IL RE TRAVICELLO

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Mar, 05/04/2021 - 16:11
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I primi 100 giorni di Joe Biden: un bilancio con molte luci e qualche ombra

joe biden

Il discorso al Congresso del Presidente USA Joe Biden del 28 aprile ci consegna una fotografia dei primi 100 giorni non tutta rose e fiori, con molte luci e qualche ombra, ma che sicuramente non è quella del Re Travicello, il pezzo di legno che Zeus inviò alle rane e che, una volta atterrato con gran clamore nello stagno, rimase ovviamente immobile e inanimato. Dalla nota favola di Esopo, l’espressione è passata a indicare, in senso negativo, un sovrano inetto o una persona che occupa una posizione importante, ma che non ha autorità o capacità sufficienti a esercitarne il potere.

Ecco: Sleepy Joe[1] tutto sarà, fuorché un re travicello. Anzi, rischia di essere - a dispetto del basso profilo con cui si è presentato agli elettori - uno dei grandi presidenti che passeranno alla storia. E questo non tanto per il fascino ideologico e la capacità di trascinare le masse (come Kennedy o Lincoln), quanto per il decisivo contributo allo sviluppo economico del paese, tanto da segnare uno dei capisaldi epocali della storia economica, come Franklin Delano Roosevelt negli anni ’30 e Lyndon Johnson negli anni ’60. In entrambi i casi il pragmatismo dei leader consentì agli Stati Uniti di superare brillantemente le grandi crisi del secolo scorso (quella del ’29 e quella del secondo dopoguerra), lanciando il paese verso stagioni di esaltante crescita.

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Biden, a dispetto del rischio di impopolarità che talune scelte comportavano, si è mosso nell’ambito della puntuale realizzazione delle promesse elettorali, evento, questo, già di per sé decisamente inusuale. Anzi in qualche aspetto, come nel caso delle vaccinazioni è riuscito a fare addirittura meglio: in America stanno vaccinando 4 milioni di persone al giorno e prima di luglio, secondo l’impegno preso in campagna elettorale, sarà raggiunta l’immunità di gregge.

Partita in sordina, la nuova amministrazione USA sta tenendo fede alle promesse elettorali e, grazie a 6 miliardi di dollari che valgono il 6,4% del PIL, porterà il paese fuori dalla crisi verso una vera e propria rinascita. Pragmatismo e profilo basso gli ingredienti per i buoni risultati, ma debole e ancora incerta la strategia in politica estera

Le risorse che Biden conta di mettere a disposizione del sistema sono ingenti e del tutto inedite: ben 6 miliardi di dollari per il programma Build back better (ricostruiamo meglio), articolato nei tre piani Rescue Plan (già finanziato per circa la metà dell’importo complessivo); Jobs Plan (in corso di approvazione, tutt’altro che scontata, al Congresso) e Families Plan (appena presentato).

 

Questa imponente mole di risorse – per avere un’idea, in Europa il Recovery Plan ammonta a 1.800 miliardi di Euro e in Italia a 192 - vale circa il 6,4% di incremento del PIL in questo anno, e l’integrale recupero già prima dell’estate di quanto è andato bruciato nell’economia in seguito all’impatto del virus.

 

Il primo dei tre piani riguarda vaccini e ristori, al contrario che da noi effettivamente versati nelle tasche dei cittadini; il secondo occupazione, infrastrutture e transizione digitale e ecologica; il terzo un imponente sistema di welfare che neanche Obama era riuscito a far passare.

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Come il neo-presidente aveva promesso, ha posto il cambiamento climatico al centro della sua strategia di politica economica, azzerando sul tema gli arretramenti trumpiani e ha finanziato il tutto sia con nuovo debito pubblico che con un inasprimento delle imposte a carico dei più abbienti: aumento delle tasse di due punti e mezzo a chi ha un reddito superiore a 400 mila dollari l’anno e raddoppio delle imposte sulle plusvalenze finanziarie dal 20 al 40 per cento per chi guadagna oltre il milione di dollari.

 

Così come Reagan all’inizio del suo mandato, anche Biden è stato ampiamente sottovalutato e tutto sommato la partenza in sordina ha agevolato una performance oggettivamente inattesa. Non solo: da ex vice di Obama molti si aspettavano una versione “sbiadita” di Barak e invece Joe si è dimostrato molto determinato ed effective, pragmatico e determinato.

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Il compito di Biden si presentava tutt’altro che facile: doveva guidare una vera e propria rinascita del paese dopo la devastazione del coronavirus e lo sbandamento populista di Trump, eventi entrambi che hanno profondamente scosso l’american way of life. Con molto senso pratico, il presidente si è affidato a uno staff composto in gran parte da ex-obamiani e ex-clintoniani, recuperando gran parte del programma elettorale di Hillary Clinton, considerato il più progressista della storia recente. E’ così riuscito ad assicurarsi il supporto dell’ala liberal (quella più radicale) del partito democratico, superando le iniziali diffidenze di uno schieramento politico in gran crescita di consensi.

I primi 100 giorni, come si diceva, hanno presentato anche qualche ombra, soprattutto nel versante della politica estera dove, a parte il recupero del dialogo con l’Europa, si è mosso in modo incerto e senza una vera e propria strategia, subendo l’iniziativa del gigante russo e l’aggressività di Putin. Anche nello scacchiere mediorientale, dopo l’annuncio del ritiro totale dall’Afghanistan, il ruolo degli USA è decisamente ridotto ad una posizione marginale, lasciando ampio spazio alle provocazioni turche e all’instabilità in mediterraneo e in centro Europa.

 

Nessuna soluzione di continuità con la precedente amministrazione, al contrario, nel rapporto con la Cina. In questo caso la decisa contrapposizione col Celeste impero trova la sua ragion d’essere sia nella difesa dei valori democratici e della libertà di pensiero, sia – soprattutto – nei contrasti commerciali e nella contesa sulla tecnologia globale, nella quale i cinesi sono decisamente avvantaggiati.

 

Proprio il fronte asiatico, con i gravi problemi che sta fronteggiando l’India e la persistente debolezza strutturale del Giappone, sarà probabilmente lo scenario più delicato nel quale si parrà la nobilitate di Joe Biden e si giocherà la partita decisiva per le superpotenze nel ventunesimo secolo.

 

 

 

 

 

 

[1] Con questo epiteto dispregiativo (Joe l’addormentato), l’ex Presidente Donald Trump indicò lo sfidante democratico per sottolinearne appunto il profilo dimesso e modesto.