COSA BOLLE IN PENTOLA
Le previsioni di politica monetaria e le prospettive economiche elementi importanti per rimodulare la strategia
Abbiamo visto la scorsa settimana come il rientro dalle ferie sia un tempo giusto per mettere mano alla verifica della strategia di portafoglio, tanto più in un momento come questo, in cui stanno succedendo, nel mondo e da noi, molte cose in grado di cambiare notevolmente le determinanti economiche del sistema. Come è noto, l’ambiente circostante e – più ancora – le prospettive della sua evoluzione, è uno dei principali fattori da tenere in considerazione per la modulazione dell’asset allocation strategica.
Una volta era molto più semplice: se l’economia cresce, le aziende fanno più profitti, distribuiscono più dividendi, aumentano il loro valore e – quasi meccanicamente – le loro azioni sono destinate a crescere. Per cui l’investitore attento incrementerà il loro peso in portafoglio. Analogamente per quanto riguarda i settori produttivi.
Quello che è successo sui mercati negli ultimi anni, pandemia a parte, ha una dinamica quasi opposta. Proviamo a spiegarla.
La grande crisi del 2007/2008 (quella che portò al fallimento di Lehman Brothers) ha insegnato al mondo che c’è un solo modo per uscire dal tunnel: rendere il mercato molto liquido, ovvero assicurare benzina al motore in quantità industriale. Anche a costo di provocare un po’ (o molta) inflazione, i banchieri centrali hanno capito che l’arma decisiva per combattere la recessione è quella di aumentare la moneta e tenere bassi i tassi di interesse, tipicamente attraverso l’acquisto di titoli di stato sul mercato.
Acquistando titoli pubblici, infatti, da un lato – immediatamente – viene immessa moneta nel sistema e – in via indiretta – viene reso possibile l’aumento della spesa pubblica e il finanziamento del deficit dello Stato, consentendo alla domanda di restare alta. I dipendenti pubblici potranno continuare a prendere lo stipendio (cosa non scontata in quanto, specie nei paesi in cui lo Stato è finanziariamente fragile, il rischio di insolvenza è sempre reale) e le aziende possono fornire alla Pubblica Amministrazione i loro prodotti.
Non solo, ma con tassi di interesse contenuti si favorisce l’indebitamento di famiglie e imprese e, anche per questa via, si dà impulso alla domanda.
Contrariamente alle crisi precedenti, in questo caso il sistema è stato ben lubrificato e foraggiato e, bene o male, la crisi è stata superata. In molti paesi anzi (in primo luogo USA) è stato avviato un forte ciclo espansivo, con crescita robusta che si è arrestata solo con la pandemia.
Il problema è semmai quello del rientro, proprio quello che dobbiamo affrontare ora. Una volta che il sistema si è abituato a dosi così massicce di liquidità (in Europa 80 miliardi di Euro al mese; in USA 120 miliardi di dollari), è molto difficile tirare il freno e rischiare che i tassi si impennino. Si crea una forma di assuefazione finanziaria, che fa assomigliare la nostra situazione a quella di un missile lanciato nello spazio, che non si sa come far tornare a terra.
Per questo diciamo che i mercati sono più sensibili alle dichiarazioni dei banchieri centrali che non alla macroeconomia. Anzi, se passa l’idea che le cose vanno bene (aumento del PIL, aumento dell’occupazione), si innesca la paura che le banche centrali comincino a tirare il freno per evitare il surriscaldamento che porterebbe troppa inflazione. Quindi: se i dati sono positivi, i mercati arretrano perché temono che le banche centrali chiudano i cordoni della moneta.
L’azionario USA, negli ultimi 18 mesi, è cresciuto a un ritmo impressionante: rispetto ai minimi del marzo dell’anno scorso (al culmine del coronavirus) l’indice S&P 500 è aumentato del 100%. Chi avesse investito con un banale ETF correlato a tale indice, in un anno e mezzo avrebbe raddoppiato il capitale.
Cosa bolle dunque in pentola? In America l’avvio dei programmi di riduzione degli acquisti di titoli pubblici (il cosiddetto tapering) è stato fatto slittare all’inizio del prossimo anno, per ragioni elettorali: il presidente della FED è in scadenza e la prossima settimana spera di essere rieletto; lo stesso Biden – in crisi di popolarità post Afghanistan – non vuole inimicarsi elettori in vista delle ormai vicine elezioni di mid-term.
In Europa forse arriverà un po’ prima, ma il vecchio continente dovrebbe poter scontare tassi di crescita superiori. L’Asia sta invece giocando una partita tutta sua, piuttosto difficile da decifrare con i nostri elementi di giudizio.
La Cina ha avviato una schermaglia politico-commerciale contro le big tech, in particolare quelle cinesi che fanno profitti con l’Occidente, che ha depresso i mercati asiatici in questo scorcio di estate. I fondamentali restano però molto solidi, e agli investitori cinesi (fra cui lo Stato) tutto sommato non dispiacerà potersi ricomprare a saldo le aziende nazionali che erano molto cresciute di prezzo. Il Giappone sta festeggiando l’annuncio che l’attuale premier – non gradito dai mercati - abbandonerà il campo con le prossime elezioni; complice anche la pluriennale depressione del mercato azionario, la borsa di Tokyo sta ora crescendo molto forte.
L’India è una vera incognita e sarà molto condizionata dall’evoluzione della pandemia, che ha colpito in modo particolarmente duro.
Alla luce di tutto questo, il consiglio sul portafoglio è quello di non abbandonare l’azionario per almeno i prossimi tre mesi, pur essendo pronti a subire qualche rovescio che dovrebbe comunque essere temporaneo. Sull’Asia e il Pacifico è forse il momento di aumentare l’esposizione, come pure sull’oro (in vista della dinamica dell’inflazione) e sulle commodities. Prepariamoci poi all’aumento dei tassi: il portafoglio obbligazionario è in questo momento preferibile a tasso variabile, e teniamo pronte delle munizioni (ovvero riserve di liquidità) per entrare sul tasso fisso una volta che i rialzi saranno avvenuti.
E, soprattutto, che Dio ce la mandi buona col virus.
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