Tassi e debito: i mercati obbligazionari nell'anno che verrà
Se la settimana passata abbiamo affrontato il tema delle previsioni del nuovo anno per il mercato azionario, proseguiamo ora questa breve rassegna ad uso dell’investitore accorto e razionale parlando delle obbligazioni.
Questi titoli, che tradizionalmente rappresentano la parte prevalente di ogni portafoglio, quest’anno non hanno dato tuttavia grandi soddisfazioni. I rendimenti continuano a mantenersi molto bassi, nonostante le aspettative di rialzo dei tassi da questa e dall’altra parte dell’Oceano.
L’enorme liquidità presente nel sistema è stata solo marginalmente scalfita da politiche monetarie delle banche centrali che, a dispetto delle dichiarazioni di intenti, si mantengono espansive. La Banca Centrale Europea, in particolare, sembra che non proceda ad aumenti di tassi neanche nel 2018, mentre la Federal Reserve statunitense dovrebbe approvare un aumento frazionale in dicembre e poi altri nei mesi successivi, ma comunque molto più timidamente di quanto pareva qualche mese fa, prima del cambio al vertice.
Se i tassi non salgono e anche l’inflazione si mantiene debole, non si vede perché il risparmiatore dovrebbe accanirsi a sottoscrivere titoli che rendono poco e incorporano comunque, specie i titoli corporate, un rischio di credito. Rischio per rischio, tanto vale allora prendersi le azioni...
I bond governativi poi (BTP, Treasury Bond del governo USA, Bonos spagnoli, per non parlare dei Bund della Merkel) hanno rendimenti talmente risicati che solo per scadenze pluriennali raggiungono qualche punto percentuale. Addirittura per scadenze inferiori all’anno i rendimenti sono negativi, ovvero è necessario riconoscere interessi all’emittente anziché incassarli.
Se vogliamo avere un minimo di soddisfazione, dobbiamo rivolgerci ai cosiddetti high yield (titoli ad alto rendimento, ma più rischiosi in quanto emessi da soggetti con rating basso) e, in particolare, a quelli perpetui o comunque a scadenza molto lontana. In ogni caso, in vista dei fantomatici aumenti dei tassi, meglio il tasso variabile di quello fisso.
E tutto questo per portare a casa magari il 6 o 7%, sperando che gli emittenti non falliscano o i tassi non aumentino troppo. Questo è il motivo per cui i mercati azionari stanno raccogliendo il successo di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente.
Va tenuto presente che c’è una correlazione inversa fra tassi di interesse e prezzi dei titoli: quando i tassi aumentano, i prezzi di mercato delle obbligazioni diminuiscono e chi le ha in portafoglio – se vuole venderle prima della scadenza – subisce una perdita di capitale concettualmente analoga alla penalizzazione di tenere investiti i propri soldi ad un tasso divenuto più basso di quelli correnti.
La prospettiva che i tassi aumentino, anche se poi questo non succede, tiene quindi lontani gli investitori dai mercati obbligazionari. Se ci si aspetta che i prezzi diminuiscano, meglio rinviare l’investimento e comprare a prezzi più bassi.
Ciò non significa ovviamente che dobbiamo uscire dal mercato obbligazionario, sia perché le previsioni sono appunto previsioni e non certezze e quindi potrebbero non rivelarsi azzeccate, sia soprattutto perché è bene tenere un profilo equilibrato e una asset allocation strategica orientata al medio periodo.
Come abbiamo più volte ripetuto, le scelte strategiche di portafoglio devono essere in funzione della propria situazione patrimoniale e reddituale, degli obiettivi e della propensione al rischio e sicuramente dei macro trends dell’economia. Gli scostamenti contingenti devono invece essere alla base dell’asset allocation tattica: quindi se abbiamo una minusvalenza teorica su un determinato titolo ma riteniamo che possa recuperare, è bene tenerlo in portafoglio.
C’è inoltre un altro fattore che a nostro avviso è destinato ad acquisire sempre più importanza: la volatilità. Questi ultimi anni hanno visto livelli di volatilità insolitamente contenuti, ma non è detto che la cuccagna duri all’infinito.
Se i mercati dovessero tornare ad una instabilità strutturale, l’investimento premiante sarebbe quello in titoli flessibili e in primo luogo in quei fondi di investimento che lavorano e guadagnano appunto sulla volatilità. Fino ad ora hanno avuto rendimenti molto bassi, ma è plausibile attendersi che presto possa tornare anche il loro momento di gloria.
Se così è, una buona scelta potrebbe essere quella di indirizzare parte delle proprie risorse su questo tipo di asset, approfittando degli attuali prezzi bassi.
Quello che abbiamo detto sulle obbligazioni vale, ovviamente, solo per i titoli in Euro: degli investimenti in valuta, come pure in altri strumenti, parleremo nel prossimo articolo. Come vedremo infatti, nel caso della valuta la principale componente di reddito, oltre che il maggior tasso offerto rispetto a quello in Euro, sta proprio nella prospettiva di un apprezzamento della valuta medesima.
Riepilogando: l’investimento obbligazionario in Euro, anche se in questo momento meno redditizio rispetto a quello in azioni, può essere consigliabile a tasso variabile e con una quota riservata agli high-yield, ovvero titoli a tasso più elevato anche se più rischioso e alle scadenze più protratte. Da valutare sicuramente l’ingresso in un fondo obbligazionario flessibile per trarre vantaggio dall’eventuale aumento di volatilità dei mercati.
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