PERISCOPIO -LA RIVOLUZIONE DELL’H E’ DAVVERO PARTITA?
DIPENDE DAL COLORE DELL’IDROGENO, CIOÈ DAL PROCESSO ENERGETICO UTILIZZATO PER PRODURLO
Quale colore vogliamo scegliere? Perché quando si parla di idrogeno (H) se ne sentono di tutti i colori: proprio da quale partire sarà la scommessa del futuro.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Cominciamo da un elenco di qualità positive dell’H. È l’elemento chimico più abbondante dell’universo. È il più leggero e il più piccolo (infatti si trova in alto a sinistra nella tavola periodica degli elementi di Mendeleev). Anzi è proprio il numero uno. Non si trova mai da solo ma legato ad altre molecole, come a quella dell’acqua, e quando si spezzano i legami è in grado di liberare una ingente quantità di energia. Inoltre ha una maggiore densità energetica rispetto ad altri combustibili (quali per esempio nel caso del diesel) e un peso ridotto, proprietà quest’ultime ideali per il trasporto pesante e per le lunghe distanze.
Ora vediamone i lati negativi o meglio problematici, a cui la tecnologia ha già in parte risposto. L’idrogeno non è di per sé una fonte di energia, per produrlo bisogna spezzare i legami chimici, e per spezzarli bisogna utilizzare una fonte energetica; proprio a seconda di come viene prodotto ne esistono 3 tipi (anzi 4).
L’idrogeno grigio è generato da petrolio, carbone, gas metano ed è quello al momento maggiormente prodotto (96%).
L’idrogeno blu è anch’esso generato da fonti fossili (attraverso un particolare processo detto direforming) ma l’anidride carbonica (CO2) rilasciata viene catturata, e riutilizzata o immagazzinata sotto terra (Carbon Capture Utilisation and Storage – CCUS). Va da sé che le CCUS saranno fondamentali per il conseguimento dei target climatici.
Ma per spezzare i legami e produrre idrogeno si può anche far ricorso alle energie rinnovabili, tramite l’elettrolisi dell’acqua (l'elettrolisi dell'acqua è un processo elettrolitico nel quale il passaggio di corrente elettrica causa la scomposizione dell'acqua nei suoi elementi, ossigeno ed idrogeno). Si parla allora di idrogeno verde. Quando quest’ultimo viene bruciato, non produce anidride carbonica bensì vapore acqueo. È quindi evidente che l’idrogeno verde prodotto è un processo completamente decarbonizzato, in quanto non utilizza fonti fossili. Richiede però grandi vasche, chiamate elettrolizzatori. Fino ad ora (altro lato negativo) questa tecnologia è risultata molto costosa (l’idrogeno verde così prodotto costa più del doppio dell’idrogeno prodotto da gas naturali), ma si auspica che tramite i grossi investimenti pubblici e privati, con la creazione di una catena strategica di grossi siti di produzione di idrogeno, e con la sua maggior diffusione, possa diventare più competitiva.
A questo punto – dopo aver giocato con un po’ di colori - mi ricollego ad un concetto introdotto sopra: l’idrogeno non è di per sé una fonte di energia, ma, aggiungo, è piuttosto un ‘trasportatore’ energetico e quindi potrebbe fornire una soluzione al problema dell'accumulo dell'energia ottenuta da fonti discontinue, quali vento e sole.
Possiamo poi dedurre subito un’altra informazione importante: aumentare e perfezionare la produzione di fonti energetiche alternative diversificate è assolutamente indispensabile per avviare la rivoluzione dell’H verde, che è quello che ci traghetterà verso la decarbonizzazione attesa per il 2050.
L’idrogeno non è solo facile da stoccare, ma anche da trasportare. La Snam ha già condotto alcuni esperimenti immettendo una miscela di gas naturale e idrogeno (al 5% e al 10%) nella propria rete di trasmissione, in provincia di Salerno, conclusi con successo. È stato calcolato che si potranno utilizzare quasi il 75% dei gasdotti esistenti per trasportare idrogeno. E quindi il costo delle modifiche ammonterà al 10-25% rispetto a quello da sostenere per costruire una nuova rete.
Le stime sull’Italia, in linea per altro con quelle europee e mondiali, sono che nel prossimo trentennio l’energia prodotta dall’idrogeno dovrebbe attestarsi all’incirca al 23%. Va da sé che il resto della domanda di energia sarà in buona parte soddisfatto ancora dalle energie fossili (gas naturale, petrolio, carbone, energia termica), seppur in maniera, con il passare degli anni, sempre più ridotta rispetto ad altre fonti rinnovabili. Si parla già, in Gran Bretagna, di idrogeno prodotto attraverso il nucleare (idrogeno viola 3%) e le biomasse (2%); e anche il nostro ministro Cingolani ha già messo le mani avanti. A Greta (ma un po’ anche a noi) a sentire la parola nucleare, si rizzeranno le treccine ....
Quindi lo scenario futuro sarà quello di varie fasi temporali in cui - sostituendo progressivamente le fonti fossili con la produzione di idrogeno - verranno raggiunti gli obiettivi prefissati al 2050 di neutralità carbonica.
Speriamo che questo processo a step introduca quanto prima la filiera dell’idrogeno verde (al 95% da energie rinnovabili), bypassando la pesantissima fase del grigio e la tanto discussa del blu. Perché uno studio pubblicato su Energy Science & Engineering Journal e citato dal Guardian, segnala che “l’idrogeno blu potrebbe inquinare più del carbone”. E il condizionale “potrebbe” indica la possibilità accidentale di emissione di metano durante il processo, in quote ben superiori rispetto al normale rilascio nell’aria di carbone (+20%) e del carburante per il diesel (+60%). Cifre non confortanti.
Riassumendo: abbiamo bisogno di investire tanto e bene nella ricerca e nell’innovazione per operare con successo il salto tecnologico finale e portare a casa tutti i benefici del potenziale della filiera idrogeno.
Si tratta indubbiamente di un grosso sforzo da raggiungere a livello mondiale per realizzare una delle più grosse sfide dell’umanità: cambiare tutta la strategia energetica fino a qui utilizzata.
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