IL MAGO DI BROZZI
Le previsioni facili per l’economia del ‘22
Il famoso astrologo (“strologo”) e cabalista del 1600 era noto per saper riconoscere “lo sterco all’olfatto e il rovo al tatto”. Pur senza aspirare a raggiungere tali livelli di arte divinatoria, proviamo a fare qualche previsione di quelle “facili”, che non richiedono particolare capacità di lettura del futuro, anche se in economia non c’è mai niente di scontato e tutto può essere rapidamente ribaltato.
In altri termini, non sarà certo possibile indicare, ad esempio, quanto sarà il prezzo del petrolio fra un anno o il corso del titolo Amazon fra sei mesi, ma potremmo affermare con una certa sicurezza che nel prossimo semestre il costo dell’energia continuerà a salire e che il livello degli indici azionari americani sarà maggiore di quello odierno.
Proviamo quindi a indicare le tendenze (i macrotrend) che, data la situazione odierna, è ragionevole attendersi nei prossimi mesi, al fine di modulare conseguentemente l’asset allocation del nostro patrimonio.
Partiamo dai tassi di interesse, variabile centrale per l’andamento dei mercati. Attualmente i tassi sono molto ridotti (quelli a breve termine addirittura nulli o negativi), grazie alle manovre espansive degli ultimi due anni poste in essere dalle banche centrali per fronteggiare la crisi della pandemia. Poiché l’inflazione sta pressoché ovunque salendo in modo significativo, le attuali politiche monetarie sono orientate a frenarla, e uno degli strumenti classici in questi casi è proprio l’aumento dei tassi.
Questa manovra dovrà però essere molto cauta, per evitare di frenare in modo eccessivo il recupero della produzione e del reddito: con tassi alti, infatti, le imprese sono disincentivate a chiedere finanziamenti per investire e le famiglie hanno più difficoltà a indebitarsi per l’acquisto di case o per i consumi durevoli. Comunque sia, da marzo/aprile i tassi aumenteranno sia negli Stati Uniti che in Europa.
Per questo i titoli obbligazionari sono destinati, nei prossimi mesi, a diminuire ancora di valore, fino a che la manovra sui tassi non sarà terminata (o meglio, fino a che i mercati non ritengano che sia terminata). Solo in quel momento potrà essere considerata l’opzione di investire nel reddito fisso. Per il momento, meglio starsene ben lontani.
Altra facile previsione è che i mercati azionari andranno incontro, nei prossimi mesi, ad un periodo di forte volatilità, ma anche che complessivamente i prezzi si manterranno elevati. Questo perché il denaro – specie ora che la liquidità costa – da qualche parte dovrà essere investito, e alla fine il mercato azionario è l’unico plausibile. Saranno però investimenti sempre molto precari e pronti all’uscita: per questo è da attendersi la volatilità.
In effetti, dopo il lungo rally dell’anno che sta per finire, i prezzi delle azioni sono ormai molto alti, con rapporti prezzo/utili che mediamente veleggiano, negli Stati Uniti, sopra a 20. Non c’è ormai correlazione fra le quotazioni dei titoli e l’andamento delle società. Non solo: l’incombente aumento dei tassi renderà ancora più critica la redditività prospettica delle aziende.
La stessa performance del mercato azionario USA nel 2021 è in gran parte dovuta alla crescita di pochi grandi titoli: oltre il 50% dell’aumento dell’indice Standard & Poor (S&P) da aprile è dovuto a cinque sole blue chips (Apple, Tesla, Nvidia, Google e Microsoft). Da metà novembre l’aumento dello stesso indice è stato del 2%, ma al netto di Apple sarebbe stato negativo. I flussi di acquisti e vendite provengono solo per il 10% da investitori fisici e per il 90% da movimenti automatici dovuti a fonti passive, indicizzazioni, algoritmi, e ricoperture tecniche[1]. Tutto questo rende ovviamente molto volatile il listino e introduce forti fattori di instabilità.
Tuttavia almeno per i prossimi mesi il mercato azionario resterà complessivamente sostenuto, aiutato anche dai timori per l’inflazione crescente: in questi casi l’investimento azionario è considerato in grado di difendere il valore reale meglio di altri impieghi finanziari, perché le aziende possono meglio difendersi dall’effetto svalutazione, ad esempio aumentando i prezzi dei prodotti o la produttività dei fattori.
Questo vale soprattutto per le azioni USA e per quelle europee, ma in misura minore e, al netto delle incertezze, sul futuro del governo Draghi, anche per quelle italiane.
Il consiglio è pertanto quello di restare investiti nell’azionario, salvo che non si preveda di dover utilizzare i fondi per altri scopi in questo periodo. In quel caso, meglio uscire appena possibile e restare liquidi, per evitare di dover vendere in fretta in una situazione di discesa repentina.
Ulteriore input è che i mercati asiatici, dopo la flessione delle ultime settimane, riprenderanno a crescere, in parallelo allo sviluppo economico delle rispettive economie. Il calo che si è verificato è dovuto – oltre al default di due grandi società del settore immobiliare – a una precisa scelta del governo cinese di penalizzare e ridimensionare le imprese tecnologiche che stavano assumendo una posizione di assoluta predominanza sul mercato e sfuggivano per questo all’invasivo controllo delle autorità.
Inoltre la crisi dei rapporti USA-Cina e le nuove ondate pandemiche hanno rallentato lo sviluppo economico del gigante asiatico. Ma il sistema resta solido e con ottimi fondamentali, ed è ragionevole attendersi che in breve tempo i mercati tornino a crescere.
I costi dell’energia che, ahimè, sono destinati ad aumentare ancora nonostante abbiano già raggiunto i livelli massimi. Gli aumenti della domanda prevista (soprattutto dalla Cina) e le strozzature nell’offerta porteranno a prezzi in aumento anche nei prossimi mesi. Gli accordi per l’uscita dai combustibili fossili, se venissero onorati, potrebbero determinare la chiusura dei primi impianti nelle aree più sviluppate, col risultato – almeno fino a che le nuove fonti non saranno a regime – di una ulteriore riduzione di disponibilità che non potrà che aumentarne i costi.
Infine l’inflazione: anche la Fed ha ormai abbandonato la foglia di fico del presunto carattere temporaneo. Si tratta di aumento strutturale, destinato ad accompagnarci per almeno tutto il prossimo anno.
Prepariamoci, quindi, a scegliere investimenti che siano in grado di difendere il valore reale del patrimonio.
[1] La ricopertura è l’acquisto di titoli che un investitore aveva precedentemente venduto allo scoperto, puntando sulla diminuzione del suo valore. Se questa non si verifica, ma anzi il titolo cresce, l’investitore deve chiudere la posizione per limitare la perdita, e quindi comprare il titolo. Il risultato sarà che il prezzo continuerà a salire.
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