ANNI CHE VANNO, ANNI CHE VENGONO
Il bilancio dell’anno in chiusura, con il cigno nero della crisi pandemica e le prospettive per il 2021
Nell’ultimo editoriale di questo nefasto 2020, difficile sottrarsi alla tentazione di fare un bilancio consuntivo dell’anno che sta per chiudersi e tentarne uno preventivo di quello che verrà. Parlando di mercati e investimenti, più che di contabilità si tratta necessariamente di tirare le somme – da un lato – su quello che è successo e tentare di individuare le tendenze a breve medio termine a beneficio dei risparmiatori e di chi gestisce patrimoni.
Partiamo dunque dall’inizio e da cosa avevamo scritto lo scorso anno, in occasione appunto del consuntivo (per chi avesse voglia di rileggerselo,
https://www.marcoparlangeli.com/2019/12/31/2019-annus-mirabilis
ne può valere la pena).
Il 2019 era stato un anno strepitoso per i mercati azionari, sia quelli americani (Nasdaq, dove sono quotati i titoli tecnologici e Nyse, dove invece si scambiano le azioni di società manifatturiere e di servizi tradizionali) sia quelli europei. Nel suo piccolo, anche Piazza Affari aveva dato gran belle soddisfazioni ai suoi investitori, con uno scoppiettante +28,2%.
Questo aveva consentito di recuperare se non tutte, almeno buona parte delle perdite subite nel disastroso 2018 che vide, lo ricordiamo, una funesta congiunzione astrale, per cui tutte le asset class inanellarono una sconfortante serie negativa come non si vedeva dal 1901.
Heri dicebamus che la nostra previsione era per la continuazione del trend di crescita sull’azionario, specie sull’altra sponda dell’Atlantico, nonostante l’alta volatilità e l’indebolimento del dollaro. Tutti eventi che si sono puntualmente verificati, così come le buone performance, anche se in tono minore, di azionario Europa e Italia, e il perdurante basso livello dei tassi, con conseguente penalizzazione di tutto il comparto obbligazionario.
Quello che non si poteva prevedere, invece, era un altro bel cigno nero dopo quello della grande crisi del 2007/2008. E che cigno, questa volta!
L’ombra funesta del virus ha segnato indelebilmente l’anno che se ne va, e – temiamo – anche diversi di quelli a venire. Tuttavia i trend che avevamo individuato, hanno continuato a tenere banco, sia pure dopo la parentesi del secondo trimestre, quando la pandemia si è manifestata con tutta la sua violenza.
Dunque, mercati azionari in crescita, quelli USA addirittura oltre i massimi, mercati obbligazionari rarefatti, tassi vicini allo zero e dollaro svalutato, esattamente come previsto. Vista così, sembrerebbe che la pandemia fosse passata come acqua fresca: i mercati finanziari hanno sbandato, anche pesantemente, ma poi hanno ritrovato un loro equilibrio sui massimi livelli.
Il problema sta invece nell’economia: la produzione è drasticamente calata, consumi e investimenti si sono rarefatti, è aumentata la disoccupazione e interi settori produttivi sono scomparsi o avviati a crisi irreversibile.
Come sono conciliabili questi due aspetti contrastanti? La logica vorrebbe che se le aziende fanno meno profitti, e in prospettiva rischiano addirittura di sparire dal mercato, le azioni che le rappresentano parimenti dovrebbero calare di prezzo. Invece i prezzi continuano a crescere, anche se con significative variazioni nella composizione settoriale.
In principio sono stati i titoli tecnologici a tirare la volata, in particolare quelli legati alla net economy: Amazon, Facebook, Netlix, Google, Tesla e così via; poi è stata la volta dei farmaceutici e biotech, legati alla ricerca sui vaccini e alla produzione di apparati sanitari; infine (ed è la fase in cui ci troviamo in queste settimane) l’accelerazione ha coinvolto i cosiddetti titoli “ciclici”, quelli legati all’economia tradizionale e alla produzione fisica che dovrebbe intercettare la ripresa post-pandemia.
Il presupposto è che la gente prima o poi ricomincerà a consumare, a viaggiare, a comprare auto e che le aziende di questi settori riprendano a macinare fatturato e utili, anzi con rinnovata energia per recuperare il tempo perduto. Ne abbiamo avuto una dimostrazione con il periodo immediatamente successivo al lockdown primaverile, magari un po’ in ritardo ma con grande decisione: una volta aperti i recinti, le strade e i luoghi di vacanza sono stati invasi da moltitudini tarantolate e desiderose di spendere, con inevitabile effetto di ripartenza del contagio.
Si sono viste le azioni di compagnie aeree, linee di navigazione, società di gestione di hotel e resort crescere come se non ci fosse un domani, collocamenti di successo in borsa tipo Air B&B, immobiliare senza immobili vocata al turismo e agli affitti mentre il mercato del real estate è da tempo travolto da una crisi strutturale di prezzi e domanda.
Come si spiega questo andamento schizofrenico? Semplice: con l’enorme liquidità immessa nei sistemi dalle politiche espansive delle banche centrali che, in assenza della destinazione naturale per gli investimenti produttivi (perché le aziende di questi tempi certo non progettano nuovi investimenti), finisce nei portafogli delle banche e delle famiglie e, da qui, sui mercati azionari, dato che le obbligazioni continuano a offrire rendimenti negativi.
Quanto potrà ancora durare questa situazione, dato che si tratta dell’evidente formazione di una classica bolla speculativa? Teoricamente anche all’infinito, finché le “munizioni” continuano ad arrivare: e con i massicci programmi di “Recovery Fund” e di sostegno alla spesa pubblica, certo non si vedono segnali di inversione di tendenza.
La recente pausa sul mercato azionario USA è infatti dovuta alla mancanza di un accordo fra repubblicani e democratici, in tempo di elezione del presidente, sui programmi di sostegno, che ha momentaneamente fermato il più massiccio intervento pubblico in economia della storia. Ma non c’è dubbio che il programma verrà ripreso in gennaio, appena il panorama politico si sarà definito (indipendentemente che in Parlamento prevalga un partito o l’altro). E salvo nuove recrudescenze dei contagi, spada di Damocle con i cui timori dovremo ancora convivere.
Queste risorse vengono reperite con massiccio ricorso al debito, sia in Europa (dove finalmente il debito è assunto dall’Unione nel suo complesso), sia in America. E naturalmente il debito non è espandibile all’infinito.
Altro elemento che può fermare questo trend può essere la ripresa in grande stile dell’inflazione, che però al momento non sembra ancora alle porte, anzi siamo ancora lontani dall’obiettivo programmato del 2% come livello ottimale di equilibrio.
Nel prossimo articolo cercheremo di tradurre queste prospettive di mercato per l’anno a venire in indicazioni per gli investitori, che dovranno abituarsi a grande volatilità e maggiori livelli di rischio. Un po’ come camminare sulle uova.
- Per commentare o rispondere, Accedi o registrati