L'HARDWARE DELLA BANCA

L'HARDWARE DELLA BANCA

Mar, 07/14/2020 - 08:04
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L’ABC dell’economia e della finanza - 5

 

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Concludiamo con questo articolo la miniserie sulle banche e la finanza, che a sua volta pone termine all’Abc dell’economia iniziato oltre un anno fa e che ci ha portato ad esaminare, in chiave magari elementare ma con dichiarate pretese di completezza e di rigore teorico, le dinamiche, i fondamentali e le leggi dell’attività economica.

Con un minimo di forzatura, parliamo di hardware della banca, volendo fare riferimento allo stato patrimoniale che, come ormai noto ai lettori del sito, fotografa la situazione ad una data precisa, in genere l’ultimo giorno dell’esercizio, e descrive quindi le grandezze stock[1], mentre il conto economico, di cui abbiamo discusso nel precedente articolo ne rappresenta i flussi di costi e ricavi.

Nello stato patrimoniale troviamo quindi la consistenza, con valutazione aggiornata, di tutte le attività che la banca possiede, l’hardware appunto, che anche se non sempre hanno caratteristica di fisicità e materialità (ci sono infatti le attività immateriali come marchi, brevetti, avviamenti, ecc.), sono comunque misurabili, vendibili e scambiabili sul mercato.

 

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Oltre a queste, esiste però un software che ha altrettanta, se non maggiore, importanza nel consentire alla banca di svolgere la sua funzione in modo fluido e redditizio.  Si tratta della fiducia, o reputazione di mercato, in funzione della quale i depositanti affidano le loro risorse alle aziende di credito e così facendo rendono possibile mettere in moto un’enorme volume di prestiti e attività creditizie. Il capitale proprio, o patrimonio della banca, di cui parliamo in seguito, può restare relativamente contenuto perché serve non tanto ad essere investito per acquisire direttamente i vari cespiti (come succede in genere per ogni azienda), quanto come garanzia nei confronti dei depositanti.

Questo può succedere proprio perché la banca gode di fiducia. Senza questa non c’è banca, né attività creditizia. Per capirlo basti pensare a cosa succede nel momento in cui si diffondono notizie su difficoltà e crisi di una banca: code agli sportelli, corsa a ritirare i soldi, depositanti infuriati. E’ come nel domino: cade la prima tessera, e tutte le altre dietro in una corsa inarrestabile verso il disastro.

La fiducia per una banca è come l’acqua per i pesci o l’aria per gli esseri umani: finché tutto va bene non ti accorgi della sua presenza, ma se comincia a mancare si boccheggia. Non ha un valore monetario, non si compra né si vende, e non si contabilizza in bilancio: senza di essa, semplicemente la banca non esiste.

Del resto, basti pensare a quanti termini dell’attività bancaria derivano dal concetto di fiducia: fido, affidamento, credito, massa fiduciaria e così via.

Ma torniamo all’hardware e allo stato patrimoniale. Come si diceva, da una parte esso espone tutti i cespiti attivi, gli elementi in cui sono investite le risorse. Dalla parte opposta tutte le passività, ovvero i debiti.

Iniziamo dalle attività. Tipicamente quelle fruttifere, cioè che producono direttamente ricavi sono i crediti verso la clientela (tutte le forme di prestiti erogati alle imprese, alle famiglie e alla Pubblica Amministrazione) e i titoli acquistati dalla banca in proprio (titoli di Stato, obbligazioni), che rappresentano rispettivamente il portafoglio prestiti e il portafoglio titoli.

In entrambi i casi si tratta, a ben vedere, di credito, ovvero di investimento sulla fiducia: cambia solo lo strumento tecnico. Nei prestiti si avranno le varie forme di concessioni creditizie alla cui base c’è l’affidamento[2]; nei titoli si acquistano strumenti o contratti che rappresentano comunque titoli di credito nei confronti di chi li ha emessi.

Le immobilizzazioni, infine, sono gli investimenti in immobili, attrezzature, macchinari e in genere tutti gli impieghi in capitale fisso.

 

ATTIVITA' LIQUIDE
  +  
PRESTITI 
  +  
TITOLI
  =  
     
ATTIVITA' FRUTTIFERE
     
  +  
IMMOBILIZZAZIONI
  =  
     
TOTALE ATTIVITA'

 

Le passività sono invece rappresentate dai debiti a vario titolo che la banca ha contratto, e che sono finalizzati a procurarsi le risorse finanziarie (il cosiddetto funding o raccolta) per poter fare credito. Tipicamente si tratta di depositi da clientela, di depositi da altre banche e di titoli in circolazione (in particolare le obbligazioni emesse per raccogliere denaro a medio e lungo termine sul mercato dei capitali).

Le altre passività, quelle non onerose, sono debiti di natura diversa – come quelli fiscali e il trattamento di fine rapporto dei dipendenti – oppure i fondi accantonati per  far fronte a oneri eventuali e spese future.

 

DEBITI VERSO BANCHE
  +  
DEPOSITI DA CLIENTELA
  +  
TITOLI IN CIRCOLAZIONE
  =  
     
PASSIVITA' ONEROSE
     
  +  
PASSIVITA' FISCALI
  +  
  TFR  
  +  
FONDI PER RISCHI E ONERI
  =  
     
TOTALE PASSIVITA'

 

La differenza fra totale delle attività e totale delle passività costituisce il patrimonio netto,  che rappresenta il cuscinetto di garanzia per assorbire le eventuali perdite e mantenersi in grado comunque di rispettare i propri impegni.

Questo è il motivo per cui le autorità di vigilanza impongono un livello minimo di patrimonio in relazione ai crediti in essere, ponderati per il rischio, ovvero adeguatamente rettificati per tenere conto del livello di rischiosità. E’ chiaro che un prestito a un’azienda solida garantito da titoli di Stato non ha lo stesso impatto sul rischio di un mutuo chirografario ad un’azienda in difficoltà. Le autorità di vigilanza definiscono pertanto dei requisiti patrimoniali, ovvero dei livelli minimi di questo rapporto, al di sotto dei quali la banca non può scendere.

 

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Se il patrimonio dovesse ridursi (per effetto soprattutto delle perdite su crediti) oltre quel livello, la banca dovrà necessariamente aumentare il proprio patrimonio chiedendo soldi ai suoi azionisti, oppure ridurre il livello di attività (diminuire i prestiti a rischio o eliminare dal bilancio, magari cedendoli a terzi, i prestiti in sofferenza).

Il rischio di perdite è solo uno dei rischi che l’attività bancaria affronta. Il più insidioso è però il rischio di liquidità che si manifesta quando attività e passività hanno scadenze disallineate: se tutti i depositanti a vista chiedessero di prelevare i loro denari nello stesso momento, la banca non potrebbe avere disponibili risorse liquide sufficienti, perché i prestiti e i titoli dell’attivo fruttifero hanno le loro scadenze, indipendentemente dalla qualità dei prenditori. Per affrontare questo rischio, definito di mismatch, ovvero disallineamento, la banca ricorre a tecniche di tesoreria sofisticate e complesse che portano a definire la sua attività come vera o propria trasformazione di scadenze.

E’ ora chiaro quello che dicevamo all’inizio della mini-serie: solo le banche più grandi, più capitalizzate, possono permettersi alti volumi di prestiti e quindi ricavi consistenti. Le banche di minore dimensione dovranno cercare altre forme di attività che possano produrre reddito, tipicamente servizi che non richiedono (in gergo si dice assorbono) capitale, vera e propria risorsa rara.

Ma anche per fornire servizi, dato che i margini di redditività si riducono continuamente, occorre fare investimenti sempre più elevati e così si torna al punto di partenza.

 

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Al termine di questa lunga cavalcata nei meandri dell’economia e della finanza, ci rendiamo conto di aver solo accennato agli elementi principali delle dinamiche del nostro sistema, ma il proposito era quello di farne capire la complessità e come tutti i suoi aspetti fossero collegati fra loro. Quello che unisce tutto è ovviamente l’uomo, con i suoi desideri, le sue capacità, le sue conoscenze, i suoi bisogni: dal comportamento delle persone e dalle loro aspettative, dalle propensioni e dai vincoli, dagli obiettivi che si pongono e dal lavoro che fanno discendono tutte le leggi dell’economia.

Non è l’uomo per l’economia, ma l’economia per l’uomo.

 

[1] Sui concetti di flusso e stock ci siamo spesso intrattenuti nei nostri articoli: si veda fra tutti https://www.marcoparlangeli.com/2019/07/30/un-mondo-di-flussi-e-stock

[2] L’affidamento (o più comunemente fido) rappresenta la fase iniziale della concessione creditizia della banca consistente nel mettere a disposizione del cliente (affidato) un determinato ammontare massimo di credito da poter utilizzare in forme tecniche, con garanzie e per scadenze determinate.

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