AGGIORNARE IL TABLEAU DE BORD

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Mer, 09/01/2021 - 20:14
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Al ritorno dalle ferie, è bene fare il punto sulla strategia di portafoglio

.strategia scacchi

Al ritorno dalle ferie, con la piena operatività dei mercati, è tempo di aggiornare il tableau de bord dell’investitore, non tanto perché sia cambiato chissà che cosa sui mercati, quanto perché ogni tanto è comunque bene fare il punto della situazione e, in caso, apportare qualche cambiamento se non all’asset allocation strategica, almeno a quella tattica.

E in effetti di cose nel mondo ne stanno succedendo un bel po’, perlopiù gravi o gravissime, ma i mercati finanziari sembrano - almeno per ora – non curarsene, presi come sono a inanellare record su record. Sembra che reagiscano solo alle dichiarazioni dei banchieri centrali, tanto che molto spesso per capire che direzione prenderanno ciò che conta è l’interpretazione autentica delle loro parole, più che le prospettive concrete di crescita, sviluppo e redditività.

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Teoricamente (ma solo teoricamente) se accade qualcosa in grado di pregiudicare l’andamento di una società e la sua capacità di generare reddito, gli investitori razionali che detengono il titolo di quella società cercheranno di venderlo e ben pochi saranno disposti ad acquistarlo, col risultato che il prezzo di quell’azione scenderà. Se però i tassi di interesse continuano a essere molto bassi, o addirittura la liquidità viene penalizzata con tassi negativi, per gli investitori sarà sempre meglio comprare quel titolo – anche se meno redditizio in termini di dividendi – che tenere il denaro in cassa. Quindi la tendenza naturale al calo di prezzo è, in realtà, contrastata dall’abbondante liquidità disponibile.

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Obiettivamente, la situazione politica ed economica attuale del nostro mondo sta vivendo uno dei momenti più complicati degli ultimi decenni, se non dai tempi del dopoguerra. La crisi afgana, con la (ampiamente prevista ma forse mal gestita) dipartita delle truppe USA, è deflagrata nell’arco di pochi giorni, con una violenza enorme, folle impaurite che tentano di abbandonare il paese e terrore diffuso. La pandemia, lungi dall’essere debellata e nonostante le vaccinazioni sempre più estese, minaccia una nuova recrudescenza per effetto delle nuove varianti e degli spostamenti etnici in corso. Il Libano, un tempo “la Svizzera del Medio Oriente”, è in preda a carenza assoluta di elettricità, acqua, medicinali e cibo; l’Algeria ha accusato il Marocco di aver causato i numerosi incendi e ha rotto le relazioni diplomatiche col regno di Rabat; in Tunisia il Presidente ha cacciato il primo ministro e chiuso il Parlamento; in Etiopia è in corso una guerra civile di cui pochi parlano ma che miete vittime in gran numero.

La Cina, da parte sua, ha preso platealmente le distanze da molti prodotti e servizi che venivano importati dall’Occidente, quali l’istruzione, i video giochi, l’alcool (consentito ora solo quello di produzione interna), il lusso e il fashion.

.Guangzhou

Tutto questo è l’humus ideale per l’avvio di una nuova grande crisi e, comunque, per un deciso rallentamento di un sistema economico ancora non pienamente ristabilitosi dagli effetti del virus. A maggior ragione se si considera che l’inflazione ha raggiunto in giugno, negli USA, il livello record di 5,4% (parzialmente ridottosi al 4,2% a luglio).

La “missione” dei banchieri centrali, Jerome Powell Presidente della FED in primo luogo, è pressoché impossibile: se si continua ad espandere la moneta in circolazione (acquistando titoli al ritmo attuale di 120 miliardi di dollari al mese), l’inflazione rischia di esplodere e, comunque, non si può continuare a pompare liquidità all’infinito. Se si comincia a tirare il freno, i tassi salgono, le aziende non investono, i consumi si riducono e la disoccupazione aumenta.

Va dato atto a Powell di aver gestito con maestria la comunicazione al simposio di Jackson Hole (in realtà tenutosi in modalità virtuale anziché nella cittadina di montagna del Wyoming come da tradizione). L’inflazione c’è, ma è transitoria e sotto controllo; la riduzione dei programmi di acquisto dei titoli avverrà, probabilmente entro la fine dell’anno, ma in modo morbido e di sicuro non ci saranno interventi sui tassi di interesse, che almeno fino al prossimo anno resteranno a terra o sottoterra. Gli stimoli all’economia partiranno presto e con il programma di infrastrutture e lavori pubblici già approvato dal Congresso, la disoccupazione dovrebbe di nuovo calare.

Il mercato gli ha creduto e le borse di tutto il mondo (in primo luogo quelle americane) hanno continuato a far prevalere gli acquisti e a far crescere le capitalizzazioni delle società quotate. Certo, il vertice della FED è in scadenza e Powell cerca di essere riconfermato, il prossimo anno ci saranno le elezioni di mid-term in USA e, dopo il crollo di popolarità conseguente alla gestione fallimentare del ritiro da Kabul, Biden di tutto ha bisogno fuorché di farsi nuovi nemici.

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Ma tant’è: la finanza questa volta, a differenza di molte crisi del passato quando ai primi scricchiolii del sistema imboccò la strada del baratro, ha retto botta molto bene.

Non è però il caso di dormire sugli allori: disinvestire dall’azionario oggi non è una buona idea, ma bisogna tenersi pronti a eventuali cambiamenti repentini di sentiment, per farsi trovare meno esposti possibile se ci dovesse essere una crisi al momento non prevista. L’obbligazionario e il reddito fisso – che comunque è sempre bene tenere almeno in piccola quota nel portafoglio – sono ancora troppo rischiosi (se i tassi aumentano, il valore delle obbligazioni si riduce) e rendono troppo poco. Con il recente ridimensionamento di azionario Asia e Pacifico e oro, potrebbe essere il momento di incrementare l’esposizione in questi asset – srempre tenendo presente il profilo di rischio - come pure per le commodities e fondi o ETF specializzati in alcuni settori specifici (intelligenza artificiale e cyber-security).

Difficile ripetere le performance (soprattutto negli ultimi due anni) dell’azionario USA, ma qualche altra soddisfazione, prima dell’attesa frenata, possiamo ancora togliercela. Forse più in Europa che in America.