TENERE LA BARRA DIRITTA
Anche se le azioni crescono e con le obbligazioni non si guadagna, è importante mantenere una strategia equilibrata
Se guardiamo la performance dei mercati azionari negli ultimi due anni, c’è di che restare stupiti. In un mondo di tassi di interesse ai minimi storici, che in molti casi sono anche a zero o negativi, con sistemi economici attraversati dalla crisi epocale della pandemia da coronavirus – dalla quale solo ora la maggior parte comincia a riemergere e che solo la Cina e Israele risultano aver completamente superato – e quindi con aziende che continuamente spariscono dal mercato, le borse proseguono da almeno un paio d’anni il loro trend verso i massimi assoluti, nonostante il Covid.
Gli indici americani, sia del mercato in cui vengono trattati i tecnologici (Nasdaq), sia di quello degli altri comparti azionari (Nyse), sia per le small cap[1], hanno integralmente recuperato il terreno perduto e veleggiano verso i record storici. Più lento il recupero in Europa e Regno Unito, dove comunque la crescita è sempre notevole – si prevedono per i prossimi mesi incrementi che sfioreranno la doppia cifra – e ancora più incerto in Italia, dove non mancano buone occasioni di investimento, pur ostacolate da maggiore volatilità e rischio.
Per non parlare dell’Asia, le cui dinamiche geopolitiche (che riguardano soprattutto la critica situazione indiana e l’ancora deludente performance giapponese) non freneranno un trend di crescita formidabile.
Le previsioni[2] per il 2021 parlano di rendimenti attesi per il mercato azionario USA del 7,40%, per l’Europa del 9,10% e per l’Asia dell’8,90%. In confronto ai tassi correnti, si tratta di prospettive di tutto rispetto, tanto che molti investitori stanno gradualmente, ma decisamente, abbandonando i mercati obbligazionari per affollare le sale borsa virtuali, fornendo così ulteriore impulso all’aumento dei prezzi.
In effetti, ci si potrebbe chiedere perché mai investire in bonds, soprattutto titoli di Stato dei paesi a maggior rating (ad esempio i famigerati bund tedeschi) che non solo non rendono ma costano qualcosa, quando si potrebbe guadagnare l’8/10 per cento comprando azioni. Ancora più evidente nel caso dei titoli corporate, ovvero quelli emessi da aziende private, che offrono rendimenti – per scadenze medie – del 2/3 per cento all’anno, ma sostanzialmente lo stesso livello di rischio delle azioni delle medesime società e che inoltre espongono al rischio di tasso di interesse[3], particolarmente forte se l’inflazione dovesse ricominciare a galoppare.
Che fare quindi? Tutti insieme appassionatamente a comprare azioni, svendendo le obbligazioni in portafoglio? Certo che no e vediamo perché.
Mai come oggi è importante per l’investitore definire una buona strategia, efficace ma anche razionale e prudente, e non farsi trascinare dalla sirena del solo rendimento. Abbiamo visto come i mercati siano instabili e volatili, e come possano rivoltarsi in pochi giorni perdendo quote importanti di valore, molto spesso come semplice reazione istintiva degli investitori a risultati di periodo negativi o a dati preoccupanti sui contagi. Per non parlare dell’influenza delle dichiarazioni di leader politici o economici, anche se il cinguettatore più pericoloso è ormai fuori dalla scena.
E’ evidente che il motivo principale di un andamento così sostenuto dei mercati azionari risiede nell’enorme liquidità che da tempo le banche centrali riversano sui sistemi economici, nell’ambito di politiche monetarie giustamente espansive. Per il momento non c’è motivo di ritenere che questa tendenza possa invertirsi, tuttavia i prezzi dei titoli hanno raggiunto livelli molto alti, spesso del tutto avulsi dal valore delle società che rappresentano e dalla redditività che queste potranno esprimere in futuro. E anche le politiche di espansione della moneta e del debito non potranno durare all’infinito: prima o poi ci dovrà essere un riequilibrio.
Questo per dire che è del tutto normale vedere oggi tutti i portafogli con ampia prevalenza di azioni, ma è anche del tutto ragionevole tenere quote di sicurezza investite in bonds, polizze vita, quote di fondi comuni obbligazionari o beni rifugio. Consideriamole polizze assicurative contro il rischio di rovescioni di mercato e di eventi imponderabili.
Più che mai è quindi importante avere una buona strategia e perseguirla nel tempo, anche se il rendimento complessivo è inferiore a quello massimo teoricamente ottenibile, o se qualche comparto va in temporanea sofferenza. Magari rivediamo la strategia ogni 6 mesi anziché annualmente, ma non lasciamoci trascinare dall’ingordigia per il rendimento e dall’emotività e dall’improvvisazione, in genere cattive consigliere, almeno per quanto riguarda la gestione del patrimonio.
Anche nell’azionario, peraltro, esistono settori diversi con prospettive e velocità di crescita diverse. Dopo la lunga, esaltante, stagione dei tecnologici e dei farmaceutici (ora in prevista sofferenza), oggi è il momento dei cosiddetti “ciclici”, ovvero quei comparti produttivi che tendono a crescere quando il reddito e la produzione crescono: tipicamente manifatturieri, energetici, alimentari, commerciali e distribuzione, trasporti e anche finanziari. In alcuni casi la ripresa post-covid ha portato un consistente aumento di domanda, con offerta che non riesce ad adeguarsi tempestivamente, e che rischia di accelerare l’innesco dell’inflazione.
E’ ancora presto per preoccuparsi, ma entro la fine dell’anno qualche cambiamento strutturale nei fondamentali economici è nell’ordine delle cose e farsi trovare troppo sbilanciati potrebbe essere pericoloso. Per questo è importante darsi una buona strategia e perseguirla senza esitazioni.
[1] Il termine indica i titoli a bassa capitalizzazione, ovvero con limitato valore borsistico, quindi rappresentativi di piccole o medie aziende.
[2] Dati Bloomberg, Datastream e Credit Suisse.
[3] Il rischio di tasso consiste nella possibilità di subire perdite nel valore dell’investimento in seguito a variazioni dei tassi di interesse, in particolare se si hanno titoli o crediti a tasso fisso: se i tassi aumentano, infatti, il valore di tali titoli si riduce.
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