I derivati e il problema di liquidare il vino
Dopo la grande crisi del 2008, che venne originata dai mutui subprime e dalla bolla speculativa, parlare di derivati è diventato turpiloquio. E tutto sommato la pessima immagine di cui godono questi strumenti finanziari è del tutto meritata. Ma cosa sono i derivati, perché sono nati e perché hanno provocato tutti questi danni?
Proviamo a rispondere a queste domande, senza perderci in troppi tecnicismi ma concentrandoci sulla sostanza. Lo facciamo partendo dall’esempio dei futures sul vino, che una decina di anni fa ebbero una certa fortuna anche in Italia, dopo essere stati inventati nel mercato francese dei grandi vini attraverso i contratti en primeur. Nel nostro caso le prime emissioni riguardarono invece il Brunello di Montalcino (la prima casa emittente fu Villa Banfi) e il Barolo (prima emittente fu invece, in questo caso, Fontanafredda allora di proprietà del Monte dei Paschi di Siena).
Prendiamo ad esempio la prima emissione, avvenuta nel 1996 e relativa alla vendemmia dell’anno prima. Si trattava di produzione già in cantina, ma che come è noto richiede 5 anni di maturazione e invecchiamento prima di poter essere commercializzata come “Brunello”. L’idea era quella di cedere il diritto ad acquistare nel 2000 il celebre nettare di quell’annata splendida che era stato il 95 ad un prezzo fissato all’inizio, ed allora pari a 35.000 lire a bottiglia, inferiore al presumibile prezzo che quella stessa bottiglia avrebbe avuto a scadenza. Il future si materializzava dunque in un certificato che incorporava il diritto su un lotto di 6 bottiglie, emesso quindi a 210.000 lire
Nel 2000 quelle stesse bottiglie sarebbero costate 55.000 lire l'una, per un valore complessivo di lotto pari a 330.000 lire: la differenza costituiva l’utile dell’investitore e – specularmente – il costo finanziario (sconto) per l’azienda che incassava con 5 anni di anticipo. Il rendimento non era neanche tanto male, pari al 15% all’anno.
Certo, il rendimento non era di natura finanziaria ma quanto mai “reale” in questo caso: si concretizzava nel piacere di gustare il Brunello. In alternativa le bottiglie si sarebbero potute vendere e trasformare in denaro, ammesso che l’investitore fosse stato capace di trovare un venditore a quel prezzo: anche la materia più liquida (il vino) doveva dunque essere liquidata…
E proprio qui cominciavano i problemi: non esistendo un mercato secondario regolamentato, chi avesse voluto trasferire il titolo prima della scadenza, avrebbe dovuto soggiacere alle condizioni imposte da chi era disponibile a comprare (in pratica solo la banca che curava l’emissione). E anche a scadenza avvenuta, o l’investitore si “beve” il titolo oppure deve trasformarsi in venditore...
Forse per questi motivi, dopo una prima fase di popolarità, lo strumento é stato abbandonato. Ma, come si vede tuttavia, così strutturato il future non ha di certo le caratteristiche di tossicità che hanno assunto nel tempo gli appartenenti alla famiglia dei derivati. Infatti nella sua struttura originaria esisteva sempre uno stretto rapporto fra il sottostante (il vino) e il derivato (il future). Se tutto si fosse limitato a questo meccanismo, la bolla finanziaria dei derivati non sarebbe esplosa.
Fino a qui infatti, il derivato é semplice strumento di copertura del rischio: rischio finanziario ma soprattutto economico (in questo caso il crollo del prezzo per il produttore). Si devono incrociare due valutazioni e convenienze opposte: dell’investitore convinto che nei 5 anni il prezzo, come succede in genere, aumenti e del produttore che vuole evitare che diminuisca e comunque preferisce incassare subito anche se una somma inferiore.
Se invece questi certificati fossero posti ad esempio a garanzia di prestiti concessi all’investitore, avremmo già una prima netta separazione fra il sottostante e il derivato: chi acquista i diritti e concede il prestito non ha più alcun rapporto con vigne e cantine. A sua volta quest’ultimo soggetto potrebbe voler “liquidare” il suo investimento emettendo a sua volta dei titoli di debito da vendere su un qualunque mercato come “asset backed securities”, ovvero obbligazioni con collaterale di attività (i certificati, appunto).
Questo giochino in teoria potrebbe espandersi all’infinito, e generare un movimento di denaro (virtuale) grande molte volte il certificato iniziale. L’ultimo anello della catena farà un investimento solo finanziario, magari con la particolarità che il prezzo dei suoi titoli é in qualche modo correlato al prezzo del vino.
Se sostituiamo al future sul vino, come mattoncino iniziale, un mutuo residenziale, che é un debito della famiglia che ha comprato casa, possiamo capire come a un certo punto può crollare il castello. Come nel gioco degli Shanghai quando si estrae un bastoncino alla base e tutti gli altri crollano, così il mancato pagamento di una rata può mettere in crisi il meccanismo.
É chiaro che finché siamo nella normalità, le insolvenze saranno ragionevolmente limitate, la banca potrà mettere all’asta la casa e rientrare, e comunque avrà modo di tamponare una situazione contingente.
Nel 2008 invece moltissime famiglie iniziarono a trovarsi in difficoltà a rimborsare i mutui perché la crisi iniziava a mordere e i loro debiti erano arrivati a livelli insostenibili. Il valore delle case crollò e siccome ormai da tempo le banche finanziavano il 100% (talvolta anche di più) del valore della casa ipotecata, neanche le esecuzioni immobiliari riuscivano a coprire i residui impagati. Iniziarono allora a fallire le società finanziarie che avevano emesso i titoli cartolarizzati e chi aveva investito in questi strumenti (impiegando magari fondi di terzi) finì per trovarsi in mano carta straccia.
[caption id="attachment_522" align="alignnone" width="750"] Photo Credit: IB Times UK[/caption]
Il resto é cronaca, con le immagini dei neo disoccupati di Lehman Brothers che portavano via gli scatoloni con dentro la loro vita passata.
E non avevano neanche una bottiglia di Brunello per consolarsi....
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