NON DI SOLO VIRUS - I mercati in tempo di epidemia
Difficile di questi tempi parlare di economia, o di qualunque altro aspetto della vita sociale e della cronaca, senza fare riferimento all’epidemia del temibile coronavirus, che dalla lontana provincia cinese di Wuhan (alzi la mano chi ne aveva sentito parlare prima, anche se si tratta di una megalopoli di enormi dimensioni) rischia di espandersi a macchia d’olio in tutto l’orbe terracqueo.
Quando si parla di epidemia, inevitabilmente si toccano corde che innescano paure ancestrali di punizioni divine, diffidenze verso chiunque possa essere anche solo sospettato di aver incrociato il virus, e panorami apocalittici del tipo della peste manzoniana. Un nemico subdolo, che non si vede ma che ci può attaccare anche solo respirando aria infetta. E, di conseguenza, la reazione, istintiva ma non giustificabile, di emarginazione e allontanamento degli “untori”, in questo caso molto facilmente identificabili dai tratti somatici.
Anche l’economia, inevitabilmente, risente e risentirà del coronavirus, e l’effetto sarà tanto maggiore quanto più lunga sarà questa prima fase di sviluppo del morbo. Se dovesse prevalere la ragionevole aspettativa di poter contenere l’espansione dell’epidemia e limitarne i danni – come la sua recente identificazione e isolamento del virus, proprio in Italia, lascerebbe sperare –, molto probabilmente gli effetti negativi verrebbero rapidamente riassorbiti e si tornerebbe o si tenderebbe a tornare alla situazione precedente, caratterizzata da mercati con abbondante liquidità e tutto sommato tonici.
Se invece ciò non accadesse, e nei prossimi giorni l’espansione dovesse continuare – e lo farebbe con progressione geometrica, quindi con rapide e crescenti accelerazioni – gli effetti sarebbero devastanti, in primo luogo per l’economia cinese, uno dei motori trainanti dello sviluppo mondiale. In questo caso, il crollo della domanda asiatica avrebbe conseguenze molto pesanti su redditi e produzioni di tutto il mondo sviluppato e il blocco sostanziale dei commerci sarebbe inevitabile. Una sorta di contrappasso per il Presidente Trump che, proprio nell’anno elettorale, si troverebbe a dover raccogliere il frutto velenoso della chiusura degli scambi con il celeste impero, che proprio lui aveva fortemente propugnato.
Se dovessimo scommettere su uno dei due scenari, non avremmo dubbi nel puntare sul primo, come già avvenuto con la SARS, l’aviaria, la febbre suina, e molti altri focolai. Tanta è la (comprensibile) paura delle pandemie, e il senso della nostra impotenza, che siamo naturalmente portati a percepire un pericolo maggiore di quello reale. Sia chiaro: giusto e sacrosanto tenere alta la guardia e fare di tutto, senza risparmio, affinché la diffusione venga bloccata.
Altra cosa, però, rinunciare a uscire di casa, evitare contatti con il mondo, cambiare lo stile e i progetti di vita per la paura. D’altra parte è praticamente impossibile, al giorno d’oggi, impedire alla gente di muoversi o mettere in isolamento intere città, quando magari durante le due settimane di incubazione i portatori inconsapevoli hanno avuto tutto il tempo di propagare il virus in zone molto estese.
I mercati hanno reagito, come sempre in questi casi, in modo molto emotivo, al limite dell’irrazionale: grandi volumi di vendite sul comparto industriale (i cinesi non importeranno più), sul petrolio e i petroliferi (l’economia cinese andrà in recessione e la domanda di energia crollerà), sui titoli del lusso, sui trasporti e sul turismo (i cinesi non compreranno più moda europea e non viaggeranno più), sui finanziari (i mercati di tutto il mondo si paralizzeranno).
E, d’altra parte, forti aumenti dell’oro (eravamo stati facili profeti qualche settimana fa), crescita di prezzi anche di tutti i beni rifugio, apprezzamento di farmaceutici e alimentari, come se si stesse preparando una guerra mondiale e non ci fosse un domani.
Saranno decisive le prossime giornate di contrattazione: era scontato che alla riapertura del mercato cinese ci sarebbe stato un crollo pesante, ma alla fine si è trattato della perdita cumulata che più o meno tutti gli altri mercati hanno registrato nei giorni di chiusura delle contrattazioni in Cina, prima per i festeggiamenti del Capodanno e poi per effetto del virus.
Se questa tendenza dovesse continuare anche nei prossimi giorni, non possiamo nasconderci che la situazione si farebbe davvero molto pesante per gli investitori di ogni parte del pianeta. Anche per questo la People’s Bank di Pechino (la banca centrale cinese) sta inondando il mercato domestico di quantità mai viste di Yuan, per agevolare la reazione del sistema.
Se però prevarrà, come tutti si augurano e come pare più probabile, il ritorno alla razionalità, questi giorni potrebbero rappresentare una ghiotta opportunità di acquisto per titoli che comunque fra un paio di mesi inizieranno a distribuire dividendi. E se la reazione dei mercati fosse più rapida e più forte del previsto, ciò potrebbe consentire qualche buon guadagno del tipo “mordi e fuggi”. Naturalmente devono sempre essere tenuti presenti i rischi di un investimento azionario, tanto più in un momento di instabilità e irrazionalità come l’attuale: il rischio di ritrovarsi inchiodati con titoli in calo è da mettere sempre in conto, per cui in genere è buona norma entrare sul mercato ai primi segnali di ripresa, per cavalcare il trend e mai andargli contro.
Certo che l’anno del topo non poteva iniziare nel modo peggiore...
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