Esodi, transumanze e migrazioni
Il Natale è in un certo senso anche una ricorrenza della migrazione: tutto sommato, all’epoca dei fatti, la Sacra Famiglia stava rientrando verso il luogo di origine, da cui si era spostata per registrarsi ai fini del censimento. La Bibbia stessa narra di esodi epocali e di spostamenti: del resto la storia dell’uomo è da sempre segnata da fenomeni migratori che, nei casi migliori, sono viaggi pieni di speranza verso una terra promessa o alla ricerca di una vita più dignitosa e, in quelli peggiori, diaspore e genocidi.
In questo blog, che si occupa soprattutto di aspetti finanziari e socio-economici abbiamo affrontato molti argomenti ma, fino ad oggi, non ci siamo mai soffermati sul tema della migrazione in modo specifico. Eppure, non c’è dubbio che niente come i flussi migratori influisca sul nostro sistema e stia cambiando i connotati stessi della società e dunque anche dell’economia.
L’atteggiamento da tenere nei confronti dei migranti costituisce forse il maggior punto di distinzione dei programmi delle attuali forze politiche: da quelle che vogliono opporsi tout-court agli ingressi, a quelle che cercano di limitare e disciplinare il fenomeno, a quelle che sono favorevoli all’accoglienza e all’integrazione. Si tratta comunque di un aspetto che muove flussi di denaro importanti per la gestione degli sbarchi, l’organizzazione dei centri di smistamento, per favorire lo sviluppo dei Paesi di origine al fine di contenere il problema alla base (“aiutiamoli a casa loro”), senza dimenticare la possibilità di sfruttare le materie prime di cui molti di quei Paesi sono ricchi.
Una volta sbarcati, inizia la trafila del percorso di riconoscimento e legalizzazione degli ingressi, con i permessi di soggiorno, oppure di rimpatrio. Per chi resta, che sia in regola o clandestino, l’ingresso nella forza lavoro contrattualizzata o “in nero”, oppure nei ranghi della malavita.
Come si vede, anche da un mero punto di vista economico, il fenomeno è sicuramente rilevante in quanto determina forti influenze sia sul mercato del lavoro, originando squilibrio o molto spesso riequilibrio dell’offerta (soprattutto dei lavori a minor contenuto specialistico); sia sulla domanda globale, perché i nuovi arrivati comunque consumeranno e cercheranno case e mezzi di sussistenza; sia infine sulla spesa pubblica, perché le spese per assistenza sociale e sanitaria in un sistema aperto come il nostro graveranno sul bilancio dello Stato.
Ancora più evidente è poi l’influenza sul modo di vivere e sulla fisionomia stessa delle nostre città: ormai vedere persone di diversa provenienza etnica è talmente usuale a tutti i livelli che non ci si fa più caso. Incrociare nelle nostre città donne che girano velate oppure passare vicino a moschee è diventato la regola, così come trovare badanti dell’Est Europa nelle case degli anziani o asiatici come personale di servizio nelle abitazioni signorili.
La sensazione è che opporsi a questo fenomeno sia pressoché inutile, se non impossibile. Quando le dimensioni sono quelle raggiunte oggi, alzare barriere all’ingresso può servire nel breve termine magari a dirottare altrove i flussi, ma alla lunga è come voler frenare una valanga con le mani.
E poi ci sono le conseguenze culturali: siamo orami decisamente una società multi-etnica, nelle cui scuole la quota di studenti provenienti da famiglie di migranti è in crescita esponenziale e presto sarà la maggioranza. Vengono messe in discussione le radici culturali, a partire dalle tradizioni e dall’educazione cattolica, già duramente colpite dalla globalizzazione.
Per Paesi come gli Stati Uniti, in cui queste radici sono giovani e deboli, è stato relativamente facile arrivare a una sostanziale integrazione. La società è sempre stata costituita da gruppi etnici ben caratterizzati, che alla fine hanno trovato un modo efficiente di coesistere con reciproco vantaggio. Ma per noi, con secoli di storia alle spalle, l’impatto di questa vera e propria invasione rischia di essere devastante. Sono persone giovani, “affamate” e molto motivate, disposte a fare sacrifici e abituate a sopportare difficoltà e privazioni, mentre troppo spesso – per usare un’espressione del Cardinale Biffi, vescovo di Bologna di un paio di decenni fa – noi siamo “sazi e disperati”, impigriti dal benessere e cresciuti nell’abbondanza.
Pur essendo le migrazioni un fenomeno sempre presente nella storia, tuttavia le dimensioni assunte al giorno d’oggi sono impressionanti. Popoli interi si mettono in marcia per sfuggire alle guerre, alla povertà, ai genocidi. Vedere colonne di persone che rincorrono i loro sogni o semplicemente inseguono un miraggio di sopravvivenza non può lasciare indifferenti. E’ vero che molto spesso si infiltrano anche malviventi ed è anche vero che intorno agli sbarchi è fiorito un mercato del malaffare. Ma questi sono solo gli effetti del fenomeno, che possono essere combattuti e contrastati, ed è bene che lo siano, ma che lasciano inalterate le cause, sulle quali è invece necessario riflettere.
Il forte e crescente divario fra aree del mondo ricche e aree povere, la distribuzione delle risorse e la geografia delle opportunità, la diffusione di malattie ed epidemie, i diversi tassi di crescita demografica: sono solo alcune delle cause all’origine dei fenomeni migratori.
Cercheremo nei prossimi articoli di esaminare i diversi aspetti del problema, anche con contributi esterni di specialisti dei diversi settori: dalla demografia alla gestione degli aspetti di ordine pubblico, dalle iniziative di accoglienza e solidarietà agli effetti più strettamente economici.
Come in altri casi, non riusciremo a dare risposte ma ci limiteremo a evidenziare le domande, con l’obiettivo di evitare superficialità di giudizio e reazioni istintive, molto spesso più di pancia che di testa.
Buona lettura dunque.
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