IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE

IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE

Mer, 08/14/2024 - 16:29
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Nella società globale di oggi Stato liberale e mercato perdono terreno in favore di autocrazie e monopoli economici

.tramonto sul mare

Il mondo come l’abbiamo conosciuto finora si avvia a un cambiamento radicale, o per meglio dire si trova nel bel mezzo di una transizione epocale, che non è – ahimè – quella ecologica (che ormai anche i più incalliti utopisti dell’ideologia green devono ammettere tristemente naufragata, anche se ci costerà ancora un’immensa quantità di denaro) né quella digitale, ormai di fatto già avvenuta e ampiamente consolidata.

La transizione è quella dalla rassicurante società dei binomi (Stato/mercato;pubblico/privato;Oriente/Occidente;democrazia/dittatura;grande/piccola impresa; globale/locale; destra mercantile/sinistra intellettuale) a una nuova realtà. Questa nuova realtà è più articolata, meno polarizzata, e caratterizzata dalla sconfitta senza appello di quelle forze che fino a poco tempo fa avevamo ritenuto che sulla scacchiera della storia dovessero necessariamente risultare vincenti: il libero mercato, la democrazia, i valori della cultura occidentale.

.transizione green

La riflessione ci è fornita da quello che molti considerano il più autorevole giornalista finanziario del mondo, Martin Wolf, editorialista capo dell’economia del Financial Times, nella sua ultima opera[1].

Il punto di partenza è lo sviluppo parallelo, nel corso di almeno tre secoli, di Stato ed economia: da un lato si andavano affermando i canoni della democrazia, dall’altro quelli del libero commercio, che sembravano proiettare la società in un percorso inarrestabile verso libertà e ricchezza. Era universamente accettata l’idea (che Adam Smith aveva teorizzato) che liberalismo in politica e libera concorrenza nel commercio rappresentassero insieme l’evoluzione non solo consigliata ma anche più desiderabile.

Da un lato le democrazie si sono rivelate più fragili e vulnerabili, esposte a pressioni di sovranisti e isolazionisti, populisti, con partiti che hanno perso gran parte della loro attrattiva, sempre meno militanza volontaristica e astensioni crescenti nelle tornate elettorali. Il peso dell’affarismo e della corruzione in politica è diventato un po’ ovunque sempre più ingombrante, e si faticano a scorgere nuovi leader in grado di affermarsi.

.libero mercato

Dall’altro, si sono moltiplicati i casi di sanzioni economiche, di imposizione di dazi doganali, di fenomeni bellici o terroristici che hanno reso il flusso dei commerci mondiali spesso più pericoloso, quasi sempre più costoso.

La tanto decantata globalizzazione sta conoscendo un significativo momento di arresto, dopo l’accelerazione successiva alla Seconda guerra mondiale e nonostante la fenomenale diffusione di internet e dell’e-commerce. Dopo l’euforia dei primi tempi, ha cominciato a farsi strada l’esigenza di una più efficace regolamentazione e di una maggiore tutela dei consumatori, mentre lo strapotere dei giganti – contro il quale ben poco hanno fatto e possono fare le legislazioni nazionali – ha messo decisamente ai margini del sistema le realtà piccole e medie, legate al commercio tradizionale e basate sul rapporto personale e di fiducia.

Anche dal punto di vista della produzione, si è affermata la delocalizzazione, vedendo i siti concentrarsi laddove l’offerta di manodopera a basso costo era più rilevante ma anche la regolamentazione del lavoro più lacunosa. Questo da un lato ha incrementato profitti e ricchezza (spostandone però la distribuzione a favore dei servizi quali progettazione, design, marketing ancora concentrati nel mondo sviluppato), ma dall’altro ha ulteriormente rafforzato quei regimi autocratici nei quali è più facile trovare sfruttamento del lavoro e talvolta situazioni che si avvicinano allo schiavismo.

.localizzazione prod

Forme di governo liberali e democratiche non possono tollerare mutilazioni strutturali e profonde dei diritti dei lavoratori e condizioni ambientali dei siti produttivi senza alcuna attenzione per la sicurezza dei lavoratori e la prevenzione degli infortuni; una circostanza che deve far riflettere, by the way, anche noi, dato l’enorme numero di incidenti sul lavoro.

E poi c’è l’immigrazione. Un fenomeno di cui da noi si parla tanto, ma che in questa chiave di lettura non rappresenta invece un fattore decisivo, se rapportato alla popolazione mondiale. Nel 1960, infatti, il 2,6% della popolazione mondiale viveva in un paese diverso da quello di nascita; nel 1990 tale percentuale era del 2,9%, nel 2010 del 3,1% e nel 2017 del 3,4%. Sicuramente un aumento della mobilità del lavoro, ma non di dimensioni relative epocali.

Più significativa, per capire dove sta andando il mondo occidentale di questi tempi, la progressiva perdita di importanza degli Stati e invece lo strapotere, sempre più evidente, dei grandi aggregati privati, tanto che qualcuno ha parlato, per gli Stati Uniti, di rinuncia all’antitrust.

Il complesso di norme finalizzato a limitare i grandi aggregati industriali (che cannibalizzano il mercato) e a tutelare la libera concorrenza, ha mostrato tutta la sua inadeguatezza e impotenza di fronte ai giganti che hanno fatturati a livello di medi stati sovrani e che sono in grado, da soli, di indirizzare il PIL mondiale.

.libero mercato

Mentre gli Stati – in particolare quelli democratici e liberali - sono comunque ordinati secondo norme di interesse pubblico e governati sulla base di un mandato popolare espresso con le elezioni, i grandi aggregati rispondono solo alla logica del profitto e della creazione di valore per gli azionisti.

Tutto questo, con la logica conseguenza che il baricentro del mondo si è spostato dall’Occidente all’Oriente dove India e Cina stanno superando la potenza economica degli USA, condurrà se non al crepuscolo certamente al tramonto della società libera, sviluppata e a benessere diffuso per un futuro sempre più incerto e sicuramente per noi meno desiderabile.

 

 

 

[1] Martin Wolf, “La crisi del capitalismo democratico”, Einaudi 2024