2.300 € e con un reddito di 50.000 € l’onere fiscale sarà di 15.920 €.
Mentre per redditi più alti la convenienza del regime del risparmio amministrato è evidente, basti pensare che le aliquote più elevate sono del 43% rispetto al 26% della ritenuta a titolo di imposta sulla rendita finanziaria; per i redditi minori invece si paga qualcosa in più, ma si evita di dover andare dal commercialista per la dichiarazione dei redditi.
La ritenuta del 26%, o del 12,50% in caso di titoli di stato o similari, si applica su ogni forma di rendita finanziaria: cedola, interessi, dividendi o plusvalenza realizzata.
Per quest’ultimo caso occorre però fare qualche ulteriore precisazione. Intanto la plusvalenza, o guadagno di capitale (capital gain), è data dalla differenza fra il ricavo proveniente dalla vendita di un determinato quantitativo di titoli ed il costo di acquisto degli stessi titoli a suo tempo sostenuto. Se, ad esempio, abbiamo acquistato 10.000 azioni Unicredit a 1,8 €, spendendo per il pacchetto 18.000 € e le abbiamo rivendute a 2,2 € incassando 22.000 €, avremo realizzato un capital gain di 4.000 €, sul quale la banca applicherà una ritenuta del 26%, pari a 1.040 €. Al momento della vendita ci verranno, quindi, accreditate 20.960 €, che portano il nostro profitto netto dell’operazione a 2,960 €. Avremo così esaurito tutti i nostri adempimenti fiscali e quel guadagno non dovremo inserirlo in dichiarazione.
Se, invece, fossimo stati meno fortunati e avessimo venduto i titoli a 1,7 €, avremmo ricavato solo 17.000 a fronte dei 18.000 inizialmente spesi ed avremmo quindi subìto una perdita di capitale (capital loss) o minusvalenza di 1.000 €. In quel caso avremmo la possibilità di compensare quella perdita, ovvero di portala in detrazione dell’imponibile sulle plusvalenze successive, purché realizzate entro i 4 anni.
Quindi, nell’esempio precedente, se avessimo avuto una minusvalenza pregressa di 1.000 €, la banca avrebbe calcolato l’imposta non su 4.000 € ma su 3.000, trattenendo solo 780 € anziché i 1.040 € effettivamente pagati.
Sembra un meccanismo complicato, ma si deve considerare che il 26% corrisponde circa a un quarto del reddito e ne rappresenta una componente importante.
La compensazione, cioè la possibilità di utilizzare una perdita a deconto delle imposte dovute sulle plusvalenze successive, avviene solo nell’ambito dello stesso intermediario, ovvero della stessa banca. Per cui, se avessimo dossier titoli in due o più banche, dovremmo valutare la consistenza delle minusvalenze detraibili in ogni dossier. Se realizziamo una plusvalenza in un dossier in cui non avevamo minusvalenze pregresse accantonate, pagheremo l’intera imposta del 26% anche se in un’altra banca avessimo minusvalenze (derivanti da precedenti operazioni chiuse in perdita presso quella banca) disponibili per la compensazione.
Inoltre, se dobbiamo liquidare per necessità alcuni titoli, conviene vendere quelli in utile nei dossier dove abbiamo minusvalenze accantonate, anche se non sono quelli che in altre circostanze avremmo scelto per la vendita. Al limite potremmo ricomprarli successivamente, ma intanto avremmo “affrancato”, ovvero liberato dalle tasse, la plusvalenza realizzata fino a quel momento.
Applicando lo stesso principio, possiamo dire che generalmente conviene realizzare i capital gain fino a concorrenza delle minusvalenze accantonate, anche se pensiamo che quei titoli aumentino ancora. Vanno ovviamente considerate le commissioni che la banca ci applica per ogni operazione di acquisto o vendita e bisogna tener presente che tali commissioni concorrono rispettivamente ad aumentare il prezzo di acquisto o diminuire il ricavo netto proveniente dalla vendita. Naturalmente queste commissioni e spese concorreranno al calcolo dell’imponibile, riducendolo.
Le banche incidono dunque in molti modi sulla redditività di un portafoglio, oltre che con le commissioni calcolate in percentuale su ogni operazione (acquisto, vendita, stacco cedole, ecc.). Inoltre fanno pagare trimestralmente una percentuale del controvalore del dossier a titolo di spese amministrative, che saranno maggiori se si tratta di un rapporto di consulenza attiva o di vera e propria gestione patrimoniale, nel quale cioè è la banca, su mandato del cliente, a compiere tutte le operazioni che ritiene necessarie.
Infine sono previsti ulteriori oneri sull’investitore: l’imposta di bollo, applicata ogni trimestre in base alla consistenza del dossier e la tassazione sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta “Tobin Tax”, che è pari allo 0,10% del controvalore di ogni operazione effettuata su titoli negoziati nei mercati regolamentati (ovvero le borse valori) ed è invece coincidente con lo 0,20% sugli altri titoli. Anche questa è una voce da considerare, soprattutto per operazioni di notevole entità quando i redditi sono bassi.
Con questo articolo termina la serie di consigli ai risparmiatori, iniziata il 13 settembre 2016 con il contributo “La scelta degli investimenti”, che aveva come obiettivo quello di fornire suggerimenti per un investimento consapevole ed efficiente. Chi avesse avuto la pazienza di seguirli e soprattutto l’accortezza di metterli in pratica, avrebbe già fatto progressi notevoli e potrebbe dormire sogni (relativamente) tranquilli.
Ci siamo occupati in questi mesi soprattutto di gestione strategica, lasciando invece le problematiche più specifiche della gestione tattica alla rubrica di pillole e Questions&Answers settimanale, che pubblicheremo a partire dal prossimo venerdì.
Ovviamente le risposte che verranno fornite alle vostre domande pubblicate sulla nostra rubrica saranno sempre relative ad argomenti di ordine generale; per gli aspetti specifici, che consentano di realizzare un programma di investimento tagliato ad arte sulle vostre esigenze specifiche, è indispensabile ricorrere alla consulenza specializzata.
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