IL PAPA PORTOGHESE DI STELLANTIS

IL PAPA PORTOGHESE DI STELLANTIS

Mer, 05/22/2024 - 16:22
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Il lento e inesorabile declino del settore automobilistico in Italia

.car market

Non che Stellantis (l’attuale evoluzione anglo-olandese di quella che un tempo era una gloriosa azienda italiana, la Fiat) sia come la Chiesa, per carità, ma si parva licet la direzione impressa al gigante automotive a trazione francese dall’amministratore delegato Carlos Tavares un po’ ricorda la svolta terzomondista di papa Francesco. L’appeal del vecchio mondo, la nobiltà della tradizione industriale – per la Fiat – e il peso della storia e della ritualità paludata - per la Chiesa – si sono scontrate, uscendone sconfitte, da un lato con i costi crescenti di mano d’opera e materie prime e dall’altro con la crisi delle vocazioni religiose e l’agnosticismo della società opulenta.

Succede così che un amministratore delegato non italiano (neanche Marchionne lo era per cultura e formazione, ma solo per nascita) decida di portare il transatlantico di cui è al timone fuori delle rotte originarie privilegiando nuove aree del mondo con mercati in forte crescita e fattori produttivi meno costosi. E che un papa “venuto dalla fine del mondo” cominci a far fuori dai gangli del potere la vecchia nomenclatura eurocentrica per puntare sul nuovo mondo, più prodigo di vocazioni e ricettivo per attrarre nuovi fedeli.

.chiesa terzomondista

La Fiat ha avuto per la storia industriale del nostro Paese un’importanza enorme: è stata il simbolo del “miracolo economico italiano”, la stella polare di un’epoca di grande sviluppo industriale che ha trasformato il nostro paese - uscito distrutto dalle vicende belliche - in una società industriale evoluta inserita a pieno titolo fra i grandi del mondo.

Col grande successo delle utilitarie, che davano alle classi medie la possibilità di spostarsi liberamente e di possedere finalmente il simbolo della modernità - spingendo l’incremento dei consumi e costituendo un volano di crescita economica –, ha rappresentato un fattore di grande successo. Ha stimolato la nascita di un gran numero di piccole e medie imprese, grazie anche alla tradizione diffusa dei motori e all’artigianato di qualità nella meccanica e nella produzione di accessori. L’enorme sviluppo dell’industria automobilistica ha trascinato l’infrastrutturazione del paese, la cui rete autostradale in gran parte risale proprio agli anni del boom economico; allo stesso tempo ha condizionato l’industria dei trasporti, favorendo quelli su strada e su gomma rispetto alle altre forme, oggi meno costose e meno inquinanti. Ha attratto una moltitudine di operai e delle loro famiglie dal sud, dando vita a una consistente emigrazione verso le fabbriche del nord.

Gli storici padroni della Fiat, la famiglia Agnelli, sono stati la vera dinastia del nostro Paese, con un peso politico ben superiore a quello di normali azionisti di grandi aziende, spesso influenzando decisioni rilevanti a livello generale.

.agnelli

Impensabile ancora oggi l’industria automobilistica italiana senza gli stabilimenti Fiat: oltre il 96% delle auto prodotte in Italia provengono da Stellantis[1], anche per effetto di una politica industriale che negli anni non ha attratto nuovi produttori né nuovi stabilimenti al di fuori di quelli dell’azienda torinese. Mentre Stellantis, grazie alle acquisizioni portate a termine nel corso degli ultimi decenni, ha sempre più diversificato i propri mercati e i siti produttivi.

L’eredità di Sergio Marchionne, del resto, era già fortemente orientata in questa direzione: grazie a una serie di geniali operazioni corporate (Chrysler, Opel, General Motors), che hanno consentito il salvataggio del gigante torinese quando sembrava ormai spacciata, la realizzazione e il lancio di nuovi modelli si sono venuti sempre più concentrando negli stabilimenti esteri rispetto a quelli italiani.

Di sicuro lo sviluppo del settore automotive nel prossimo futuro avverrà al di fuori del Bel Paese, e questo non solo per colpa di Stellantis, che del resto vuole legittimamente fare profitti e opera le scelte più funzionali per questo fine (anche se negli anni ha incassato enormi risorse pubbliche finalizzate proprio a favorire sviluppo e occupazione nel Paese), ma anche delle scelte politiche che si sono susseguite nel tempo – a partire dalla fine degli anni 90 - per impedire che concorrenti dei torinesi potessero mettere radici da noi.

.automotive

Basti pensare a Toyota, che decise di produrre in Europa il suo modello di punta Yaris ma scelse la Francia, dove ha realizzato oltre 4 milioni di veicoli. Oppure all’Alfa Romeo, che la politica decise di consegnare alla Fiat rinunciando a offerte ben più vantaggiose di altri concorrenti.

Emblematica anche la vicenda di Seat in Spagna, a suo tempo fondata dalla Fiat insieme al governo iberico e che all’inizio vendeva modelli Fiat con nomi diversi, ma oggi è diventata un’entità autonoma di grande livello, traghettata proprio dal più famoso “cervello in fuga” da Torino Luca de Meo, oggi a capo del gruppo Renault.

E basti vedere cosa è successo nel frattempo in altri mercati, oltre alla Spagna, dove il settore ha visto invece investimenti e sviluppi significativi: Turchia, Marocco, Repubblica Ceca, Ungheria, Belgio.

auto cinese

Da noi l’industria automobilistica è destinata a un lento e inesorabile declino, vedendo ridurre gli occupati da oltre 100.000 unità del 2000 ai 47.200 dello scorso anno, senza nessun vero modello trainante e nessuna prospettiva di ripresa. Il colpo di grazia sembra essere stato dato proprio da Tavares quando ha annunciato che la consociata cinese Leapmotor sbarcherà sul mercato italiano ma solo per vendere, e non per produrre, le utilitarie low cost fabbricate in Cina.

Leapmotor International è una joint venture quasi paritetica fra la società cinese (al 49%) e Stellantis (51%), con sede nei Paesi Bassi e finalizzata, appunto, alla commercializzazione in Europa – e presto anche in Sudamerica - delle vetture prodotte in Cina, a cominciare dalla minicar elettrica T03.

Non solo questo accordo non contribuirà a risollevare l’industria automobilistica da noi, ma andrà a colpire proprio il segmento di mercato in cui Fiat aveva storicamente costruito il suo successo, quello delle utilitarie. Una cannibalizzazione in piena regola, purtroppo.

 

[1] Molti dei dati citati in questo editoriale sono state tratte dall’interessante e circostanziato articolo di Simonluca Pini “Stellantis” sul Sole 24 ore del 17/5/2024, dove viene esaminato il declino dell’industria automobilistica nazionale.