UNO SPETTRO SI AGGIRA (ANCORA) PER L’EUROPA
Con le elezioni in Germania (e quelle di primavera in Francia) l’Europa si appresta a cambiare volto
Con le recenti elezioni politiche in Germania, la fisionomia dell’Europa è destinata a cambiare profondamente e non tanto perché ha vinto dopo 20 anni il Partito Socialdemocratico (SPD), quanto perché esce di scena Angela Merkel, l’unica vera leader che il vecchio continente ha prodotto nel nuovo millennio fino all’avvento di Mario Draghi.
In realtà la sua stella aveva cominciato ad oscurarsi già con le precedenti elezioni, ma la mancanza di un vero antagonista col carisma della signora ha reso ininfluenti i suoi ultimi non brillanti risultati elettorali. E’ risultato chiaro da subito che il successore designato alla guida del partito, la CDU-CSU (la Democrazia Cristiana tedesca) avrebbe incassato una sonora sconfitta: alzi la mano chi si ricorda il suo nome.
Armin Laschet è balzato agli onori della cronaca lo scorso luglio quando, in occasione della visita ai territori alluvionati di Erfstadt, è stato fotografato mentre sghignazzava giulivo durante l’accorato discorso del Presidente Steinmeier. Ma anche nella giornata di domenica, all’uscita dalla cabina elettorale, i fotografi lo hanno immortalato, mentre depositava nell’urna una scheda irregolare perché piegata al contrario, in modo che si vedeva il voto. Tale scheda, secondo la legge tedesca, è irregolare, anche se pare che non sia stata annullata.
Ma non è tanto il sorpasso dei socialdemocratici, peraltro di stretta misura (25,7% contro il 24,1 della CDU-CSU), il fattore per noi preoccupante: in ogni caso, infatti, per formare il nuovo governo si dovrà fare ricorso a un governo di coalizione, il cui ago della bilancia, comunque sia, saranno i Liberali (FDP), che hanno peraltro conseguito un risultato decisamente positivo, passando dal 10,75 all’11,5%.
Il capo dei Liberali, Christian Lindner, ha infatti detto che nel prossimo governo farà il Ministro delle Finanze, avendo chiaramente impostato la campagna elettorale sull’obiettivo della lotta all’inflazione e della stabilità (lo “zero nero”, Schwarz null, nessun deficit di bilancio).
Quindi, che sia destra o sinistra, la politica accomodante di Angela Merkel sul supporto allo sviluppo e sulla linea espansiva della Banca Centrale Europea è arrivata a capolinea e si profila all’orizzonte una nuova edizione dello scontro fra latini e “frugali”, considerando anche che l’anno prossimo scadranno gli interventi straordinari post Covid a suo tempo decisi dalla Commissione UE.
Il fatto veramente nuovo, rispetto al passato, è che questa volta uno spettro si aggira per l’Europa: l’inflazione, come scrivemmo – fra i primi – oltre un anno fa ( https://www.marcoparlangeli.com/2020/09/15/uno-spettro-si-aggira-ancora-per-leuropa ) .
L’ultimo dato diffuso dalla BCE, nella recente conferenza stampa della Presidente Lagarde, attesta l’indice generale sopra al 3%, ben oltre l’obiettivo dichiarato del 2%; ma i prezzi energetici mostrano un incremento del 14,3%, come ben sanno i consumatori italiani ai quali il Ministro dell’Economia ha prospettato un maggior costo della bolletta energetica del 40%.
Dalla nostra parte c’è Super Mario, che già in passato – da Presidente della BCE – si era opposto con successo al rigore germanico e allora, dall’altra parte della barricata, c’era proprio Angela Merkel.
La buona notizia è che in Germania gli anti-europeisti di estrema destra (AFD) ed estrema sinistra (Linke) escono – soprattutto i secondi - sconfitti da questa tornata elettorale; anche in Italia le sirene sovraniste, in particolare Lega (il cui ex addetto stampa è stato indagato per traffico di stupefacenti) e 5 Stelle, non sembrano godere del favore dei sondaggi.
Anche altrove il vento della contestazione anti-UE sembra essersi molto affievolito e, in effetti, la politica di forte e deciso sostegno alle misure per combattere gli effetti economici della pandemia ha raccolto ovunque ampi consensi, oltre che ottimi risultati in termini di ripresa della produzione e sviluppo.
Il momento di verifica decisivo per gli equilibri comunitari, sarà la prossima primavera, quando si terranno le elezioni in Francia che decideranno la sorte di Emmanuel Macron, che in verità al momento non sembra troppo saldo in sella. Essendo il Presidente e il suo partito (En Marche, con le stesse iniziali EM del suo leader) fortemente europeisti, una sua sconfitta concorrerebbe, oltre che – come è ovvio - a modificare gli equilibri interni, a indebolire il ruolo della Francia a Bruxelles e sarebbe negativo per la stessa Europa.
Per quanto riguarda il nostro Paese, più che l’importante tornata amministrativa del 3 e 4 ottobre, che riguarderà tutte le maggiori città italiane, il punto chiave saranno le elezioni del nuovo Presidente a febbraio, quando scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale. Se Draghi dovesse malauguratamente traslocare sul Colle più alto, anche l’Italia perderebbe il suo punto di forza a livello europeo, oltre che il miglior premier che abbiamo mai avuto dal Dopoguerra a oggi.
Il panorama è quindi ampiamente in divenire; solo con l’anno nuovo si potrà profilare il futuro prossimo dell’Europa e, del resto, il nuovo Governo in Germania difficilmente potrà entrare in carica prima di Natale.
Non possiamo dire, come un noto tormentone di qualche anno fa, che “comunque vada sarà un successo”, ma certamente comunque vada non sarà più la stessa Europa.
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