LA RANA E IL BUE
La tendenza a crescere è naturale, ma non sempre positiva
Sfortunata protagonosta di una nota fiaba di Fedro, una rana che invidiava le dimensioni di un bue si gonfiò tanto da scoppiare. La morale era che quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male.
Sulla morale si potrebbe discutere a lungo, perché se mancasse lo stimolo dell’emulazione e dell’ambizione, non ci sarebbe crescita né progresso. Piuttosto, sarebbe importante che ognuno capisse se è un piccolo o un grande uomo (ma anche questo presenta qualche problema), o meglio riuscisse a valutare bene le sue possibilità prima di intraprendere iniziative azzardate.
Fuor di metafora, e tornando all’argomento che ci tiene occupati da qualche settimana, vediamo come sia una tendenza naturale delle imprese quella ad accrescere le proprie dimensioni: aumento del fatturato, dei clienti, del personale, acquisizione di aziende più piccole. Naturalmente, più un’impresa è grande, maggiore è il suo potere nell’ambiente in cui opera, la sua visibiltà e la sua autorevolezza. Ma grande è sempre bello? Certo che no, vediamo perché.
Il governo dei grandi conglomerati produttivi è un affare sempre più complesso: se gestire un’impresa è in generale difficile, gestire un organismo di migliaia di persone è quasi una mission impossible. Richiede capacità di rapportarsi a una moltitudine di dipendenti e collaboratori (più l’azienda cresce, più il fattore umano è strategico per il suo successo), di mantenere relazioni con entità politiche, economiche, finanziarie e sociali, di interpretare e spesso guidare il mercato.
Se un bravo tecnico o artigiano si mettono in proprio ed avviano un’impresa, fattore di successo decisivo è la loro capacità tecnica, la conoscenza del prodotto e del mercato, il loro intuito. Ma via via che l’azienda cresce, i prodotti aumentano, i mercati si espandono, si devono fare nuove assunzioni e reperire ingenti risorse finanziarie: tutte cose che richiedono competenze diverse. Per questo non è infrequente veder fallire impese che “hanno fatto il passo più lungo della gamba”, puntando su una crescita che si sarebbe rivelata per loro insostenibile. Proprio come la rana di Fedro che, volendo crescere, si gonfiò fino a scoppiare.
D’altra parte è spesso indispensabile, magari anche per mantenere le posizioni raggiunte, ammodernare impianti e macchinari o progettare nuovi prodotti, e questo può richiedere investimenti che, da sola, la piccola impresa non può fronteggiare. Molto spesso semplicemente non è possibile restare fermi, perché tutto il mondo intorno si muove.
In queste brevissime e del tutto generiche considerazioni, abbiamo già individuato alcuni punti di forza e di debolezza dellla piccola e media impresa (PMI) rispetto a quella grande e grandissima.
La piccola è molto più flessibile e dinamica, così come le imbarcazioni a vela possono muoversi più agilmente dei transatlantici: se c’è da cambiare direzione, oppure da accelerare o rallentare, la prima può farlo in tempo relativamente breve e in spazi contenuti, mentre la seconda richiede catene decisionali, coinvolgimento di controparti, meccanismi di trasmissione, valutazione di impatti che sicuramente hano l’effetto di rendere la manovra più lenta.
La PMI ha generalmente prevalenza dei costi variabili rispetto a quelli fissi, proprio perché non ha spesso la capacità di porre mano a investimenti molto impegnativi. Pertanto nelle fasi di crescita non può avvantaggiarsi delle economie di scala (lo vedremo fra poche righe), ma nelle fasi di recessione potrà resistere meglio perché potrà diminuire i costi quasi in proporzione alla diminuzione dei ricavi. Anche in natura, come abbiamo visto nell’articolo della settimana scorsa, gli animali piccoli e piccolissimi resistono e si moltiplicano, quelli grandi scompaiono.
Prendiamo l’esempio dei ristoranti: un grande locale con decine di dipendenti attrezzato per ospitare 300 o 400 persone al giorno, potrà agevolmente ospitarne 100 in più con modesto incremento dei costi, realizzando buoni profitti. Se invece i clienti diventano, in modo pressoché stabile, 100 al giorno, i costi fissi già sostenuti per l’affitto o l’acquisto del locale, per tavoli e sedie, per le stoviglie, per l’attrezzatura di cucina e – entro certi limiti – la difficoltà di poter licenziare il personale, dovranno essere ripartiti su un numero inferiore di coperti. Se non riuscirà (e ben difficilmente potrà riuscire) ad aumentare i prezzi, il nostro ristoratore andrà sicuramente incontro a tempi grami.
Viceversa, il titolare di una piccola trattoria a gestione familiare che non può ospitare più di 50 persone, di fronte ad un consistente aumento della clientela non avrà probabilmente ltra scelta che mandare via i clienti senza servirli. Ma se le cose si mettono al brutto, basterà che diminuisca la spesa giornaliera e magari smetta di chiamare personale extra per non incorrere in grosse perdite.
Quali sono allora i vantaggi di far crescere le aziende, un traguardo che “naturalmente” gli imprenditori perseguono fin dall’inizio della loro attività attività? Essi possono sintetizzarsi in due formule tutto sommato intuitive: le economie di scala e le economia di scopo.
Le economie di scala rappresentano la possibilità di ripartire i costi fissi su un maggior numero di prodotti, consentendo di aumentare i margini di profitto o di praticare prezzi più bassi. E’ l’esempio del priomo dei due ristoranti che abbiamo visto sopra: se i clienti passano da 300 a 400, a fronte di un aumento dei costi variabili (materie prime, personale extra) meno che proporzionali, il maggior fatturato produrrà profitti più alti, oppure la possibilità di diminuire i prezzi, aumentando così ulteriormente i clienti.
Si hanno invece economie di scopo quando con lo stesso assetto produttivo sarà possibile aumentare le tipologie di prodotti da vendere o attrarre nuovi clienti. Il nostro ristoratore “big” potrà quindi magari avviare un’attività di catering o gestire mense aziendali; oppure potrà sfruttare il maggior numero di clienti per fare il cosiddetto cross selling, ovvero vendita di più prodotti allo stesso cliente: ad esempio potrà affiancare al ristorante uno spaccio di prodotti tipici, in modo da poter vendere a chi viene a pranzo anche salumi, formaggi, vini, dolci e così via. Avendo a disposizione un “universo” di 400 persone, è molto più probabile che questa nuova attività possa dare ulteriori fonti di guadagno e renda possibile anche investimenti aggiuntivi. Tutto questo è invece precluso all’oste che, con i suoi 50 clienti, avrà ben poco da poter diversificare in termini di offerta.
Un’ultima considerazione riprende quanto si è più volte affermato in merito al futuro economico del nostro paese. Abbiamo detto che i settori strategici dovrebbero essere il turismo e l’agricoltura, settori in cui ampiamente prevalenti sono le PMI. Non sempre è infatti possibile, o redditizio, far crescere le aziende: ci sono settori che richiedono una dimensione minima significativa (la grande industria, la cantieristica, i lavori pubblici, la siderurgia) e altri che favoriscono invece una scala più contenuta, per tutto quanto abbiamo detto sopra.
Ecco perché da noi la grande impresa manifatturiera avrà sempre molte difficoltà a sopravvivere.
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