FATTA L’EUROPA, BISOGNA FARE L’EUROBOND
Non più rinviabile l’emissione di eurobond
Probabilmente non siamo usciti dalla pandemia più forti di prima – non sempre le difficoltà rafforzano, spesso rendono anzi più insicuri e fragili – ma qualcosa di positivo si può senz’altro trovare fra i lasciti della tremenda prova del coronavirus. Si tratta degli strumenti di politica economica messi a punto per aiutare i sistemi a riprendersi, e in primo luogo del NextGenerationEU.
Al di là delle finalità specifiche dei diversi progetti, che andavano dalla transizione verde, a quella digitale al recupero di produzione e reddito, la novità da sottolineare è in primo luogo proprio quella dello strumento. Le risorse (in questo caso 700 miliardi di euro) sono state reperite in parte, per circa la metà, con operazioni di assunzioni di prestiti attraverso le quali capitali anche privati sono stati messi a disposizione di interessi generali: i titoli del
I singoli stati, infatti, non hanno la possibilità di affrontare da soli, con la loro limitata capacità di credito, obiettivi così impegnativi; per questo è necessario che tutti quanti facciano fronte comune per garantire gli investitori, pubblici o privati che siano. Al momento in cui è emerso chiaro che la difesa continentale non sarebbe stata più assicurata dall’alleato americano, ma che l’Unione avrebbe dovuto farsi carico in proprio dei programmi di riarmo, l’esperienza del debito comune è subito parsa lo strumento più idoneo per rendere possibile che i budget nazionali – sempre stretti fra i rigidi vincoli di bilancio della normativa comunitaria e i crescenti fabbisogni per l’assistenza sanitaria e il welfare – potessero destinare il 5% al riarmo.
Degli eurobond si parla dai primi anni Novanta, quando li propose l’allora presidente della Commissione Jacques Delors. Grazie alla garanzia congiunta gli eurobond sarebbero considerati dai mercati un attivo sicuro (un safe asset). Questo consentirebbe di emetterli a tassi molto bassi: i paesi più indebitati e con una reputazione meno solida potrebbero quindi finanziarsi a tassi inferiori a quelli che otterrebbero individualmente.
Successivamente, lo strumento è stato più volte portato all’attenzione del pubblico da parte dell’ex premier Mario Draghi, che ne ha fatto uno dei punti centrali del suo rapporto sulla competitività, presentato lo scorso anno alla Commissione UE e poi al Parlamento italiano. Ma già in precedenza Draghi aveva auspicato che l’eurozona prendendo esempio dagli Stati Uniti si dotasse di una capacità di bilancio autonoma, rilanciando gli eurobond, titoli emessi (e soprattutto garantiti) congiuntamente da utilizzare per programmi di spesa comune o per trasferimenti agli Stati membri.
Per paesi come il nostro i vantaggi dell’introduzione di un debito congiunto, di una mutualizzazione del rischio, sarebbero evidenti. Oltre al risparmio di interessi (un titolo di debito europeo, per definizione, avrebbe un rating molto elevato in quanto garantito congiuntamente), i paesi più deboli avrebbero infatti una porta di accesso privilegiata al mercato dei capitali e per tale via sarebbe possibile “completare la costruzione di un mercato dei capitali europeo pienamente integrato, capace di indirizzare il risparmio verso investimenti a lungo termine e ad alto rendimento atteso, anche attraverso lo sviluppo di fondi di venture capital e private equity su scala continentale” (come ha affermato il Governato della Banca d’Italia Panetta nelle Considerazioni Finali sull’anno 2024 lette il 30/5/2025).
Su quest’ultimo aspetto è interessante soffermarci: come abbiamo visto in uno dei precedenti editoriali, il dominio fino ad ora incontrastato di sua maestà il dollaro sul mercato dei capitali comincia ad essere messo in discussione. Intanto la Cina, tradizionalmente uno dei maggiori sottoscrittori del debito pubblico americano, ha recentemente rallentato i propri acquisti di Treasury Bonds in risposta anche ai crescenti attacchi portati da Trump allo strapotere commerciale del Celeste Impero. In una delle ultime emissioni, il Tesoro USA non è infatti riuscito a collocare i titoli e ha dovuto fare una precipitosa marcia indietro, dopo di che il Presidente ha in parte ritrattato e comunque ridimensionato le minacce di imposizione di dazi stellari alla Cina, e la situazione si è normalizzata. Questo episodio ha fatto guadagnare al tycoon il nomignolo di TACO (Trump Always Chickens Out, ovvero Trump torna sempre sui suoi passi).
E a parte i Cinesi, i sottoscrittori del debito a stelle e strisce sono sempre più preoccupati del crescente deficit federale e del rischio di un bilancio pubblico gravato da un programma di spesa governativa ambizioso e dall’annunciata intenzione di ridurre le tasse. Il crollo del dollaro di questi mesi è un chiaro effetto collaterale di questa disaffezione degli investitori.
Sembra quindi il momento giusto per provare, da parte dell’euro, a insidiare il primato del dollaro e il primo passo è proprio quello della creazione di un mercato dei capitali ampio, liquido ed efficiente.
Infine, last but not least, l’emissione di eurobond andrebbe a rafforzare lo spirito di solidarietà fra gli Europei, attraverso la condivisione della strategia di sviluppo e l’assunzione di un debito comune. Per far questo andranno ovviamente superati gli egoismi nazionali dei paesi più solidi, in primo luogo la Germania. Fatta l’Europa, facciamo ora gli Europei.
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