L'ABC dell'economia: equilibrio
Se esistesse una lista di parole magiche per l’economia, certamente la parola “equilibrio” ne farebbe parte. Ricordo che con i miei colleghi studenti ridevamo di un nostro professore di macroeconomia all’Università che chiudeva le dimostrazioni con una frase – con spiccato accento romanesco – del tipo: “… a questo punto il sistema sta in equilibrio, le aspettative si verificano, ‘a ggente è soddisfatta e tutto va bene.”
In effetti tutta la teoria economica, sia a livello macro che aziendale, è basata su funzioni di natura comportamentale di domanda e offerta che a un certo punto si incontrano e definiscono i valori rilevanti di mercato (prezzi, tassi, occupazione, salari, addirittura il benessere…).
Le funzioni, a loro volta, sono il risultato dell’osservazione empirica e statistica di due fenomeni dei quali emerge il collegamento, come in molti dei casi che abbiamo visto: reddito e consumo, risparmio e investimento, reddito e importazioni, e così via.
Si dice ad esempio che il consumo è funzione del reddito, volendo significare che la spesa per beni di consumo varia a seconda del variare del reddito: aumenta al suo aumentare e diminuisce al suo diminuire; ma l’aumento è a ritmo decrescente, ovvero molto accentuato per livelli bassi di reddito e via via meno deciso a livelli più alti.
In termini matematici, gli economisti esprimono il concetto con la seguente espressione:
C = f(Y)
Una volta identificato il tipo di collegamento fra le due grandezze, dato un certo livello di reddito, è facile trovare il corrispondente livello del consumo.
La funzione è ottenuta come interpolazione (ovvero congiunzione) di tutte le coppie di reddito e consumo rilevate dalla statistica.
Non è difficile trovare anche la spiegazione comportamentale al fenomeno registrato: quanto più elevato è il reddito, tanto maggiore sarà la spesa per consumi.
Quello che non convince, in questo mondo di perfette corrispondenze statistiche e matematiche, è in primo luogo il fattore tempo, e in secondo luogo la corretta interpretazione del rapporto causa-effetto.
Nel primo caso, infatti, non è chiaro in quanto tempo la correlazione si manifesta: ammesso pure che a un aumento di reddito corrisponda un aumento di consumo, non è affatto indifferente sapere se tale fenomeno si manifesta dopo un giorno, un mese, un anno o dieci anni.
Se il mio stipendio aumenta di 100 Euro al mese, è ragionevole supporre che anche la mia spesa per consumi aumenti, mettiamo di 50 Euro. Ma in alcuni casi questo può avvenire contestualmente, in altri qualche giorno dopo l’accredito del nuovo stipendio, in altri ancora solo mesi più tardi. Oppure, addirittura, anche prima di percepire il nuovo livello di stipendio: non appena l’azienda lo comunica, e nei casi estremi non appena sentono parlare di aumenti, alcuni corrono subito a spendere.
In secondo luogo non è chiaro quale sia la causa e quale l’effetto: è il mio nuovo reddito che produce una maggiore spesa per consumi, oppure è la decisione di consumare di più che fa aumentare il reddito, magari di coloro che lavorano in quelle aziende che producono i beni che io vado a comprare?
Inoltre, in economia, assumiamo sempre che i soggetti (e i mercati) si comportino in maniera razionale, ma sappiamo bene che spesso ciò non avviene. E questo forse è anche il bello della vita.
Da tutto ciò consegue che, seppure a un certo punto si determina una situazione di equilibrio, questa sia tutt’altro che stabile, o magari sia solo il frutto di errate valutazioni che alla fine si compensano.
Il consiglio è quindi di prendere sempre con le molle le certezze degli economisti, e talvolta di praticare un sano scetticismo. Di certo non possiamo aspettarci che anche se in equilibrio, una situazione possa durare in eterno, o che a determinati eventi le reazioni che si verificano siano sempre quelle coerenti con le funzioni matematiche.
In un mondo come quello attuale, interconnesso e in continua evoluzione, basta poco per vedere grandi sconvolgimenti,reazioni inattese o inspiegabili, addirittura “cigni neri”[1]
Quante volte abbiamo scommesso su un titolo perché il suo prezzo è molto sceso sul mercato ed è da tempo sotto il suo livello “normale” o “atteso” o “di equilibrio”, e il titolo continua invece a scendere? Esattamente come quando giochiamo al lotto un numero che non esce da molti turni. La statistica, la logica e l’esperienza ci dicono che quel titolo salirà o che quel numero uscirà, e prima o poi magari succede davvero.
Ma talvolta dovrà passare molta acqua sotto i ponti, o addirittura scopriremo di avere davanti un bel cigno nero. In ogni caso il rischio di farsi male ci sarà sempre.
Molto meglio considerare l’equilibrio dei mercati e del sistema come una situazione da libri di testo, utile come punto di riferimento tendenziale ma non sempre vera in assoluto.
[1] “Il cigno nero” è il titolo di un saggio di grande successo di Nassim Nicholas Taleb, uscito nel 2007, nel quale viene teorizzata e analizzata l’esistenza e l’incombenza degli eventi improbabili, se non ritenuti impossibili, nella vita reale.
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