Azioni: lascia o raddoppia?
Non più tardi di tre o quattro anni fa, se qualcuno ci avesse detto che avremmo acquistato un titolo azionario con rapporto P/E (prezzo/utili)[1] sopra a 25, in un settore non brillantissimo e in trend rialzista da 6 mesi e con apprezzamento a doppia cifra nell’ultimo anno, due sarebbero state verosimilmente le reazioni: o siamo impazziti noi o è impazzito chi ce lo ha detto.
Eppure è proprio quello che è successo. Per policy di questo blog non facciamo nomi di singoli titoli, ma credeteci sulla parola. E il bello è che abbiamo rivenduto lo stesso titolo dopo due giorni portando a casa oltre il 5% di capital gain. Ancora più bello è che quel titolo non è stato l’unico, ma si trova in buona compagnia di ottime performance, in quasi tutti i settori ad eccezione di quello delle comunicazioni da rete fissa, che – c’è da scommetterci – prima o poi si uniranno anche loro alla vendemmia.
Sono almeno sei/sette mesi che gli analisti e gli strategist più prudenti mettono in guardia da brutte sorprese, che possono andare da brevi ma intensi ritracciamenti[2] per prese di beneficio a vere e proprie previsioni catastrofiche di bolle finanziarie e tsunami sul mercato azionario.
Ad onor del vero bisogna riconoscere che gli elementi per attendersi un crollo dei prezzi c’erano (e ci sono) tutti: periodo di crescita prolungato, multipli molto alti e sempre sopra le medie, liquidità di cui si attende una consistente riduzione per effetto delle dichiarazioni dei banchieri centrali.
Tuttavia, come un cavallo impazzito, il mercato continuava (e continua) a correre. Uscirne o ridurre le esposizioni, come molti hanno fatto ascoltando gli analisti prudenti di cui sopra, ha significato rinunciare a ghiotte plusvalenze. Noi stessi, da questo blog, avevamo segnalato che anche in termini di cicli economici e parametri di riferimento, in primo luogo l’S&P500[3], tutto sembrava preludere a una nuova flessione dei mercati.
Il problema che si pone ora, come da qualche mese a questa parte, è quindi: che fare? Come avrebbe detto il compianto e l’indimenticato Mike Bongiorno: lascia o raddoppia?
Cerchiamo di mantenere la calma ed essere razionali. In primo luogo dobbiamo osservare che per l’investitore azionario è comunque un bel dilemma, nel senso che è sempre bello ragionare “a pancia piena”, averne di questi problemi ... .In fin dei conti il punto è: accontentarsi di quanto guadagnato fino ad ora, incassare e tenersi liquidi, oppure mantenere l’investimento e magari aumentare anche l’esposizione, seppure in modo mirato ed equilibrato?
Se avessimo la sfera di cristallo sarebbe molto facile; non avendola possiamo solo elencare – come dicono quelli bravi che parlano inglese - pros e cons, ovvero punto di forza e di debolezza; dar loro un peso (che dipende dalla nostra propensione e dalla situazione specifica di ciascuno, come abbiamo detto più volte parlando di asset allocation) e vedere da che parte pende la bilancia.
Fra gli elementi a favore dell’opzione stay, i più rilevanti a nostro avviso sono: i flussi sostenuti e crescenti di raccolta di risparmio da parte dei fondi azionari, in particolare quelli dedicati alle piccole e medie imprese nazionali, ad elevata tecnologia e modesta capitalizzazione; e la liquidità in circolazione che nonostante gli annunci si mantiene abbondante.
In realtà le autorità monetarie non mancano di annunciare aumenti dei tassi, ma alle dichiarazioni non corrispondono ancora azioni coerenti. Alzare i tassi rischia di frenare la crescita e nessuno vuole essere additato come il colpevole di un‘eventuale recessione. Tanto più in tempo di fine mandato e di rinnovo delle cariche di Governatore (in USA avvenuta da poco, a Francoforte non molto lontana).
Inoltre c’è il livello dei tassi, ancora molto basso e negativo sulle scadenze brevi, che scoraggia opzioni di investimento alternative e le obbligazioni sono decisamente care.
Stiamo poi avvicinandoci allegramente alla stagione dei dividendi che, a sentire le previsioni sugli utili aziendali, dovrebbero essere ottimi e abbondanti, come si diceva un tempo della mensa truppa. Molte blue chips hanno annunciato utili importanti e dividendi in crescita, operazioni di buy back[4] e aumento di fatturati.
Infine è da tempo che non si verificano default aziendali di grandi realtà, dopo la selezione avvenuta con la grande crisi del 2007/2008. Come pure scandali eclatanti sul versante finanziario, che hanno sempre l’effetto di allontanare gli investitori dal mercato.
Fino a qui le notizie buone, ma come dicevamo all’inizio ci sono anche molti elementi negativi che non devono essere trascurati
Partiamo dal livello dei multipli, e in particolare dei rapporti P/E che hanno raggiunto un po’ in tutti i settori vette inesplorate. Abbiamo sempre sostenuto che un corretto multiplo P/E dovrebbe attestarsi tra 10 e 20. Oggi i multipli sopra a 20 sono la regola, e non è raro – specie fra le medie società – trovarne a 30,35 e anche oltre.
Dobbiamo essere consapevoli che questi livelli non possono reggere a lungo. Il punto è: fino a quando?
Anche i tassi di crescita che vediamo soprattutto nel segmento star del mercato italiano sono molto sostenuti e certamente riflettono più la domanda che continua a esserci che non la prospettiva di reddito delle aziende, molte delle quali sono nuove e ancora in pareggio se non in perdita.
Come si vede, luci ed ombre. In questi casi non è possibile dare consigli razionali. Certamente, per chi vorrà restare nell’agone, sarà necessario monitorare con attenzione e con una certa frequenza, riducendo al 5% il limite di guadagno per uscire dall’investimento. Ciò obbligherà a valutare di nuovo il titolo se decidessimo di rientrare e a usare prudenza. Fa guadagnare un po’ di più gli intermediari ma alla fine è una buona polizza assicurativa.
[1][1] Il rapporto fra prezzo e utili (P/E) è uno degli indicatori più importanti per valutare l’andamento di un titolo azionario. Esprime il numero di anni necessari affinché gli utili effettivi o previsti (a seconda che si prendano in esame quelli dell’anno in corso o del successivo) ripaghino il prezzo pagato per il suo acquisto
[2] Per ritracciamento si intende una temporanea flessione del prezzo di un’azione che avviene dopo un periodo di crescita prolungato o, più spesso, consistente, causato dalle prese di beneficio di chi ha guadagnato. Normalmente l’inversione di tendenza è breve e viene riassorbita velocemente se il trend è rialzista
[3] L’indice S&P500 sintetizza l’andamento dei prezzi delle azioni delle 500 maggiori società statunitensi quotate
[4] L’operazione di buy back consiste nel riacquisto di azione proprie da parte di una società quotata. Questo comporta la riduzione delle azioni effettive in circolazione con conseguente aumento – a parità di reddito – degli utili per azione e quindi, in prospettiva, della quotazione. Inoltre l’acquisto fa aumentare la domanda e quindi, direttamente, le stesse quotazioni.
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