Il Fattore Umano - le variabili demografiche
Fino ad ora abbiamo parlato di molti fattori che influenzano o sono suscettibili di influenzare le scelte di investimento o le decisioni imprenditoriali e aziendali. Abbiamo tuttavia solo sfiorato quello che in realtà è l’elemento più importante di tutti: il fattore umano. Ora, se è di tutta evidenza la sua rilevanza nell’attività di impresa e ancor di più, se possibile, nel caso in cui si voglia dar vita a una start-up, esso può, e vedremo in che modo, incidere in maniera significativa anche sulle decisioni di investimento.
Come al solito, per il metodo che ci siamo dati, seguiamo in parallelo i due punti di vista: quello delle tendenze macro (i megatrends) e quello più di dettaglio e particolare (mini o micro trends). Sotto il primo profilo, quello di cui ci occupiamo in questo articolo, esamineremo dunque le variabili demografiche.
La dinamica dell’invecchiamento della popolazione, i tassi di crescita dello sviluppo e dell’istruzione, i flussi di persone che migrano da sud a nord sono tutti aspetti decisivi in entrambe le scelte: in cosa possiamo investire con successo il patrimonio? Come organizziamo l’attività produttiva? In quale settore o mercato lanciamo una nuova iniziativa imprenditoriale?
Nella storia dell’uomo, almeno fino alla rivoluzione industriale, i cicli economici avevano durate molto lunghe ed erano in gran parte originati, e a loro volta determinavano, crolli o esplosioni demografiche. Il ciclo domanda-lavoro-prodotto-uomo-consumo-domanda aveva un punto di rottura proprio negli eventi epocali demografici: carestie, epidemie, disastri naturali, guerre. Questi eventi determinavano uno shock nel sistema produttivo quasi integralmente basato sul settore primario, costituito cioè da agricoltura e estrazione di minerali.
Meno popolazione significava meno braccia nei campi e in miniera, minor produzione di derrate e metalli, prezzi in crescita, difficoltà di sopravvivenza, ulteriore calo di popolazione: poi gradualmente, finito l’evento tragico, il ciclo si invertiva fino al successivo punto di rottura.
Non molto diversa la dinamica nel periodo industriale, salvo un sensibile accorciamento dei cicli perché – come insegnava Keynes – un aumento della domanda innesca un meccanismo moltiplicativo sul reddito. Al settore primario si affiancava e si sovrapponeva il settore secondario (quello della trasformazione) e la produttività del lavoro (quante unità di prodotto, quanti dollari di fatturato per ogni dipendente) diventava un elemento chiave. Meno persone potevano realizzare la stessa quantità di prodotto grazie all’aiuto delle macchine e la dinamica demografica veniva, almeno fino a un certo punto, compensata con la produttività. Ma questo valeva solo in termini quantitativi: sappiamo che le grandi industrie attraevano forza lavoro e di questa avevano bisogno. Allo stesso tempo la domanda, e quindi lo sviluppo e la crescita, si concentravano nelle aree industrializzate.
In epoca post-industriale il settore prevalente tende invece ad essere il terziario, quello dei servizi. Le variabili demografiche sono ancora importanti, ma stavolta in senso qualitativo: conta l’età media della popolazione, il livello culturale, i cambiamenti di abitudini e preferenze, la qualità della vita, l’efficienza del mercato e così via. La produzione tende a spostarsi dove la forza lavoro costa meno, la domanda si sposta dai prodotti di sussistenza (cibo, assistenza medica, riscaldamento) alla soddisfazione di bisogni diversi: culturali, estetici, di realizzazione, di status, di relazione, di sicurezza.
Queste tre fasi che hanno caratterizzato il ciclo economico dell’Occidente negli ultimi secoli oggi coesistono nel mondo, le troviamo in luoghi diversi ma contemporaneamente e, siccome le informazioni circolano, la popolazione si sposta da un luogo all’altro: non è però la produzione a richiamare le masse, ma la ricchezza. Nella fase industriale le persone andavano dove erano le fabbriche e quindi il lavoro; oggi vanno dove è la ricchezza. L’obiettivo non è lavorare, ma stare bene o, comunque, meglio di come si sta.
Quali sono i megatrends demografici del mondo occidentale dunque?
• La popolazione invecchia perché migliorano le condizioni di vita e gli eventi catastrofici, pur presenti, sono meno devastanti sul sistema economico
• Il livello culturale cresce e una serie di nuovi bisogni si afferma: conoscenza, arte, viaggi
• Le masse si spostano da sud a nord alla ricerca di ricchezza
• I cicli demografici si sono accorciati: mentre prima il tempo di una generazione era mediamente 25 anni, oggi è molto più breve, quindi coesistono molte più generazioni di una volta, ognuna delle quali interviene sul mercato prima come compratore e, solo in misura minore, come produttore/forza lavoro
Dobbiamo allora tenere presente, anche se ad alcuni potrà non piacere, la lezione della Walmart, l’azienda che gestisce supermercati e punti vendita al dettaglio in tutti gli Stati Uniti: da quando, il 2 luglio 1962, Sam Walton fondò l’azienda a Betonville, cittadina di circa 40.000 abitanti in Arkansas, l’azienda che gestisce supermercati e punti vendita al dettaglio è la più grande multinazionale del mondo con 2 milioni e mezzo di dipendenti e quasi 500 miliardi di dollari di fatturato di cui due terzi negli Stati Uniti.
L’intuizione del fondatore fu che nel commercio il soggetto prevalente è il consumatore, per cui il suo obiettivo è stato quello di abbattere, grazie anche alle dimensioni e alle economie di scala, il costo dei prodotti comprimendo al massimo i salari e il costo del lavoro. Lavoratori sottopagati e consumatori soddisfatti: questa la ricetta del successo. Il fattore umano rilevante è il cliente, non il lavoratore; anche perché a sua volta il lavoratore è cliente e potrà avvantaggiarsi dei prezzi dei prodotti più bassi.
Per gli investitori, la lezione che possiamo trarre da questi megatrends demografici è quindi: mettete nel vostro portafoglio strategico titoli sensibili alla domanda di persone anziane, colte e ricche e alla domanda dei newcomers (i neo arrivati).
Per gli imprenditori attuali o potenziali: pensiamo a beni o servizi che siano utili a soddisfare bisogni evoluti, prepariamoci a sostituire o affiancare lo Stato in una serie di funzioni che in prospettiva non potrà più svolgere, dal welfare all’istruzione, dalla sanità ai servizi pubblici. Questo è un messaggio forte anche per il non-profit, che ritengo possa avere un ruolo importante nel futuro.
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