Manager, Supermanager o Organizzatore?
Il termine "manager" fa venire in mente un capitano d'industria che gestisce grande potere, super impegnato con agenda pienissima ed esperto di strategie e grandi sistemi. Stuoli di segretarie, stipendi da favola e auto di lusso, certamente anni luce lontano dal lavoro manuale e fisico. Pochi sanno però che l'origine del termine é completamente diversa, e non deriva, come sembrerebbe, dall'inglese, bensì dal dialetto emiliano, o per essere precisi della zona del reggiano. Nei mulini e nelle aziende che producevano farine, "managèr" (con l'accento sulla e) era colui che faceva andare e gestiva le macchine del molino: il verbo managèr, che richiama il "maneggiare" ed è poi penetrato nella lingua francese, indica chiaramente un'attività manuale.
Il manager era quindi colui che prevalentemente lavorava con le mani, e che così facendo si sporcava di farina.
Chi é dunque il manager e che ruolo ha in un'azienda di successo? Fra i due concetti estremi di "managèr" e supermanager, qual è quello giusto? Credo che non sia nessuno dei due. Secondo me, oggi dobbiamo più propriamente parlare di buon organizzatore di risorse. Dipende ovviamente in primo luogo dalle dimensioni e dal grado di complessità dell'azienda, ma se restiamo su un livello medio possiamo dire che chi guida l'impresa deve sicuramente conoscere il lavoro, il ciclo produttivo e le tecniche specifiche, ma questo non è sufficiente, né alla fine il requisito più importante. Altrimenti i capi azienda dovrebbero essere tutti tecnici, e così non é.
Si pensi al più grande manager che a mio avviso ha avuto il nostro paese: Raffaele Mattioli, il mitico amministratore delegato (e poi Presidente) della Banca Commerciale Italiana negli anni del dopoguerra e del miracolo economico. Ebbene, Mattioli non era né un economista né un giurista né tanto meno un esperto di tecnica bancaria, ma un filosofo. Le sue doti principale non erano la competenza tecnica dei meccanismi di finanziamento bancario o la raffinata analisi di bilancio, ma la capacità di leggere i mercati e la visione strategica. Grazie a queste doti, egli fu capace di capire dove si trovava il sistema industriale italiano, di cosa aveva bisogno per crescere, come dovevano lavorare le banche per sostenere lo sviluppo. Sopratutto, da filosofo, poneva al centro del suo sistema l'uomo e l'organizzazione delle sue diverse attività: quella produttiva, quella finanziaria, quella istituzionale. Le sue riflessioni sono valide ancora oggi, nonostante che il sistema sia diventato più complesso e globalizzato.
Le doti più importanti del manager secondo me devono essere:
- La capacità di lettura o di analisi;
- La capacità organizzativa (delle persone o dei fattori a disposizione);
- La visione strategica (sulla sua azienda, sul mercato, sul sistema paese);
- La leadership
Saper leggere o analizzare é il primo passo: capire i punti di forza e di debolezza della propria azienda, capire le motivazioni del personale, capire il mercato è il sistema legislativo. Il manager deve saper leggere e ascoltare, prima ancora di scrivere e parlare.
Organizzare il lavoro é un mestiere complesso, significa saper utilizzare le risorse a disposizione nel modo più efficiente, ottimizzare le combinazioni di uomini e mezzi, realizzare rapporti fluidi far i diversi livelli: in senso orizzontale (fra reparti o settori o colleghi) e in senso verticale (dalla base al vertice).
Ma aver visione strategica significa saper vedere lontano, capire dove sta andando l'azienda o il mercato, e attrezzarsi per far trovare l'azienda nel posto giusto al momento giusto. Prevedere e orientare: in questo si sostanzia il contributo del manager.
Non necessariamente, come si diceva, deve essere uno specialista del settore in cui opera: così come per essere un buon automobilista non é necessario essere un meccanico. I tecnici e gli esperti sono facilmente reperibili sul mercato: il loro bagaglio é di conoscenza ed esperienza, ma il loro sguardo é rivolto al presente o al passato: come é stata costruita una macchina, come sono stati risolti problemi di funzionamento in passato.
Il manager ha invece lo sguardo rivolto al futuro: deve sapere dove sta andando il mercato, e cosa deve fare la sua azienda per farsi trovare pronta. É richiesto, oltre a competenza ed esperienza (che certo aiutano) un talento particolare, a cui deve accompagnarsi la leadership, ovvero la capacità di guidare e organizzare altre persone.
Entro certi limiti la leadership si può imparare: esistono scuole e corsi universitari, tecniche di coaching e percorsi di formazione per trasferire metodi e strumenti. Ma la leadership, il carisma, é fondamentalmente un talento, un'inclinazione. Fin da piccoli, nei gruppi di gioco o di scuola, emerge chiaramente il temperamento e la personalità del leader: i ruoli tendono ad attestarsi secondo le attitudini dei singoli. Nelle squadre di basket o di calcio, si riconosce subito chi è portato a fare il capitano, e non necessariamente é il più bravo a giocare ma quello che sa come tenere unito e motivare lo spogliatoio, come gestire i compagni problematico, come rappresentare all'arbitro gli interessi della squadra
Come si vede, il manager non é colui che comanda (il "sergente"), né colui che ha autorevolezza o ascendente (il "padre" o il "confessore") né tantomeno il più esperto (il "capufficio"): é tutte queste figure insieme e molto altro ancora, é il capitano della nave che deve essere condotta in porto, il coach della squadra che deve vincere il campionato, lo stratega che deve sapere quando é il tempo di ingaggiare la battaglia e quando si vince evitando la guerra
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