I GIOVANI ZETA SNOBBANO L’AUTO
La crisi del settore automobilistico in Europa e negli USA è strutturale
La crisi del settore automobilistico mondiale è un dato di fatto, e niente autorizza a pensare che sia in corso di soluzione o che sia breve: pare anzi sempre più evidente che si tratti di una tendenza progressiva e irreversibile, soprattutto per quanto riguarda la vecchia Europa e gli Stati Uniti. Certamente il fallimento (almeno per ora) della transizione verso l’elettrico ne è stato il fattore scatenante, ma molto probabilmente le cause vere vanno cercate altrove, in modo particolare sul lato della domanda.
Le difficoltà della produzione, le incertezze normative, i dazi applicati o minacciati potrebbero spiegare un rallentamento contingente, un calo temporaneo di produzione o redditività, ma tutto lascia pensare che qui siamo di fronte a un problema diverso, di natura strutturale, che si protrarrà per lungo tempo. In altri termini, colossi come Volkswagen o Stellantis – pur essendo capisaldi storici dello sviluppo industriale del nostro continente – rischiano seriamente di non riuscire a sopravvivere al cambiamento dei modelli di consumo della generazione zeta. Vediamo perché.
Per la generazione dei baby boomers l‘auto era il primo vero obiettivo di libertà: che si trattasse di Porsche 911 (per gli “integrati” che ambivano a entrare nella jet society o nella classe dirigente) oppure della 2 cavalli Citroen (per gli “apocalittici” che contestavano), tutti volevano affrancarsi dalla famiglia, essere liberi di girare il mondo e conoscere tutto quello che c’era fuori delle pareti di casa e della scuola. Anche i millennium – quelli nati fra il 1980 e il 1995 -, pur attratti spesso dalla comfort zone genitoriale, tanto che spesso diventavano “bamboccioni” senza vergogna, mettevano le quattro ruote al centro dei loro desideri e appena possibile correvano a prendersi la patente.
Per la generazione zeta, i nativi digitali nati a cavallo del secolo, l’auto non rappresenta invece niente di eccezionale: uno strumento per muoversi al pari degli altri, e non certo il preferito. Nel Regno Unito, la percentuale di adolescenti che guidano si è dimezzata negli ultimi 20 anni, passando dal 41 al 21 per cento. Da noi, gli under 25 che hanno preso la patente sono il 46% (mentre erano il 72% per gli over 50), e la patente si consegue sempre più tardi, in media oltre i 22 anni.
È vero che i trentenni oggi non sono ancora molto numerosi, ma sono quelli che costituiranno il mondo di domani, e inevitabilmente ne determineranno la domanda. Per questo le case automobilistiche oggi non dovrebbero trascurare i segnali che arrivano dai loro modelli di consumo.
La grande inflazione del post-Covid ci ha messo certamente del suo, come pure l’instabilità geopolitica delle guerre che da qualche anno devastano l’Europa.
L’indagine del Parlamento europeo sulla gioventù 2024[1] esamina le opinioni dei giovani (di età compresa tra 16 e 30 anni) in tutta l’UE, concentrandosi sulle loro priorità politiche, atteggiamenti nei confronti dell’Unione europea, fonti di informazione, esposizione alla disinformazione, impegno politico e comportamento di voto nelle elezioni europee del 2024.
Secondo tale indagine, affrontare l’inflazione dovrebbe essere la massima priorità dell’UE per i ragazzi di oggi. L’aumento dei prezzi e del costo della vita preoccupa il 40% dei giovani tra i 16 e i 30 anni. Un terzo degli intervistati ritiene che l’UE dovrebbe concentrare la propria attenzione sull’ambiente e sul cambiamento climatico nei prossimi cinque anni, mentre il 31% ritiene che la situazione economica e la creazione di posti di lavoro dovrebbero essere una priorità.
Anche il precariato lavorativo e la difficoltà di accesso alla casa hanno portato molti giovani a sviluppare strategie di risparmio e a prediligere il consumo consapevole.
Tutto questo determina incertezza, che certo non invoglia a comprare auto. Ma c’è dell’altro, come ha scritto anche Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea.
Intanto la rivoluzione elettrica incompleta (che richiederebbe nuove professionalità tra i produttori e lo sviluppo di adeguate infrastrutture di ricarica); la nuova mobilità (modelli di business innovativi come il car sharing e il noleggio a lungo termine); la catena del valore digitale che vede il valore dei veicoli basato sempre più sul software che sul tradizionale hardware dei produttori.
Non vanno inoltre trascurati i fattori demografici: la popolazione si concentra nei grandi centri urbani, congestionati dal traffico e inquinati dalle emissioni, e diventa sempre più vecchia, per questo si tende a preferire il trasporto collettivo a quello privato.
Non è ancora così sicuro se e quando il futuro sarà dei robotaxi: auto senza guidatore che vengano a prenderci quando abbiamo bisogno e ci lascino dove vogliamo, girando senza sosta ma permettendo città meno trafficate. La tecnologia deve ancora perfezionarsi e forse occorrerà più tempo del previsto. Ma se dovessimo scommettere, punteremmo sulla scomparsa o comunque sul forte ridimensionamento - fra 30 o 40 anni - delle auto di proprietà: meno veicoli in centro, meno incidenti e meno inquinamento. Più tempo libero, più biciclette elettriche, minori costi: questo è quello che sognano le nuove generazioni.
[1] Si veda, al riguardo: https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/3392
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