LA BANCA ...SPERIAMO CHE SE LA CAVA
L’ABC dell’economia e della finanza - 4
Questa volta facciamo un minimo di teoria, il minimo di legge, nello spirito della serie l’”Abc dell’economia”. Parliamo del bilancio della banca, in modo che i termini che abbiamo usato finora (margine di interesse, commissioni, margine di intermediazione, sofferenze, ecc.) possano essere correttamente inquadrati.
Abbiamo detto che la banca ha un futuro nel nostro sistema e un ruolo fondamentale se trasferisce risorse dalle unità in surplus (i risparmiatori) a quelle in deficit (le imprese e la Pubblica Amministrazione) con efficienza e a basso costo. Se avessimo una fiducia illimitata nei meccanismi di autoregolamentazione del mercato, diremmo che quando una banca fallisce, o comunque esce dal mercato, è perché non è stata in grado di svolgere questo ruolo. In altri termini, la capacità di generare profitto è per la banca condizione di sopravvivenza e di successo. Vediamo allora come e attraverso quali leve può generare profitto, utilizzando una riclassificazione molto semplificata del bilancio.
Iniziamo dal conto economico, dove vengono registrati i flussi della banca (costi e ricavi). La rappresentazione sintetica che si utilizza è quella scalare, in cui si giunge al risultato netto di esercizio attraverso la formazione progessiva dei margini reddituali. Tali margini possono considerarsi risultati parziali relativi a specifiche aree di attività: in tal senso è possibile capire quali siano i comparti che più contribuiscono, o che più frenano, la formazione dell’utile.
Il primo margine è il margine di interesse, dato fra la differenza fra interessi attivi e interessi passivi.
INTERESSI ATTIVI
-
INTERESSI PASSIVI
=
MARGINE DI INTERESSE
Rappresenta il risultato della tradizionale attività di intermediazione creditizia della banca: gli interessi incassati sui prestiti concessi alla clientela al netto di quelli pagati ai depositanti a vario titolo. Si tratta del margine che un tempo costituiva la principale fonte di reddito, ma che ora tende a ridursi sempre di più. Se vogliamo approfondire le ragioni di questo margine, dobbiamo indagare anche gli stock medi dell’anno: infatti il margine si forma dal rapporto fra la “forbice” (tasso attivo medio meno tasso passivo medio) per la massa amministrata. Una volta avevamo una forbice molto elevata e volumi più contenuti; oggi la differenza fra i tassi si è molto ridotta, sia perché i tassi sono diminuiti, e quindi c’è meno spazio per il “ricarico” della banca, sia perché la competitività del mercato e il potere contrattuale dei clienti sono molto cresciuti. Occorrono allora volumi consistenti per produrre, da questo canale, margine interessante: ecco spiegato il motivo del consolidamento del settore bancario intorno a poche grandi banche.
Se al margine dei interesse aggiungiamo le commissioni nette e i proventi netti da servizi, otteniamo il margine di intermediazione, livello successivo.
MARGINE DI INTERESSE
+
COMMISSIONI NETTE
+
PROVENTI NETTI DA SERVIZI
=
MARGINE DI INTERMEDIAZIONE
Le voci aggiunte rappresentano i corrispettivi incassati a vario titolo per i servizi forniti: da quelli “storici” come le cassette di sicurezza o le commissioni sull’estero o i titoli, a quelle più innovative come i proventi per la consulenza, i servizi alle imprese in occasione della quotazione o delle emissioni di strumenti finanziari, il collocamento di titoli e così via. Quanto più la banca estende il suo spettro di attività rispetto all’intermediazione, tanto più questa voce assume sempre maggiore importanza rispetto al margine di interesse. Mentre un tempo, fino a qualche decennio fa, i proventi da servizi erano accessori e secondari, oggi per molte banche sono la voce principale: si pensi alle banche on-.line e ai servizi telematici offerti sul mercato.
Il passo successivo mette in campo i costi operativi, fra i quali il più rilevante è senza dubbio il personale, e gli ammortamenti, ovvero la quota imputabile all’esercizio degli investimenti in immobilizzazioni effettuate nel tempo.
MARGINE DI INTERMEDIAZIONE
-
COSTI OPERATIVI
-
AMMORTAMENTI
=
RISULTATO DI GESTIONE
La leva in questo caso utilizzabile per incrementare la reddività è quella nell’immediato più semplice, e anche più frequente, ma in prospettiva destruente: il taglio dei costi. Tagliare i costi, licenziare il personale, risparmiare sulle forniture di servizi contribuisce a un beneficio subito visibile del conto economico, ma pone anche le premesse perché in futuro non ci possa essere la ripresa degli affari che, sola, può essere il rimedio permanente per assicurare la sopravvivenza dell’azienda. A costi zero, la banca sicuramente risparmia, ma altrettanto sicuramente muore, come quell’asino a cui il padrone sostituiva gradualmente la paglia al fieno e che inopinatamente morì proprio quando aveva imparato a mangiare solo paglia..
Alla fine, però, lo step successivo è quello seguente, in cui giocano la parte del leone le perdite sui crediti, ovvero gli accantonamenti sui prestiti in sofferenza o incagliati.
RISULTATO DI GESTIONE
-
RETTIFICHE DI VALORE
=
RISULTATO ANTE IMPOSTE E ONERI STRAORDINARI
+
PROVENTI STRAORDINARI NETTI
-
IMPOSTE
=
UTILE NETTO
Il vero problema delle banche sono infatti le “rettifiche di valore”, ovvero le svalutazioni che i crediti dubbi debbono ricevere quando i beneficiari (le aziende che hanno ricevuto i prestiti) non si dimostrano in grado di rimborsare interessi e capitale. Il meccanismo è semplice: se una banca concede un prestito di 100 €, iscrive in bilancio quella somma fra le attività: ma se a un certo punto si stima che il beneficiario possa onorarne 30, dovremmo contabilizzare una perdita di 70 €, rettificando appunto il valore di quei 100 nel corretto importo di 30 €, che vanno a ridurre l’utile di quell’anno.
E qui la storia finisce: le banche che impiegano male i loro denari (o meglio i denari prestati dai depositanti) devono svalutare il bilancio tenendo conto delle perdite su crediti subite o stimate. Per questo è richiesto un livello di capitale sufficiente per fronteggiare questa infausta eventualità.
Ma qui entriamo nell’esame degli stock, ovvero dello stato patrimoniale, che sarà l’argomento del prossimo articolo.
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