DOVE VA L’AMERICA

DOVE VA L’AMERICA

Gio, 05/08/2025 - 21:37
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Secondo i dati dell’economia reale USA le cose vanno ancora bene, ma la gente non ci crede

.america

I mercati si sono finalmente liberati dal “Liberation Day”, ovvero hanno assorbito, dopo poco più di un mese, il terremoto provocato dalle dichiarazioni del Presidente USA Donald Trump, tornando, più o meno, alle quotazioni precedenti. La polvere incautamente (o volutamente, chissà…) alzata dal tycoon si è ora depositata e forse è giunto il momento di cercare di capire qual è lo stato di salute degli USA e cosa dovremmo aspettarci per i mesi a venire, in particolare per quanto riguarda la tutela dei portafogli.

Naturalmente è ben possibile che le sorprese e i colpi di scena non siano ancora finiti, e che il biondo ci regali ancora qualche nuova trovata. Ma la vicenda dei dazi sembra essere indirizzata a una gestione se non ordinata, quanto meno più prevedibile. Dopo la sparata iniziale, sono stati avviati colloqui e contatti più o meno con tutte le controparti, ed esclusione della Cina, che rappresenta il vero problema. Da qui a dire che tutte le questioni aperte sono state risolte, la strada è ovviamente ancora lunga.

.maritim trade

Del resto, le revisioni dei trattati commerciali internazionali sono normalmente processi lunghi e laboriosi, e non avvengono per iniziative o diktat unilaterali. Un paese può, come ha minacciato Trump, imporre dazi dall’oggi al domani, ma se non si siede e negozia con le diverse controparti quello che ottiene è solo un temporaneo raffreddamento delle relazioni con quel paese e probabilmente un aumento dei prezzi interni, almeno per quei beni che non siano sostituibili con beni di produzione nazionale. Ma anche in quel caso, a parità di costo o anche a prezzi inferiori, il bene che i consumatori interni acquisterebbero è con molta probabilità di qualità inferiore, per cui in realtà è comunque un peggioramento netto per il consumatore.

Non solo, ma l’effetto immediato dell’annuncio di Trump è stato anche quello di provocare un aumento delle importazioni molto consistente, dovuto all’anticipo di acquisti dall’estero prima che i dazi divengano effettivi. Nel primo trimestre le importazioni sono infatti aumentate del 41,3% su base d’anno, e sono le maggiori responsabili della riduzione del PIL dello 0,3%. Si tratta però di un effetto transitorio, perché con ogni probabilità questo dato – che ha determinato un aumento delle scorte, e quindi del magazzino - verrà compensato da un calo dell’import nei trimestri successivi.

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Difficile concordare con Trump che la colpa del calo del PIL nel trimestre sia da attribuire a Biden, come più o meno tutti i mali del mondo nella narrazione del Presidente, perché questo effetto è proprio tutto farina del suo (di Trump) sacco.

Al di là di questo, il punto per l’investitore è capire dove sta andando l’America, e in questo i dati del trimestre non aiutano molto. In sintesi, si potrebbe dire – come che i cosiddetti dati “soft” (ovvero i sondaggi sul sentiment) hanno registrato un calo sostanziale quest'anno, mentre i dati “hard” (PIL, occupazione, inflazione) tutto sommato non stanno andando male.

Come dire: le cose sembrano andare piuttosto bene, almeno secondo le rilevazioni statistiche, ma la gente non ci crede. Le aspettative sono orientate a un peggioramento della situazione, e come si sa sono proprio le aspettative a determinare le decisioni di consumo e di investimento, e quindi, in prospettiva, l’evoluzione del PIL. C’è anzi da dire che i dati sull’andamento dell’economia hanno natura storica, sono rivolti al passato e scontano un certo ritardo temporale, mentre il sentiment è orientato al futuro, ed è proprio in base alle attese che vengono decise le politiche economiche (spesa pubblica, fisco, politica monetaria).

.america first

Ecco perché la FED, la banca centrale americana, è così prudente nel ridurre i tassi, nonostante le pressioni governative. Anzi, maggiori sono le pressioni (come le minacce di rimozione esercitate da Trump nei confronti di Powell, il Presidente della FED), maggiore è la resistenza delle autorità a cedere, perché si percepiscono come l’ultimo baluardo in difesa della stabilità del sistema.

Cosa aspettarsi quindi per i prossimi mesi? Di sicuro una notevole volatilità dei mercati, magari non sui livelli dell’ultimo periodo ma certamente ancora molto sostenuta. E, d’altra parte, comunque una buona tenuta dei fondamentali che rende alquanto improbabile una caduta recessiva.

.volatilità dei mercati

L’indicazione che se ne può trarre è quella di non aumentare l’esposizione sul mercato azionario USA, ed eventualmente alleggerirla sui rimbalzi, ma senza eccessivi patemi d’animo. Le performance a doppia cifra degli ultimi due anni sono ormai un ricordo, ma probabilmente non ci saranno neanche crolli disastrosi. In corso d’anno i tassi dovrebbero comunque scendere, e la situazione tornare ad avere un’intonazione positiva.

Gli analisti sono invece concordi nel suggerire di incrementare il comparto azionario Europa e, con un livello di rischio un po’ più alto, anche l’area Pacifico, contando sull’annunciata ripresa del gigante cinese, pur subordinata agli sviluppi del contenzioso commerciale con gli USA.

Per quanto riguarda i tassi, va tenuta d’occhio la curva per scadenza soprattutto per gli USA, che promette ancora aumento dei rendimenti per scadenze medio lunghe. L’indicazione continua a essere quella di preferire le scadenze brevi facendo però attenzione al cambio del dollaro, per il quale è escluso un rafforzamento strutturale rispetto agli attuali valori piuttosto bassi. Per i titoli di Stato dell’area Euro, si può invece puntare su un alleggerimento dei tassi data l’impostazione ancora espansiva della BCE e comunque sempre per scadenze brevi. Per ora, quindi, meglio non avventurarsi oltre l’anno.