MOLTI NANI, POCHI GIGANTI E QUALCHE BALLERINA
La leadership dei politici fra orientamento ai risultati e ricerca del consenso
Fra le molte perle di saggezza che Giulio Andreotti ci ha lasciato, una delle più note è: “so di essere di media statura, ma non mi pare di essere circondato da giganti”. Verrebbe da chiedersi cosa potrebbe dire oggi, se tornasse dalle nostre parti, il geniale politico democristiano, davanti al livello medio della nostra classe politica, se considerava così scadenti i suoi contemporanei.
Facciamo allora un’incursione nella politica di questi anni venti del nuovo secolo, ma dal punto di vista della valutazione dell’attuale classe dirigente sotto il profilo della leadership, ovvero della capacità di gestire persone e situazioni in analogia a quanto succede per le aziende, cercando di non entrare nel giudizio sulle singole posizioni politiche e sui programmi.
C’è un sostanziale parallelismo fra il leader politico e il manager, in quanto entrambi si devono misurare con la capacità di realizzare gli obiettivi avendo il potere di influire o di determinare le scelte gestionali. A certi livelli è molto difficile mantenersi al vertice se non si possiede questa capacità; è vero che in politica spesso si riesce a vendere fumo, ma senza doti reali e visione strategica non è possibile rimanere a lungo in posizioni di vertice.
In realtà c’è una differenza fondamentale fra i due casi: il leader politico (pensiamo ad esempio al sindaco, forse la figura più vicina – nel panorama politico - al capo azienda) deve continuamente guadagnarsi o mantenere il consenso della base elettorale; il manager quello degli azionisti, nel caso non si tratti di un imprenditore. In altri termini, il politico non solo deve saper ottenere risultati dimostrabili e verificabili, ma deve anche saperli vendere a chi deve votare.
Anche nell’impresa le relazioni esterne, e in particolare gli aspetti della comunicazione, sono importanti, ma in ultima analisi quello che conta è far aumentare il valore dell’azienda per gli azionisti e la sua redditività.
Le figure che rappresentano le due diverse tipologie di leader, quelli fondamentalmente basati sull’immagine e quelli focalizzati sui risultati, sono oggi Beppe Grillo e Mario Draghi.
Parlando di nani e ballerine, viene naturale pensare a chi si è formato ed è diventato celebre sui palcoscenici, teatrali o televisivi, e che dalla popolarità così acquisita ha tratto la forza politica e il consenso. Il fondatore del Movimento 5 Stelle ha indubbiamente una grande capacità di trascinamento e ha dimostrato di saper leggere alla perfezione umori e tendenze per costruire un partito che, in relativamente poco tempo, è diventato il più votato in Italia.
Ma la caratteristica dell’istrione genovese è quella di tenersi alla larga dalle problematiche gestionali, che ha sempre cercato di delegare (con risultati alterni). Nella prima fase c’era Gianroberto Casaleggio, che realizzò con successo la base aziendale e informatica del movimento; in seguito è però mancato un vero leader che trasformasse la dotazione elettorale del M5S in una formazione politica consolidata e funzionante. Ciò ha portato al rapido declino, per ora solo nei sondaggi e nelle tornate elettorali amministrative, dei pentastellati, di cui è abbastanza facile prevedere la sostanziale estinzione l’anno prossimo, con le elezioni politiche di fine legislatura.
Grillo non è un capo azienda, non si sporca le mani con la gestione quotidiana e con le decisioni gestionali, e inoltre la sua parabola evidenza la forza nella fase di contestazione, facendosi interprete di malcontento diffuso e mal di pancia vari, ma la debolezza in fase di costruzione e governo. Approssimazione, mutevolezza, scarso carisma, inesperienza: sono tutti elementi che hanno caratterizzato il personale politico e la presenza al governo dei 5 stelle. Il patron si è ben guardato dall’entrare nell’agone (non ha neanche un seggio in parlamento), ma ha svolto il ruolo del guru, del santone illuminato, che profetizza all’occorrenza e a cui spetta l’ultima parola, e che non è certo abituato a confrontarsi con risultati, che non siano quelli del gradimento degli spettatori o dell’audience televisivo.
Una parabola che ricorda quella dell’Uomo qualunque, la formazione di Giannini che nel secondo dopoguerra del secolo scorso conobbe un notevole successo ma che molto presto scomparve dal panorama nazionale.
I leader scelti da Grillo per gestire la fase di governo, dall’improbabile “avvocato degli italiani” Giuseppe Conte a Luigi di Maio – che si è recentemente separato dal movimento fondando un proprio partito – si sono rivelati non all’altezza del loro compito, anche se va riconosciuto che l’attuale Ministro degli Esteri ha avuto una notevole crescita e maturazione in questi anni.
Su “Giuseppi” è già stato detto molto: a parziale attenuante per la sua performance non brillante come premier c’è stata la disgrazia del covid, una tragedia alla quale nessuno era preparato. La sensazione è però che abbia cercato più di barcamenarsi (fra governi ad assetto variabile e litigi interni al movimento) e di restare in qualche modo attaccato al potere, che non di portare avanti in modo coerente e determinato un programma preciso.
All’estremo opposto Mario Draghi, che non può essere considerato un vero e proprio politico, anche se ha dimostrato notevole capacità di adattamento all’ambiente e di saper gestire gli umori e i tentennamenti della maggioranza che lo sostiene. Sotto questo profilo, si tratta di un vero e proprio manager prestato alla politica, il cui ruolo è quello di guidare un governo tecnico che deve traghettare il paese in questi tempi difficili, sostanzialmente disinteressandosi del consenso elettorale e dichiaratamente (bisognerà poi vedere se è vero) intenzionato a tornare al suo orticello al termine della legislatura, come Cincinnato nell’antica Roma.
Una via intermedia fra i due modelli estremi può essere rappresentata da Silvio Berlusconi, ormai sulla via del tramonto per motivi essenzialmente anagrafici, ma che ha segnato nel bene e nel male una lunga fase della vita politica del nostro paese. Nel suo caso, pur provenendo dal mondo aziendale nel quale ha costruito il successo e la ricchezza, e che non ha mai abbandonato anche negli anni di militanza politica, era comunque necessario il consenso elettorale. La sua geniale pensata è stata quella di applicare le tecniche di marketing alla politica, come se attrarre voti fosse simile a vendere prodotti, utilizzando in questo i mezzi di comunicazione di cui nel frattempo aveva acquisito il controllo.
La durata ormai ultratrentennale di Forza Italia dimostra che comunque la costruzione era solida e nonostante il progressivo distacco del suo impegno personale, il partito continua a essere un importante punto di riferimento del panorama politico nazionale.
Nel prossimo articolo parleremo degli altri tre leader attuali, Matteo Salvini, Enrico Letta e Giorgia Meloni, e di Matteo Renzi, che dopo aver guidato un discusso governo e fondato (anche lui) un nuovo partito, continua ad avere un ruolo importante.
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