IL LUPO CAMBIA IL PELO MA NON IL VIZIO

IL LUPO CAMBIA IL PELO MA NON IL VIZIO

Mer, 05/26/2021 - 08:00
|   
0 commenti

La proposta di una patrimoniale per finanziare un tesoretto dedicato ai neo elettori.

porta chiusaEh sì, l'antico detto del nostro titolo è più che mai valido. Il vizio della sinistra, se un tale termine può ancora avere un senso (il termine “sinistra”, non “vizio”), è quello di considerare la ricchezza poco meno che lo sterco del demonio e, quindi, da tassare senza limiti e senza ritegno.

Ci riferiamo alla recente proposta del neo-segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, di introdurre una nuova imposta sui grandi patrimoni. L’asserita finalità di questo nuovo balzello è l’obiettivo di costituire un “tesoretto” da consegnare ai giovani al momento in cui compiono i diciott’anni, e quindi – guarda caso – diventano elettori.

Nel concreto, si tratterebbe di rivedere le aliquote in senso progressivo sulle successioni e donazioni di patrimoni superiori ai 5 milioni di Euro, con franchigia di 1 milione di Euro e aliquota massima del 20%. La nuova imposta colpirebbe circa l’1% della popolazione e dovrebbe generare un gettito di circa 2,8 miliardi di Euro, col quale finanziare la dotazione di 10.000 Euro a ciascuno dei neo-diciottenni che rientrano in determinati limiti ISEE: si è calcolato che ne beneficeranno circa 280.000 giovani all’anno, la metà del totale. Con tale dotazione i nuovi maggiorenni dovrebbero finanziare la partecipazione a corsi di formazione o l’avvio dell’attività imprenditoriale.

A onor del vero occorre dire che il gettito della tassa di successione in Italia è fra i più bassi in Europa: da noi l’imposta produce circa 800 milioni l’anno, a fronte dei 6 miliardi del Regno Unito, 7 della Germania e 14 della Francia. Si potrebbe anche pensare che il buon Letta (a volte ritornano…) abbia preso spunto proprio dai cugini transalpini, nel cui ordinamento l’imposta sui grandi patrimoni è storicamente un caposaldo.

.robin hood

Sia anche chiaro che non è in discussione il principio solidaristico alla base della proposta, che riecheggia il Robin Hood di “togliere ai ricchi per dare ai poveri”, né la giusta preoccupazione di concedere agevolazioni ai ragazzi della “generazione Covid”, che certamente dovranno superare, per il loro inserimento nel mondo del lavoro, molte più difficoltà di quelle che abbiamo incontrato noi delle generazioni precedenti. Caso mai ci sarebbe da capire perché limitare questo regalo a chi ha diciotto anni e non, mettiamo, ventitré o ventisette, che pure non hanno problemi molto diversi.

Né si tratta, ad evidenza, di alzare una barriera in difesa della classe media, già ampiamente tartassata da un peso tributario talvolta esagerato. Questa nuova imposta, infatti, non andrebbe certo a colpire quel ceto sociale in via di estinzione (la classe media, appunto), che rischia di venire appiattita su livelli di nuova e preoccupante povertà. In un paese in cui si dichiarano mediamente poco più di 20.000 Euro di reddito all’anno, pochissimi sarebbero gli interessati a un balzello che riguarderebbe patrimoni oltre i 5 milioni. Tanto che, verrebbe da chiedersi, perché non fare il 2% e perché non mettere il limite a 3 milioni di imponibile? Triplicheremmo (e oltre) il potenziale gettito, senza spostare di molto l’onere effettivo sui fortunati prescelti.

Non è questo il problema, non si tratta di difendere i super ricchi (ai quali probabilmente la misura proposta farebbe l’effetto di un granello di sabbia nel deserto), né di contestare la necessità di incentivare e sostenere i giovani. I problemi sono altri e dimostrano l’assoluta incapacità della classe politica di fronteggiare con razionalità e in modo strutturale i nodi alla base del nostro sistema economico.

.cantonata

Tanto che il povero segretario dem ha rimediato una sonora cantonata da parte del Governo, andando a sbattere violentemente contro un muro. Anche se, c’è da dire, lo stesso premier, di fronte all’insistenza di una delle principali componenti della maggioranza, ha parzialmente corretto il tiro affermando che “comunque verrà fatta una riflessione”.

C’è in primo luogo un problema di tempestività: parlare in questo momento di nuove tasse è del tutto fuori luogo. Lo sforzo comune urgente e immediato deve essere quello di far crescere e sviluppare il paese, non di rallentarlo con la prospettiva di nuove ulteriori imposte. Come ha detto Mario Draghi “questo non è il tempo di prendere, è il tempo di dare”: una lezione di concretezza, coerenza e puro buon senso.

C’è poi un problema di merito: il sistema tributario va riformato nel suo complesso, in modo strutturale e partendo dalle basi, e non con misure sporadiche, della serie “mi alzo una mattina e mi è venuta un’idea brillante”, perché così facendo, anziché semplificare e rendere più funzionale l’apparato fiscale, non si fa altro che complicarlo introducendo nuove tasse, e quindi nuovi codici, nuovi bollettini, nuovi schemi, nuovi decreti che si sommano ai precedenti, nuovi meccanismi di controllo e accertamento, nuove procedure. Il numero dei balzelli va ridotto, non aumentato: ne abbiamo alcune centinaia, non ne servono altri.

Il nostro ordinamento prevede due forme di tributi: le imposte (che devono essere sul reddito e improntate a criteri di progressività) e le tasse, che sono compartecipazioni ai servizi che si ottengono. Quella proposta sarebbe un’imposta e il gettito andrebbe nel calderone dell’erario; l’esperienza di “tributi finalizzati” è decisamente negativa: magari all’inizio si può mantenere una certa simmetria fra risorse provenienti da una determinata imposta e finalità dichiarata. Poi, gradualmente, la finalità scompare e resta l’imposta. Pensiamo ai tributi su terremoti, alluvioni, emergenze varie.

C’è bisogno di una nuova patrimoniale? La nostra Costituzione[1], sul punto non molto ascoltata in verità, ci dice chiaramente che le imposte devono essere applicate al reddito e non al patrimonio. E i patrimoni che passano in successione hanno già (o almeno dovrebbero, se il sistema funzionasse) assolto i loro obblighi tributari.

E ancora: la politica del sussidio, del regalo, che è alla base dell’altra misura a nostro avviso non brillantissima del reddito di cittadinanza dei 500 Euro, ci fa sentire più buoni e solidali – e questo va bene – ma non aiuta a crescere. Meglio investire per migliorare l’accesso al sistema di istruzione o al sistema produttivo.

.education

Il nostro paese è fra quelli che spendono meno in Europa per l’istruzione terziaria[2] (peggio di noi solo Grecia, Lettonia e Slovacchia) e che espongono livelli di abbandono scolastico preoccupanti. Meglio allora rinforzare le strutture, incrementando la presenza del settore pubblico nella formazione professionale (oggi solo il 65% delle risorse proviene in Italia dallo Stato, a fronte del 98% in Francia e dell’83% in Svezia e Germania) e fornire occasioni di accesso maggiori e di natura pubblica per gli istituti più qualificati.

Infatti, giustamente, il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) non prevede regalie agli studenti, ma misure strutturali di rafforzamento del sistema educativo e dei legami fra università e mondo della produzione – soprattutto in tema di ricerca scientifica - e di lotta all’abbandono scolastico. E soprattutto non prevede nuove, ulteriori imposte che complicano un sistema già fin troppo burocratico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Si veda, al proposito, il nostro articolo  https://www.marcoparlangeli.com/2021/04/21/il-fisco-cattivo

[2] Istruzione terziaria è quella che riguarda i corsi universitari o di formazione post-diploma, come ampiamente descritto nell’articolo di Gianni Balduzzi “Più investimenti e meno bonus. La dote di Letta agli studenti è solo marketing e non serve a niente”, pubblicato il 25/5/21 sul sito L’Inkiesta (https://www.linkiesta.it/2021/05/letta-tassazione-eredita-giovani/).