GRAZIE MAESTRO

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Ven, 10/15/2021 - 21:58
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L’incontro con Daniel Barenboim, grande uomo e grande musicista

.daniel barenboim

Per una volta cambiamo schema: invece che di economia, finanza e politica vogliamo parlare di arte e, in particolare, di musica; o per meglio dire di come l’arte e la cultura possono contribuire a rendere migliore il mondo in cui viviamo e a superare barriere e incomprensioni. Naturalmente, purtroppo, non è solo con la musica che si possono risolvere problemi sociali antichi e dolorosi; ma anche il solo esempio può essere di grande aiuto per lanciare il messaggio che cambiare si può.

Questa settimana, nell’ambito del forum annuale della Robert Bosch Academy, la benemerita istituzione della Fondazione Bosch che raduna tutti coloro che sono stati gratificati con la prestigiosa fellowship[1] (fra cui chi scrive queste righe), abbiamo partecipato ad un incontro vis-à-vis con il maestro Daniel Barenboim, che proprio a Berlino ha istituito e dirige la Barenboim-Said Akademie.

.orchestra

L’Accademia, un conservatorio musicale accreditato dal Governo tedesco, offre Diplomi Artistici e Bachelor of Music ai giovani provenienti da Israele e dai territori arabi circostanti (Palestina, Siria, Giordania, Egitto, Turchia, Iran) costituendo la naturale evoluzione della “West-Eastern Divan Orchestra”, costituita da giovani arabi e israeliani.

Nonostante la decisa opposizione degli Stati, verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso, Barenboim e Edward Said, pioniere americano-palestinese di studi postcoloniali, riuscirono a dar vita – per la prima volta nella storia – a una collaborazione fattiva e professionale fra arabi e israeliani, sotto l’egida della musica che, come linguaggio universale di cultura e pace, può effettivamente unire popoli diversi, in questo caso in conflitto permanente.

Il Maestro Barenboim, ebreo nato in Argentina, è stato molto critico nei confronti non solo degli arabi, ma anche dello Stato di Israele, dicendo chiaramente che se entrambe le parti non superano gli errori del passato, questo problema, che non è politico ma umano, non potrà essere risolto.

Nel corso di circa due ore di colloquio con i fellows, durante il quale il Maestro non si è sottratto ad alcuno degli argomenti richiesti, si è creata un‘atmosfera veramente emozionante, grazie alla semplicità ed affabilità di un personaggio che senza esagerare si può dire che abbia fatto la storia, eppure totalmente disponibile ed accogliente.

La storia dell’orchestra arabo-israeliana è ormai nota e risale al 1999 quando la città di Weimar venne designata capitale della cultura europea, nel 250° anniversario della nascita di Goethe. Al Maestro fu chiesto di dirigere tutta la sezione musicale, ma a causa dei molti impegni dovette declinare l’invito, dando tuttavia la disponibilità a recarsi nella cittadina tedesca nei mesi estivi per fornire il suo contributo. Fu così che nacque, insieme a Said, l’idea di una piccola orchestra da camera che comprendesse arabi ed ebrei in pari numero, e che dovesse essere compresa fra i 10 e i 15 elementi. Iniziando, in quanto meno conosciuta, dalla regione araba, venne fatto il bando al quale risposero oltre 200 applicants. Venne mandato in loco un emissario di Barenboim per una prima selezione e il numero si ridusse a 60, ma apparve subito evidente che non era possibile costituire un piccolo gruppo da camera: era a questo punto necessario pensare ad una vera e propria orchestra.

.music

Una volta scelti i musicisti, si dovette però prendere atto che circa il 65% di loro non aveva mai suonato in un’orchestra e che il 20% non aveva mai visto dal vivo un concerto: la strada da percorrere, in termini di formazione musicale, oltre che di superamento delle difficoltà politiche e burocratiche, era enorme. Successivamente la regione dell’Andalusia si offrì di fornire la sede, a Siviglia, per l’orchestra, e da lì iniziò la vicenda straordinaria di questo progetto. Ci sono voluti alcuni anni affinché il livello professionale dell’orchestra fosse quello voluto dal Maestro, ma alla fine ha avuto ragione lui.

Barenboim è anche ricordato per lo storico concerto sulle macerie del muro di Berlino, fatto due giorni dopo il crollo alla presenza di centomila tedeschi dell’est venuti da ogni provincia di oltre cortina per celebrare con la musica l’inizio del percorso di riunificazione. Il maestro ha raccontato l’episodio toccante di una spettatrice che lo aspettò al termine del concerto con un piccolo mazzo di fiori. Trenta anni prima il marito e il figlio erano fuggiti nella parte ovest della città, e lei non aveva potuto più vedere il figlio. Questi si era presentato – ormai uomo fatto - a casa della madre la notte precedente, e insieme decisero di festeggiare il ritrovamento andando allo storico concerto.

.il muro di berlino

Il concerto cominciava alle 11 di mattina della domenica (il muro era stato abbattuto il giovedì precedente) e la gente iniziò a mettersi in fila dalle 4. Il Maestro pose due condizioni per tenere il concerto (con l’orchestra di Berlino di cui era direttore): che nessuno venisse pagato e che si potesse entrare solo esibendo un documento di identità della Germania Est, dove fino ad allora non era possibile vedere un suo concerto.

Con la semplicità disarmante e la naturalezza che solo i grandi uomini posso mostrare, Barenboim ci ha regalato il privilegio di farci rivivere le vicende dell’orchestra e quell’evento storico nel racconto di un protagonista. Nato in Argentina agli inizi del secolo, aveva respirato fin da bambino l’aria di accoglienza e integrazione nei confronti degli immigrati di ogni parte del mondo, che potevano mantenere le proprie radici e la propria cultura ma allo stesso tempo integrarsi pienamente nel nuovo mondo.

Il fil-rouge della vita di Daniel Barenboim, grande uomo prima ancora che grande musicista, sta tutto nel dialogo, nella tolleranza e nella comprensione dei diversi. Una lezione quanto mai preziosa in questi tempi difficili.

.quartet

La serata è stata poi conclusa da un bellissimo concerto di un quartetto d’archi di giovani musicisti (un’ebrea, due arabi e un’azera) che ha suggellato un’esperienza davvero emozionante che ci faceva piacere condividere con i lettori.

 

 

[1] La fellowship è un riconoscimento che la fondazione Bosch, fra le maggiori d’Europa, attribuisce a persone di chiara fama che hanno operato nel campo sociale, economico, dei diritti civili, artistico e che consiste nella possibilità di trascorrere un periodo di massimo un anno a Berlino, portando avanti le proprie iniziative (pubblicazioni, insegnamento, workshop) avvalendosi della collaborazione e dello scambio di idee con gli altri fellows e del network della Fondazione stessa.