AGOSTO MESE DI TREGENDA PER L’INVESTITORE
Dovremmo essere ormai abituati alla volatilità dei mercati, ma un calo del 7,75% dell’indice FTSE Mib (1) in un mese rappresenta meglio l’andamento delle montagne russe che non quello della borsa di uno degli otto maggiori sistemi economici del mondo.
Se continuasse a questo ritmo per i prossimi 12 mesi, vedremmo polverizzarsi oltre il 90% della capitalizzazione delle maggiori 40 società del Paese. E tutto questo nel momento in cui gli indici azionari degli Stati Uniti continuano a crescere ad un tasso mai visto da prima della grande crisi del 2007, e anche l’Europa tutto sommato non se la sta passando male.
Cosa sta succedendo in Italia e cosa dobbiamo attenderci nelle prossime settimane? E soprattutto, come diceva Lenin, che fare?
Le risposte a queste domande, e ad altre simili, richiedono più capacità divinatorie che non onesta conoscenza di fatti e dinamiche del mondo dell’economia e della finanza. Proviamo a dare qualche chiave di lettura ragionevole, e come al solito qualche indicazione di puro buon senso.
Un celebre adagio, molto popolare fra gli investitori americani, suggeriva: sell in may and run away, ovvero "vendi a maggio e scappa via", come abbiamo ricordato anche su questo blog proprio in primavera. Mai previsione fu più azzeccata, almeno per quanto riguarda il mercato italiano.
L’indice FTSE Mib il 7 maggio di quest’anno si fermò al valore di 24.544, ovvero bel 19,7 punti percentuali sopra il livello di 20.495 fatto segnare il 3 settembre. Chi ha detenuto azioni ininterrottamente da allora fino a ieri ha visto diminuire del 20% il suo investimento. Vista da un’altra angolazione, un investitore che avesse liquidato tutto all’inizio di maggio, potrebbe ricomprarsi oggi lo stesso portafoglio ad un prezzo inferiore di un quinto. Dopo soli 5 mesi, una performance di tutto rispetto.
Esiste quindi, al di là delle leggende di borsa (basate però sull’osservazione statistica negli anni), un fenomeno di stagionalità dei mercati che vede molto spesso l’agosto dei mercati soffrire con una certa regolarità.
In genere, quando le azioni scendono, i titoli del reddito fisso salgono. Questo perché chi vende le azioni dirotta la liquidità ottenuta verso le obbligazioni, facendone aumentare il prezzo, ovvero innescando, o avvantaggiandosi (a seconda di come si intenda la direzione del rapporto causa-effetto) di una tendenziale riduzione dei tassi di interesse.
In Italia purtroppo questo non è accaduto, perché in questo periodo i tassi, impercettibilmente ma sistematicamente, hanno continuato a crescere.
In parte ciò è avvenuto a causa dell’annunciato piano di riduzione del quantitative easing (2) da parte della Banca Centrale Europea, che per sua natura avrebbe comunque portato ad un aumento dei tassi di interessi. Per l’Italia, questo trend è stato rafforzato dal clima di incertezza che si è diffuso all’indomani delle elezioni politiche, e che tuttora pervade i mercati.
La conseguenza è che anche i titoli obbligazionari hanno visto ridursi i loro valori di borsa, e in modo tanto maggiore quanto più protratta era la loro scadenza. Per cui anche chi cercava investimenti a lungo termine, più rischiosi ma generalmente più redditizi, oppure investimenti “a alto rendimento” (i cosiddetti high yields) ha registrato perdite consistenti.
Tutto questo mentre in America, e in parte negli altri mercati europei, il valore delle attività finanziarie continuava sorprendentemente a crescere. Molti investitori hanno quindi preferito vendere titoli italiani per acquistare più performanti titoli esteri, e questo – insieme alla rarefazione dei flussi di capitali dall’estero, scoraggiati dal clima di incertezza di cui si diceva – ha ulteriormente depresso i nostri listini.
Abbiamo così assistito ad un periodo di sofferenza piuttosto prolungato. Il punto è: si tratta di un ciclo come tanti, destinato a essere riassorbito dalla prossima fase di crescita; oppure è l’inizio di una vera e propria crisi, dopo che siamo usciti a gran fatica e neanche del tutto dalla grande recessione del 2007?
Questa è la domanda centrale, e dalla risposta deriva l’indicazione su quale strategia attuare col portafoglio. Se pensiamo che si tratti di una fase del ciclo, la cosa migliore è aspettare che i valori tornino “normali” e quindi stare fermi leccandosi le ferite (calati juncu ca passa la china, ovvero chinati giunco che passa la piena, come dice un vecchio proverbio siciliano).
Se invece pensiamo che sia solo l’inizio di un nuovo prolungato periodo di crisi, meglio vendere accollandosi le perdite piuttosto che rischiare ulteriori diminuzioni del valore del portafoglio.
Gli analisti e gli strategist delle maggiori case di investimento non danno risposte univoche, ed in effetti esistono motivi a teorico sostegno di entrambe le tesi. Da un lato un ciclo economico che vede comunque il PIL crescere a un ritmo superiore agli anni passati e il valore dei multipli che ormai si sono allineati a due anni fa, al termine della grande crisi,
Dall’altro, l’incertezza politica che raggiungerà il suo culmine quando verrà discussa la legge di bilancio il mese prossimo, e l’ampiamente previsto declassamento delle maggiori agenzie di rating dei titoli sul sistema Italia.
L’unico consiglio che è ragionevole dare, in queste fasi, è quello di tenersi il più possibile liquidi, evitando la tentazione di acquistare titoli che ai valori attuali sono a veri propri livelli di saldi di fine stagione, e di approfittare dei rimbalzi di borsa per alleggerire, sia pure con qualche perdita, le proprie posizioni.
Per il resto, come si diceva, occorrerebbe la sfera di cristallo.
(1) Il FTSE MIB (Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa) è il più significativo indice azionario della Borsa italiana. È il paniere che sintetizza l’andamento delle azioni delle 40 società italiane quotate con maggiore capitalizzazione, flottante e liquidità.
(2) La politica monetaria di quantitative easing consiste nel favorire un aumento della quantità di moneta in circolazione attraverso l’acquisto di titoli sul mercato da parte della banca centrale. Il quantitative easing, la cui traduzione letterale è "alleggerimento quantitativo", viene chiamato in italiano anche "allentamento monetario" o QE (acronimo di Quantitative Easing). Attuando un piano di allentamento monetario, le banche centrali si pongono quali acquirenti di titoli di stato con denaro creato "ex-novo" e al fine di incentivare la crescita economica (per questo il QE viene anche chiamato "stimolo").
Commenti
Diciamolo pure, siamo nelle mani di Salvimaio. Eurostox ha perso solo il 4% da maggio e in USA siamo sui record storici. Le dichiarazioni senza arte ne parte del governo hanno innescato vendite a pioggia sui titoli italiani, sia azioni sia obbligazionari. La scommessa, pertanto, si fa sulla legge di stabilità, che potrebbe portare anche a downgrade su rating e ulteriori vendite
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