L'A B C dell'economia: risparmiare e investire
Dopo una breve parentesi dedicata ai mercati azionari e alla volatilità con la quale dovremo imparare a convivere, proseguiamo il nostro viaggio fra i fondamentali dell’economia.
Parlando delle funzioni di base, abbiamo cantato le lodi del risparmio, virtù dal sapore antico che ci ricorda la prudenza della formica contro le tentazioni consumistiche della cicala. Rinunciare a godersi oggi una parte di reddito per essere in grado di fronteggiare bisogni futuri è senz’altro una buona norma di vita.
Una volta si usava regalare ai bambini il primo salvadanaio, invitandoli a rinunciare a qualcosa per infilarci una monetina appena possibile. Avrebbero presto imparato che al bisogno si poteva rompere il salvadanaio e ritrovare il frutto delle loro rinunce: un piccolo sacrificio immediato per una soddisfazione più grande in futuro.
Tuttavia talvolta succedeva che gli anni passavano e, quando il bimbo diventava grande, si rendeva conto che la somma messa da parte negli anni era ben poca cosa rispetto alle piccole rinunce quotidiane che gli era toccato sopportare.
Ma intanto aveva imparato il senso della rinuncia, la capacità di reprimere le voglie e quindi, tutto sommato, la moderazione. Da noi il risparmio è sempre stato molto importante e la quota di reddito che ad esso veniva (e tuttora viene) destinata è sempre stata relativamente grande.
In altri sistemi economici non è così: al contrario viene invece favorito il consumo, la spesa, finanche il debito. In tal modo così si forniscono risorse al sistema produttivo e si favorisce produzione e reddito, che a loro volta alimentano altra domanda ed innescano il circolo virtuoso della crescita.
Il risparmio da noi è talmente importante da essere l’unica funzione economica degna di menzione e tutela costituzionale, eredità di un mondo antico gravato da povertà e ristrettezza.
Allora dove sta la verità: risparmiare è bello oppure serve solo a sottrarre risorse a produzione e sviluppo? Si potrebbe addirittura dire, estremizzando in senso provocatorio, che il risparmio è un atto egoista perché alla fine si risolve nel tenere per sé il denaro ed impedisce di “far lavorare” risorse finanziarie che potrebbero invece essere il volano del sistema.
Di provocazione, appunto, si tratta.
Infatti, come abbiamo visto in un precedente articolo, risparmio e investimento sono due facce della stessa medaglia tanto che a livello macroeconomico le due grandezze si uguagliano in ogni momento.
In un sistema che funziona, infatti, ogni euro risparmiato viene dirottato verso il sistema produttivo per finanziare gli investimenti. La domanda per beni di investimento è il fondamento della crescita dal lato delle imprese. Un sistema produttivo che funziona non può fare a meno di investire, sia per la fisiologica sostituzione di impianti e attrezzature che con l’uso si deteriorano - e che anche per il solo trascorrere del tempo diventano obsoleti-, sia per realizzare nuovi processi e nuovi prodotti.
L’impresa è un organismo dinamico che vive e prospera in quanto cresce e si evolve: chi si ferma è perduto. Crescere vuol dire aumentare le quantità di beni prodotti e di servizi prestati, oppure – a parità di fatturato – aumentare la produttività riducendo le risorse impiegate, e quindi i costi.
Il solo fatto di aumentare il volume di attività richiede il finanziamento del capitale circolante e già questa è una forma di impiego del risparmio. Quando un’impresa aumenta il fatturato, anche il suo magazzino di materie prime e prodotti finiti dovrà crescere in proporzione e così i crediti e la liquidità. Tipicamente è la banca che finanzia il circolante, anticipando – rispetto alla vendita dei prodotti – i flussi in entrata necessari a pagare materie prime, personale, servizi.
Il ciclo produttivo è infatti caratterizzato da un disallineamento fra circuito economico e circuito finanziario. A tal proposito i lettori ricorderanno che il circuito economico è quello dei beni e servizi, mentre il circuito finanziario quello del denaro e simili.
Produrre vuol dire trasformare le materie prime, attraverso il ciclo di lavorazione, per ottenere prodotti finiti. Ma le materie prime, come pure il lavoro, si pagano prima che il prodotto sia venduto e a maggior ragione prima che il relativo ricavo sia incassato o accreditato in conto.
La banca anticipa quindi all’impresa il denaro necessario a remunerare i propri fattori produttivi e, quando arriva il flusso di denaro della vendita, il finanziamento viene estinto. La stessa azienda di credito, a sua volta, utilizza il risparmio dei depositanti – e qui torniamo al nostro discorso - per prestarlo alle imprese. Possiamo rappresentare i due circuiti (economico e finanziario) nel seguente schema:
Il circuito rosso è quello dei beni e servizi: l’impresa riceve da clienti e fornitori lavoro, materie prime e servizi e cede ai clienti i prodotti finiti. Il circuito azzurro è quello finanziario, in cui entra anche la banca: la banca riceve dai depositanti il risparmio e paga gli interessi e eroga credito alle imprese ricevendo interessi; infine riceve dalle stesse il rimborso dei finanziamenti; l’impresa paga a dipendenti i salari e ai fornitori il prezzo dei materiali e riceve dai clienti il ricavo della vendita.
Questo è il ciclo, ovviamente semplificato, del cosiddetto “credito a breve”, ovvero del finanziamento della gestione corrente.
Ma le imprese, come si diceva, devono anche investire sulla sostituzione, rinnovo e miglioramento di impianti e attrezzature e, soprattutto, in nuovi processi e nuovi prodotti a seconda delle esigenze del mercato.
Quando i bisogni dei consumatori cambiano, anche l’impresa più efficiente può andare fuori mercato se non riesce a fornire ai clienti ciò di cui essi hanno bisogno.
Un’azienda che produceva calcolatrici elettromeccaniche e macchine per scrivere, con l’avvento dei computer non ha più senso di esistere: se il mercato vuole hardware, processori e software, produrre bellissime macchine da scrivere come la “Lettera 23” o addizionatrici “Divisumma” può servire magari a rifornire i musei del design e della tecnologia ma non a fare affari. O l’impresa riesce a trasformarsi o esce dal mercato: è quello che in Italia è successo alla Olivetti, una delle realtà industriali di assoluta eccellenza del secolo scorso.
Dunque l’azienda deve investire per non morire: nuovi prodotti, ma anche nuovi processi. E questo vuol dire acquistare nuovi impianti, nuovi macchinari, nuovi sistemi informatrici, assumere tecnici qualificati, spendere in pubblicità e promozione.
Non si tratta più di coprire il fabbisogno per la gestione corrente, ma di ricercare finanziamenti a medio e lungo termine per coprire gli investimenti.
In tal modo, mettendo in circolazione le risorse generate dal risparmio, l’azienda sarà in grado di soddisfare meglio i bisogni dei propri clienti, di produrre di più e/o diversificare l’offerta, di svolgere il proprio ruolo con maggiore efficacia. E ne risulterà beneficiato l’intero sistema paese, perché ci saranno maggiori redditi da spendere o risparmiare per i lavoratori, per i fornitori di beni e servizi, per la pubblica amministrazione che vedrà aumentare il suo gettito fiscale.
Risparmio e investimento sono quindi entrambi motori di sviluppo, come lo è il reddito. Una politica economica che voglia far crescere il sistema dovrà quindi favorire la formazione del risparmio e agevolare la sua canalizzazione verso gli investimenti produttivi. Lo strumento tradizionale per realizzare questo obiettivo è un prezioso animaletto che abbiamo più volte incontrato nei nostri articoli: il tasso (di interesse).
Lo vedremo nella prossima puntata.
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