Pillole di Finanza: tassi fissi, variabili e spread
Il tasso di interesse di un’obbligazione può essere fisso o variabile.
Il tasso fisso è un concetto intuitivo: fino alla scadenza del titolo, ovvero fino a quando quel titolo verrà rimborsato, il tasso non cambia. Se prendiamo ad esempio il BTP 01/12/26 1,25%, con ISIN (ovvero numero di codice che lo identifica in modo univoco) IT0005210650, attualmente quotato 90,79, sappiamo con assoluta precisione:
- che pagherà un interesse pari all’1,25% annuo del valore nominale in due cedole: il 1°/12 e il 1/6 di ogni anno fino al 1°/12/2026, giorno in cui verrà integralmente rimborsato il capitale (salvo eventi traumatici quali il default dello Stato italiano);
- che tali cedole non cambieranno qualunque cosa succeda;
- che esse rimarranno di questo importo qualunque sia il tasso di inflazione e qualunque sia il movimento dei tassi sul mercato.
Per cui, se investiamo oggi, supponiamo con valuta 14/2/2017, in 100.000 € di valore nominale del suddetto titolo, quotato 90,79:
- pagheremo con valuta 14/2/2017 € 90.790 a titolo di capitale;
- sempre con valuta 14/2/2017 pagheremo il rateo di interesse netto maturato, ovvero la parte di cedola in maturazione dal 1/12/2016 (ultima cedola pagata) al 14/2/2017 (valuta di pagamento) pari a € 221,79, che ci verranno rimborsate quando (il 1°/6/2017) la cedola in corso verrà pagata nella sua interezza;
- a partire dal 1°/6/2017, ogni 6 mesi incasseremo a titolo di interesse una cedola netta pari a € 484,37 fino al 1°/12/2026 compreso;
- che in tale ultima data incasseremo inoltre € 100.000, valore nominale del titolo acquistato;
- che pertanto questo investimento avrà reso l’ 1,3768% annuo lordo, pari all’1,2047% netto, poiché l’interesse subisce una ritenuta a titolo di imposta del 12,50% in quanto titolo di emittente pubblico (se fosse un titolo emesso da un soggetto privato pagherebbe invece il 26%).
Dal punto di vista dell’investitore, si sarà trattato di un buon impiego se i tassi, da oggi alla scadenza, diminuissero rispetto al livello odierno. Viceversa, se i tassi dovessero aumentare, non si sarebbe trattato di un investimento positivo perché avremmo potuto acquistare, in epoca successiva, un altro titolo col nuovo tasso maggiore. E infatti ad ogni aumento dei tassi, vedremo che il prezzo del nostro BTP diminuirà, in modo da allineare il nuovo rendimento effettivo (rapporto fra cedola e prezzo, nel nostro caso come si è visto l’ 1,3768% annuo lordo) all’aumentato livello dei tassi.
Se ad esempio si verificasse, sul segmento di scadenza in cui è compresa la vita residua del nostro titolo (i 10 anni) un aumento di un quarto di punto, ovvero 250 punti base, ci dovremmo aspettare un nuovo rendimento effettivo lordo di 1,6268 e una diminuzione del prezzo titolo che dovrebbe attestarsi a 76,84 dai 90,79 attuali.
Quindi se noi dovessimo vendere quel titolo prima della scadenza al nuovo prezzo, ricaveremmo per i nostri 100.000€ di valore nominale solo € 76.840, con una perdita in conto capitale di € 13.950. Nel caso opposto di una diminuzione dei tassi, vendendo il titolo prima della scadenza avremmo invece un guadagno in conto capitale, che però ci verrebbe tassato al 26%.
In questo giochino, lo Stato è quindi un nostro socio al 26%, ma un socio del tutto particolare: oltre a non mettere neanche 1 euro di capitale, si prende più di un quarto dei guadagni e in caso di perdita non ci rimette niente. Consente solo di utilizzare quella perdita per compensare eventuali futuri guadagni in conto capitale fino a 5 anni.
Nella prossima pillola parleremo di tasso variabile e di spread: ci sarà da divertirsi…
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